La Corte di Cassazione con la sentenza n. 21405 depositata il 15 settembre 2017 intervenendo in tema di accertamento e deducibilità dei costi ha statuito che l’Amministrazione finanziaria non può sindacare ai fine della sua deducibilità l’antieconomicità delle operazioni effettuate dell’imprenditore, poiché la verifica dell’opportunità di sostenere dei costi attiene a valutazioni di strategie commerciali, che sono di stretta competenza dell’imprenditore.
La decisione della Corte Suprema affronta una problematica inerente alla possibilità da parte dell’Amministrazione finanziaria di disconoscere la deducibilità di costi o di recuperare a tassazione componenti positivi del reddito sulla base della presunzione circa la valutazione economica delle scelte imprenditoriali (Cass. n. 28075/2009). In base all’orientamento prevalente per le operazioni giudicate antieconomiche il Fisco non è tenuto a provare i fatti rilevanti ai fini dell’accertamento ed è onere del contribuente quella di giustificare i propri comportamenti antieconomici. Pertanto se il contribuente non assolve a tale onere, l’accertamento, fondato sulla presunzione semplice di cui all’art. 39 comma 1 lett. d) del DPR n. 600/73, è da ritenersi legittimo (Cass. 15 settembre 2008 n. 23635). Ai fini della valutazione della congruità dei componenti reddituali la giurisprudenza non ritiene neppure necessario che la contabilità sia inattendibile, posto che la rettifica può avvenire anche in presenza di un assetto contabile formalmente corretto (Cass. n. 9497/2008).
La vicenda ha origine dalla stipula tra due società dello stesso gruppo di un contratto in base al quale la società norvegese avrebbe fornito alla società italiana servizi di marketing e pubblicità. In particolare, il contratto prevedeva un corrispettivo a favore per ciascun nuovo abbonamento sottoscritto. A distanza di circa un anno le contraenti stipulavano un nuovo contratto, con la contestuale risoluzione del primo. In base al nuovo contratto la società italiana si sarebbe assunta tutte le spese sostenute dalla società norvegese, acquisendo tutti i diritti concessi dai fornitori di marketing. Per l’effetto, la società italiana non aveva corrisposto i compensi pattuiti ma aveva rimborsato i costi sostenuti a suo beneficio dalla diversa società del gruppo. Per l’Agenzia delle Entrate tale nuovo onere della società italiana, pur logicamente ed economicamente giustificabile nell’economia del gruppo, non poteva dare luogo a costi inerenti, in quanto sostenuti per una libera scelta della società in favore di un soggetto che non aveva titolo per pretendere nient’altro che il corrispettivo originariamente pattuito. Ne conseguiva l’emissione di un avviso di accertamento per il recupero a tassazione del relativo importo.
Avverso tale atto impositivo la società contribuente proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici accolgono le doglianze della ricorrente ed annullando la pretesa del Fisco. L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione dei giudici di prime cure proponendo ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello hanno riformano parzialmente la sentenza impugnata.
L’Amministrazione finanziaria avverso la decisione della CTR propone ricorso in cassazione fondato su quattro motivi. La società contribuente propone appello incidentale.
Gli Ermellini rigettano le doglianze dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di legittimità evidenziano come la società italiana abbia con il secondo contratto la società italiana aveva deliberatamente rinunciato ai benefici derivanti da un contratto, ma, grazie al secondo accordo, vi è stato il ripristino della situazione che ci sarebbe stata se il primo contratto non fosse mai stato stipulato e la società italiana avesse, sin da subito, operato in prima persona sul mercato.
Per la risoluzione della controversia in commento i giudici del palazzaccio ha ritenuto necessaria l’applicazione del principio di diritto secondo cui la valutazione di antieconomicità non può prescindere dal contesto complessivo delle operazioni commerciali effettuate, soprattutto quando il contribuente oppone una valida giustificazione in relazione ad una più ampia strategia commerciale o a prassi di settore (Cass. 30 settembre 2015 n. 19408).
La pronuncia, confermando il precedente quadro giurisprudenziale emerso in materia, conclude affermando che negli accertamenti fondati sul carattere antieconomico dell’operazione, il sindacato non può essere effettuato solamente su un singola scelta commerciale, quale può essere, come nel caso di specie, quella di riassumere su di sé un onere sostenuto da una consociata, ma deve inserirsi in un quadro di strategie commerciali dell’imprenditore.
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