AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 31 del 7 febbraio 2024
Articolo 1 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 – Aiuto alla crescita economica (ACE) – Certificati di deposito
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La società E S.r.l. ha fruito, con riferimento al periodo di imposta 2021, dell’agevolazione c.d. ”ACE innovativa 2021” o ”Super ACE” di cui all’articolo 19 del citato decreto-legge n. 73 del 2021.
In particolare, come risulta dal rigo RS 112A del modello Redditi SC 2022 (periodo d’imposta 2021), la Società ha determinato una deduzione da capitale investito proprio derivante dall’applicazione della disciplina della Super ACE, pari ad euro …, corrispondente al rendimento nozionale calcolato, ai sensi dell’articolo 19, comma 2, del decreto-legge n. 73 del 2021, applicando l’aliquota del 15% all’incremento netto del capitale proprio registrato nel corso del 2021 rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio 2020, pari ad euro …..
Rappresenta altresì l’istante che, in data …x/x/2022, E ha sottoscritto con l’istituto di credito ”X S.p.a.” n. 3 certificati di deposito come si evince dai Documenti di Sintesi delle Condizioni Economiche allegate all’istanza, e in particolare:
Certificato di Deposito contraddistinto dal n. … rappresentativo del deposito di euro …;
Certificato di Deposito contraddistinto dal n. …. rappresentativo del deposito di euro …;
Certificato di Deposito contraddistinto dal … rappresentativo del deposito di euro ….
Come risulta dall’articolo 10 delle condizioni economiche, i certificati di deposito suelencati non sono vendibili sul mercato, quindi non negoziabili né trasferibili a terzi.
Inoltre, nelle condizioni contrattuali è previsto che:
a) l’emissione di ciascun certificato di deposito avviene a fronte dell’addebito nel conto corrente dell’importo indicato nello stesso;
b) il deposito di liquidità ha una durata contrattuale pari a 18 mesi a cui viene riconosciuto, in tre scadenze semestrali, un rendimento determinato sulla base del tasso di interesse annuo fisso del 3%;
c) il capitale impiegato gode della protezione derivante dalla garanzia del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi nei limiti (attuali) di euro 100.000 per ciascun depositante.
In seguito all’addebito delle somme sopra riportate, ”X S.p.A.” ha provveduto a emettere i certificati di deposito, i quali sono stati immessi nel dossier titoli detenuto dalla Società presso lo stesso istituto bancario.
Tanto premesso, si rappresenta che l’importo così impiegato risulta essere superiore all’incremento della base ACE pari:
ad euro … per l’esercizio 2021;
ad euro … per l’esercizio 2022.
L’istante, pertanto, chiede di sapere se i Certificati di Deposito sottoscritti nel corso dell’esercizio 2022, e inseriti in un portafoglio titoli, rientrino o meno tra i valori mobiliari richiamati dall’articolo 1, comma 1bis, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.) e, conseguentemente, comportino la necessità di:
sterilizzazione della base di calcolo dell’ACE ai sensi dell’articolo 1, comma 6, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
applicazione del meccanismo di ”recapture” previsto dall’articolo 19, comma 5, del decreto-legge n. 73/2021.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’articolo 19 del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, che ha introdotto per il solo esercizio 2021 la disciplina sulla c.d. ”ACE innovativa”, al comma 5 prevede che qualora la variazione in aumento del capitale proprio del periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2021 risulti inferiore rispetto a quella esistente alla chiusura del periodo d’imposta precedente, il reddito complessivo ai fini dell’imposta sui redditi sia aumentato di un ammontare pari al 15 per cento della differenza tra la variazione in aumento del capitale proprio esistente alla chiusura del periodo di imposta precedente e quella esistente alla chiusura del periodo d’imposta in corso.
A tal proposito, l’articolo 1 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, che ha introdotto la disciplina sull’Aiuto alla crescita economica (ACE), dispone al comma 6 che ”per i soggetti diversi dalle banche e dalle imprese di assicurazione la variazione in aumento del capitale proprio non ha effetto fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010”.
Come meglio precisato dall’articolo 5, comma 3, del Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 3 agosto 2017, recante le disposizioni attuative della disciplina ACE, ”Per i soggetti diversi da quelli che svolgono attività finanziarie ed assicurative di cui alla sezione K dell’ATECOFIN 2007, ad eccezione delle holding non finanziarie, la variazione in aumento del capitale proprio non ha effetto fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e dei valori mobiliari, diversi dalle partecipazioni, rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010. Per titoli e valori mobiliari deve farsi riferimento alla nozione recata dall’art. 1, comma 1bis, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.), includendo altresì le quote di OICR.”
Pertanto, al fine di determinare l’incremento di patrimonio netto rilevante ai fini ACE occorre individuare quali investimenti finanziari rientrano nella definizione di titoli e valori mobiliari e, conseguentemente, devono essere portati a riduzione della base ACE.
