
La Corte di Cassazione, sezione penale, con l’ordinanza n. 31677 depositata il 28 giugno 2017 intervenendo in tema dissipazione del valore di avviamento ha statuito che non è possibile configurare la distrazione dell’avviamento commerciale dell’azienda oggetto dell’impresa successivamente fallita se, contestualmente, non sia stata oggetto di disposizione anche l’azienda medesima o quanto meno quei fattori aziendali in grado di generare l’avviamento. Ciò, tuttavia, non esclude la possibilità che l’avviamento possa costituire l’oggetto materiale della bancarotta fraudolenta patrimoniale, sotto il profilo della distruzione, intesa come annullamento del valore economico di uno degli elementi del patrimonio dell’imprenditore, attuata mediante l’intenzionale dispersione, da parte dell’imprenditore, proprio dell’avviamento commerciale.
La vicenda ha riguardato un imprenditore accusato di aver dissipato il valore di avviamento dell’impresa distraendolo verso altra s.r.l. di cui il Tribunale del Riesame di Palermo rigettava il ricorso ex art. 309 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo con cui, in data 24/11/2016, era stata applicata al titolare di una ditta individuale e al partecipe all’impresa la misura degli arresti domiciliari per i delitti: 1) di cui agli artt. 110 cod. pen., 216, comma primo, n. 1, 219, comma 2, n. 1, r.d. n. 267/1942, per avere, pur a fronte di debiti per oltre Euro 1.381.563,88 ed un attivo inesistente.
Avverso la decisione del Tribunale l’imputato ricorreva in Cassazione con ricorso fondato su due motivi.
Gli Ermellini accolgono parzialmente il ricorso. I giudici di legittimità affrontano la problematica concernente la possibilità di configurare l’avviamento ed i rapporti di lavoro come oggetto della bancarotta per distrazione.
In base ai più recenti orientamenti giurisprudenziali per avviamento commerciale deve intendersi la capacità di profitto di un’azienda ed il suo valore come il plusvalore dell’azienda avviata, per cui esso non rappresenta per l’imprenditore una mera aspettativa di fatto, costituendo, al contrario, un valore dell’azienda che lo incorpora; ciò è dimostrato da molteplici parametri normativi, tra cui, ad esempio, gli artt. 2424 e 2426 cod. civ. che, rispettivamente, considerano l’avviamento “derivativo” una immobilizzazione immateriale, e ne consentono l’appostazione nello stato patrimoniale del bilancio nei limiti del costo sostenuto per la sua acquisizione.
La natura patrimoniale dell’avviamento, tuttavia, non significa automaticamente che esso sia suscettibile di autonoma disposizione, proprio in quanto inscindibile dall’azienda medesima, con la conseguenza che non è possibile configurare la distrazione dell’avviamento commerciale dell’azienda oggetto dell’impresa successivamente fallita se, contestualmente, non sia stata oggetto di disposizione anche l’azienda medesima o quantomeno quei fattori aziendali in grado di generare l’avviamento. Ciò non esclude, comunque, la possibilità che l’avviamento possa costituire l’oggetto materiale della bancarotta fraudolenta patrimoniale, sotto il profilo della distruzione, intesa come annullamento del valore economico di uno degli elementi del patrimonio dell’imprenditore, attuata mediante l’intenzionale dispersione, da parte dell’imprenditore, proprio dell’avviamento commerciale, anche in assenza di alienazione od eterodestinazione dei beni aziendali. Pertanto, la mancata conservazione dell’avviamento costituisce certamente una lesione della garanzia patrimoniale, frustrando l’interesse del ceto creditorio alla potenziale realizzazione di quel plusvalore impresso dal medesimo all’azienda all’atto della liquidazione dell’attivo fallimentare. Tanto premesso, e chiariti i contenuti dell’orientamento raggiunto sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, va ricordato che nel caso di specie, il Tribunale del Riesame ha riconosciuto essere stata consumata la dissipazione dell’avviamento della società fallita attraverso lo sviamento dei fornitori e l’impiego del suo personale ad altra s.r.l. a loro riconducibile. Tuttavia, per quanto concerne i rapporti con i fornitori, appare evidente l’errore metodologico in cui è incorsa la pronuncia impugnata, in quanto i rapporti con i fornitori certamente non possono essere considerati suscettibili di una condotta depauperativa da parte dell’imprenditore, atteso che, pur essendo rapporti economicamente valutabili, essi certamente non rappresentano una posta attiva del bilancio aziendale, costituendo, al contrario, un debito per l’azienda. Appare quindi, giuridicamente e, prima ancora logicamente, non configurabile la fattispecie contestata nella misura in cui l’attività distrattiva abbia per oggetto rapporti economicamente valutabili che costituiscano una passività per l’azienda. Quanto alla movimentazione del personale da una società all’altra, ciò può, in astratto, considerarsi atto di disposizione del patrimonio sociale, dovendosi, in proposito, considerare i rapporti obbligatori sottostanti ai contratti di lavoro con i dipendenti, ossia i rapporti giuridici suscettibili di valutazione economica intrattenuti con essi dall’azienda; infatti, solo la cessione di tali rapporti comporta la cessione anche dall’avviamento aziendale, che necessita di adeguata ed autonoma retribuzione.
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