A tal proposito, l’articolo 1, comma 1bis, del TUF chiarisce che per ”valori mobiliari” si intendono categorie di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali quali ad esempio:
a) azioni di società e altri titoli equivalenti ad azioni di società, di partnership o di altri soggetti e ricevute di deposito azionario;
b) obbligazioni e altri titoli di debito, comprese le ricevute di deposito relative a tali titoli;
c) qualsiasi altro valore mobiliare che permetta di acquisire o di vendere i valori mobiliari indicati alle lettere a) e b) o che comporti un regolamento a pronti determinato con riferimento a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, merci o altri indici o misure.
Tutto ciò premesso, l’istante ritiene che non possano dar luogo ad alcuna riduzione del capitale i depositi bancari, anche se vincolati, e i rapporti di conto corrente perché non riconducibili, a stretto rigore, né alla definizione di strumenti finanziari né a quella più ristretta di valori mobiliari contenuta nel TUF (Cfr. Circolare Assonime n. 17 del 28 giugno 2017).
Su queste basi, l’istante ritiene che i Certificati di Deposito sottoscritti dalla Società nel corso del 2022 non possano essere in alcun modo considerati tra i valori mobiliari individuati dall’articolo 1, comma 1bis, del T.U.F., trattandosi di strumenti rappresentativi di un deposito bancario vincolato.
Più in particolare, detti Certificati di Deposito attribuiscono al titolare E S.r.l. il diritto al rimborso del capitale a scadenza, unitamente ad un rendimento fisso corrisposto in forma di interessi in tre scadenze periodiche prestabilite.
Inoltre, le previsioni contrattuali stabiliscono che i Certificati di deposito non sono negoziabili né trasferibili a terzi (cfr. articolo 10 Norme Generali), circostanza che vale ad escluderli dalla definizione di valori mobiliari.
L’articolo 3 delle Norme Generali dei Certificati sottoscritti stabilisce espressamente, altresì, che ”il Certificato di Deposito viene rilasciato contro addebito nel Conto Corrente dell’importo indicato sullo stesso; tale importo rimarrà vincolato per il periodo indicato nel presente certificato [..] dovendosi altresì ritenere espressamente esclusa la possibilità di rinnovo automatico”, oltre che ”non sono ammessi versamenti successivi a quello iniziale effettuato alla data di emissione€ sono inoltre esclusi, prima della scadenza del certificato, prelevamenti parziali o totali delle somme depositate, come pure non potrà farsi luogo ad una riduzione della durata del certificato”.
Rileva, infine, l’istante, ad abundantiam, che le norme contrattuali prevedono espressamente che i Certificati di deposito sottoscritti godano della garanzia del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi nei limiti (attuali) di 100.000 euro per ciascun depositante, circostanza che, a suo parere, conferma la loro natura di liquidità vincolata in depositi bancari.
Alla luce di quanto sopra, l’istante ritiene che, benché i Certificati di Deposito sottoscritti dalla società nel corso dell’esercizio 2022 siano stati immessi (dal punto di vista formale) nel dossier titoli detenuto dalla stessa presso X S.p.A., questi mantengano la loro natura intrinseca di depositi bancari.
Conseguentemente, ritiene che la sottoscrizione degli stessi non comporti alcun effetto sulla determinazione della base ACE della società per l’esercizio 2022.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
L’articolo 1 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, recante ”Aiuto alla crescita economica ACE”, introduce un incentivo alla capitalizzazione delle imprese al fine di riequilibrare il trattamento fiscale tra le società che si finanziano con capitale di debito rispetto a quelle che si finanziano con capitale proprio.
Per le società di capitali l’incentivo fiscale in oggetto consiste nel dedurre dal reddito complessivo, già diminuito da eventuali perdite pregresse, ”un importo corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio”, come disposto dall’articolo 1, comma 1, primo periodo, del decreto-legge n. 201 del 2011.
Il rendimento nozionale del nuovo capitale proprio è valutato mediante applicazione di un coefficiente alla variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010 (articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011).
Le variazioni in aumento del capitale proprio sono costituite dai conferimenti in denaro e dagli utili accantonati nelle riserve diverse da quelle indisponibili.
In attuazione del comma 8 dell’articolo 1 del decreto-legge n. 201 del 2011, con D.M. del 14 marzo 2012 son state adottate le disposizioni di attuazione, tra cui quelle riguardanti le variazioni rilevanti del capitale proprio (art. 5) e quelle di carattere antielusivo (art. 10).
L’impianto dell’istituto, così delineato, ha subito, tra le altre, alcune rilevanti modifiche per effetto della legge 11 dicembre 2016, n. 232, tese, da un lato, a ridurre l’entità dell’agevolazione e, dall’altro, ad operare una razionalizzazione del sistema al fine di adeguare l’incentivo al mutato assetto delle condizioni di mercato.
In particolare, l’articolo 1, comma 550, lettera d), della legge n. 232 del 2016 ha previsto una nuova ipotesi di sterilizzazione della base imponibile attraverso l’introduzione del nuovo comma 6bis dell’articolo 1 del decreto-legge n. 201 del 2011. Tale norma prevede che ”Per i soggetti diversi dalle banche e dalle imprese di assicurazione la variazione in aumento del capitale proprio non ha effetto fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010”.
Tale previsione interessa la generalità delle imprese, con la sola esclusione di banche e imprese di assicurazione, in considerazione del fatto che per tali tipologie di imprese l’investimento mobiliare rientra tra le attività tipiche esercitate.
La relazione illustrativa alla legge n. 232 del 2016 afferma che la finalità del legislatore non è di inserire una disposizione antielusiva, ma piuttosto di favorire taluni investimenti: ”per stimolare la capitalizzazione finalizzata agli investimenti produttivi o alla riduzione del debito, si è ritenuto di reintrodurre (il nuovo comma 6bis dell’articolo 1 del D.L. 201/2011, inserito dalla lettera d) del comma 4) la disposizione già esistente nell’ambito della disciplina della cosiddetta dual income tax [DIT], di cui l’ACE ricalca i tratti principali, sterilizzando la variazione in aumento del capitale proprio fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010”.
Il D.M. del 3 agosto 2017 (c.d. Nuovo Decreto ACE) che ha abrogato il D.M. del 14 marzo 2012, all’articolo 5, comma 3, tra le disposizioni riguardanti le variazioni rilevanti del capitale proprio, ha delineato con maggior chiarezza l’ambito di applicazione delle disposizioni contenute nel comma 6bis citato.
Con particolare riferimento ai soggetti esclusi dall’ambito di applicazione della penalizzazione, è stato chiarito che la locuzione ”banche ed assicurazioni” deve essere valutata, includendo in tale novero di soggetti, tutti coloro che svolgono attività finanziarie ed assicurative di cui alla sezione K dell’ATECOFIN 2007.
Inoltre, con riferimento alla tipologia di investimenti in valori mobiliari che impongono la sterilizzazione della base ACE, il medesimo comma 3 dell’articolo 5 dispone che ”Per titoli e valori mobiliari deve farsi riferimento alla nozione recata dall’art. 1, comma 1bis, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.), includendo altresì le quote di OICR”.
L’articolo 1, comma 1bis, del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (T.U.F.), dispone che: ”Per ”valori mobiliari” si intendono categorie di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali, quali ad esempio:
a) azioni di società e altri titoli equivalenti ad azioni di società, di partnership o di altri soggetti e ricevute di deposito azionario;
b) obbligazioni e altri titoli di debito, comprese le ricevute di deposito relative a tali titoli;
c) qualsiasi altro valore mobiliare che permetta di acquisire o di vendere i valori mobiliari indicati alle lettere a) e b) o che comporti un regolamento a pronti determinato con riferimento a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, merci o altri indici o misure”.
In relazione alla disposizione in commento occorre rilevare preliminarmente che, come chiarito con circolare 7 aprile 2017, n. 8/E, punto 6 la quale sulla questione non si discosta dalla relazione di accompagnamento al D.M. del 3 agosto 2017 la fattispecie configurata dall’articolo 1, comma 6bis, del decreto-legge n. 201/2011, inerente la sterilizzazione della base ACE in caso di investimento in titoli e valori mobiliari non essendo ricompresa tra le disposizioni antielusive contenute nell’art. 10 del D.M. 14 marzo 2012 suscettibili di disapplicazione mediante interpello (e oggi riprodotte nell’articolo 10 del D.M. 3 agosto 2017) costituisce una norma di sistema per la determinazione del beneficio non oggetto di interpello probatorio.
Occorre, inoltre, rilevare che, già in relazione alla analoga disciplina in tema di c.d. Dual Income tax, la circolare 6 marzo 1998, n. 76, paragrafo 6.1, individuava la finalità della disposizione in commento nella necessità di ”evitare che gli incrementi del capitale investito rilevanti ai fini della DIT vengano utilizzati dalla società o dall’ente per incrementare attività meramente finanziarie, e non per realizzare una maggiore efficienza o il rafforzamento dell’apparato produttivo”.
In questo senso, il documento di prassi individuava i ”titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni” come quelli ”non rappresentativi di merci, i certificati di massa, le quote di partecipazione ad organismi di investimento collettivo” (cfr. articolo 81, comma 1, lettera cter del TUIR [ora articolo 67]). Trattasi, in sostanza, di titoli suscettibili di dare luogo a redditi di natura finanziaria non legati a rapporti di partecipazione.
Occorre, per altro verso, evidenziare che nella risposta a interpello 28 aprile 2022, n. 232, è stato affermato che ”il rinvio all’articolo 1, comma 1 bis, del TUF, contenuto nel D.M. del 3 agosto 2017 e nella Relazione Illustrativa non appare sufficientemente esaustivo al fine di individuare le specifiche fattispecie che il legislatore ritiene non meritevoli di agevolazione”.
In quell’occasione l’Agenzia delle Entrate ha precisato, in ossequio alla disposizione in argomento, che: ”la norma citata sottrae al beneficio dell’ACE quegli investimenti non consistenti in un reale incremento del capitale nuovo dell’impresa poiché si sostanziano in operazioni di natura finanziaria poste in essere da soggetti che non svolgono attività finanziaria”.
A causa di ciò è stato evidenziato come, nel rispetto della funzione economica della norma, è superabile la definizione di titoli e valori mobiliari contenuta all’art. 1, comma 1bis del d.lgs. n. 58/1998 ben potendosi, in via interpretativa, far riferimento ad altre disposizioni che consentano di apprezzare la effettiva natura dell’investimento.
Appare, pertanto, evidente che, allo scopo di garantire il rispetto della ratio della norma in commento, risulta necessaria una valutazione della sostanza dell’investimento posto in essere dalla società, oltre che dalla classificazione ”formale” dello stesso in una delle categorie escluse dall’operatività della sterilizzazione della base ACE.
A questo proposito, si osserva che la società istante ha sottoscritto, nel corso del 2022, n. 3 certificati di deposito emessi dalla ”Banca X S.p.A.”, ciascuno di importo pari ad € 1.000.000,00, e con identiche condizioni contrattuali, quali:
durata del vincolo (18 mesi);
tasso di interesse riconosciuto (3 per cento annuo);
periodicità semestrale dell’erogazione del rendimento;
incedibilità sul mercato del titolo;
tutela da parte del Fondo interbancario di Tutela dei depositi (ancorché nei limiti attualmente previsti in € 100.000 per ciascun depositante).
Come emerge dall’istanza, i certificati sono stati emessi a fronte dell’addebito del relativo conto corrente da parte della banca emittente, e formalmente detenuti nel portafoglio titoli della società istante.
Tanto premesso, si rappresenta che il certificato di deposito costituisce, in generale, una forma di raccolta del risparmio che comporta l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, mediante il quale la Banca emittente assume l’obbligo di corrispondere interessi ad un tasso fisso a fronte del vincolo apposto sulle somme messe a disposizione del contraente per un periodo di tempo prestabilito (i.e. investimento finanziario).
A differenza del conto corrente ordinario che non prevede generalmente vincoli di indisponibilità delle somme (e la cui funzione è la gestione ”corrente” delle operazioni tra cliente e banca), con il conto deposito si gestisce il risparmio in modo da ottenere una remunerazione più elevata rispetto al conto corrente a fronte del vincolo delle somme in giacenza per periodi di tempo determinati.
Nel caso di specie, risultano esclusi, prelevamenti parziali o totali delle somme depositate prima della scadenza del certificato, (cfr. art. 3 certificato di deposito), inoltre, l’eventuale estinzione anticipata del contratto disciplinata dall’art. 7 del documento di sintesi delle condizioni economiche del certificato di deposito allegato è soggetta a specifici termini di preavviso nonché al pagamento di una commissione.
Tali circostanze confermano la natura del vincolo stesso, e quindi l’indisponibilità ordinaria delle somme nel senso sopra descritto.
In sostanza, quindi, i conti di deposito in questione possono considerarsi prodotti finanziari di risparmio che permettono di ottenere un rendimento sulle somme depositate (indisponibili fino alla scadenza) e, come tali, si sostanziano in un ”investimento passivo”.
Sulla base di quanto considerato, la sottoscrizione dei tre certificati di deposito rappresentati da parte della società istante, non costituisce un investimento teso a rafforzare il tessuto produttivo dell’impresa come richiesto dalla ratio della normativa in commento, quanto, piuttosto, un incremento di attività finanziarie ”passive” (cfr. risposta interpello 232 del 2022). A causa di ciò si ritiene che l’investimento effettuato dalla società istante debba essere neutralizzato ai fini della ”ACE innovativa” e ordinaria.
Resto, in ogni caso fermo quanto affermato nella Circolare del 3 giugno 2015, n. 21/E, in relazione ai depositi irregolari infragruppo, i quali, come noto, sono riconducibili alle operazioni potenzialmente elusive di cui all’articolo 10, comma 3, lett. c) del DM ACE del 3 agosto 2017.
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