CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 novembre 2013, n. 25238
Tributi – Condono tributario – Ritardo nel versamento di una rata – Sanzioni – Obbligo di versamento per intero – Sussistenza – Possibilità di riduzione in proporzione all’ammontare dei versamenti eseguiti nei termini – Esclusione
«L’Agenzia delle Entrate ricorre contro la società S.I. distribuzione gas spa per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania, confermando la sentenza di primo grado, ha annullato una cartella esattoriale per IVA, IRPFG e IRAP per gli anni tra il 1997 e il 2002, emessa a seguito del diniego di definizione ex art. 9 bis L. 289/02 per omessi o ritardati versamenti.
La Commissione Tributaria Regionale ha fondato la propria decisione sull’assunto che la richiesta di sanatoria ex art. 9 bis L. 289/02 avanzata dalla contribuente avesse estinto l’obbligo di pagamento delle sanzioni, ancorché la contribuente non avesse versato interamente la somma complessivamente dovuta a titolo di condono; ciò perché, secondo la sentenza gravata, il mancato versamento di una parte di tale somma avrebbe attribuito al Fisco il diritto di procedere al relativo recupero, con la maggiorazione del 30 % ex art. 13 D.Lgs. 471/97 sulle sole somme non versate o versate in ritardo, ma non avrebbe fatto rivivere l’obbligazione tributaria originaria.
L’Agenzia delle Entrate deduce il vizio di violazione di legge ex art. 360 n. 3 cpc assumendo che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe violato l’articolo 9 bis L. 289/02 nel ritenere che gli effetti del condono previsto da tale disposizione si producano anche nel caso di carente o intempestivo versamento delle somme complessivamente dovute per il perfezionamento del condono.
La contribuente si è costituita con controricorso.
Il ricorso appare fondato, perché la tesi giuridica seguita nella sentenza gravata si pone in contrasto con l’insegnamento questa Corte (sentt. 20745/10, 19546/11, 21364/12) secondo cui il condono previsto all’art. 9 bis della legge n. 289 del 2002 – relativo alla possibilità che gli omessi e tardivi versamenti delle imposte e delle ritenute emergenti dalle dichiarazioni presentate vengano definiti mediante il solo pagamento dell’imposta e degli interessi o, in caso di mero ritardo, dei soli interessi, senza aggravi e sanzioni – costituisce una forma di condono demenziale e non premiale (come, invece deve ritenersi per le fattispecie regolate dagli artt. 7,8,9, 15 e 16 della legge n. 289 del 2002, le quali attribuiscono al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario, da effettuarsi con regole peculiari rispetto a quello ordinario); con la conseguenza che, nell’ipotesi di cui all’art. 9 bis, non essendo necessaria alcuna attività di liquidazione ex art. 36 bis d.P.R. n. 600 del 1973 in ordine alla determinazione del “quantum”, esattamente indicato nell’importo specificato nella dichiarazione integrativa presentata ai sensi del terzo comma, con gli interessi di cui all’art. 4, il condono è condizionato dall’integrale e tempestivo pagamento di quanto dovuto e il pagamento rateale determina la definizione della lite pendente solo se è integrale e tempestivo per tutte le rate.
Né può condividersi l’assunto della difesa della contro ricorrente secondo cui all’orientamento sopra esposto potrebbe utilmente contrapporsi l’indirizzo formatosi nella giurisprudenza di legittimità con riferimento al condono di cui all’articolo 62 bis L. 413/91; indirizzo secondo il quale l’omesso o intempestivo pagamento della seconda rata di detto condono non determina la decadenza totale dal benefìcio, giacché gli effetti di esclusione delle sanzioni prodotti dalla presentazione della dichiarazione integrativa permangono fino a concorrenza delle somme versate tempestivamente (Cass. 1124/06, 9897/11, 10435/11).
Questa Corte ha infatti chiarito che “le norme che disciplinano i condoni tributari, essendo derogatorie di quelle generali dell’ordinamento tributario, integrano sistemi compiuti di natura eccezionale, essendo in particolare da precisare che ciascuna delle diverse ipotesi di definizione agevolata previste dalla L. n. 289 del 2009 costituisce disposizione di carattere eccezionale assistita da una propria specifica disciplina che è di stretta interpretazione e non può essere integrata in via ermeneutica dalle norme generati dell’ordinamento tributario e neppure da quelle dettate per altre forme di definizione, ancorché contemplate dalla medesima legge” (così sent. 21364/12, in motivazione), cosicché non è possibile trasporre nella materia del condono ex art. 9 bis L. 289/02 i principi elaborati con riferimento al condono ex art. 16 bis L. 413/91.
Si ritiene quindi che non sussistano ragioni per discostarsi dall’indirizzo interpretativo ormai consolidatosi sull’articolo 9 bis L. 289/02, da ultimo confermato da copiosa giurisprudenza del Collegio tributario della Sesta sezione (explurimis, ordd. 3498/13, 3247/13,1076/13, 242/13). In conclusione, si ritiene che il procedimento possa essere definito in camera di consiglio, con la declaratoria di manifesta fondatezza del ricorso e la cassazione della sentenza gravata, con decisione di merito ex art. 384 cpc di rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente.»;
– che l’intimata si è costituita con controricorso; che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti;
che la contro ricorrente ha depositato memoria difensiva.
Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide le conclusioni del relatore (salvo precisare che l’atto impugnato in questo giudizio non è una cartella esattoriale, come erroneamente riportato nella relazione sopra trascritta, ma un provvedimento di diniego di condono, a cui hanno fatto seguito cartelle di pagamento separatamente impugnate); che, in via preliminare, deve disattendersi l’eccezione della contro ricorrente relativa alla pretesa inammissibilità del ricorso per carenza di autosufficienza, giacché l’esposizione dello svolgimento del processo svolta nel ricorso e la formulazione della censura è sufficiente per consentire alla Corte l’esatta individuazione delle questioni dedotte nel giudizio di legittimità; che, nel merito, il Collegio non ritiene di poter estendere al condono ex art. 9 bis L. 289/02 l’indirizzo interpretativo fissato con riferimento al condono di cui all’articolo 62 bis L. 431/91 dalle sentenze di questa Corte nn. 1124/06, 9897/11, 10435/11, richiamate nel controricorso e nella memoria difensiva della contribuente.
A tale proposito è necessario preliminarmente rilevare che è vero che, come sottolinea la difesa della contro ricorrente, il testo dell’articolo 9 bis 1. 289/02 è sostanzialmente analogo a quello dell’articolo 62 bis L. 413/91; cosicché deve riconoscersi la sussistenza di un’ antinomia tra l’indirizzo interpretativo formatosi sul condono ex art. 9 bis L. 289/02 e quello formatosi sul condono ex articolo 62 bis L. 413/91.
Il primo indirizzo si basa sull’assunto che – poiché la sussistenza dei debiti tributari a cui il condono si applica non è in discussione, trattandosi di debiti emergenti dalle dichiarazioni fiscali dello stesso contribuente – la logica del condono (“demenziale” e non “premiale”) presupporrebbe l’integralità e tempestività dei conseguenti versamenti. Il secondo indirizzo, per contro, si basa sull’assunto che non vi sarebbe motivo di negare l’effetto “premiale” previsto dall’articolo 62 bis L. 413/91 al parziale versamento delle imposte dichiarate, non potendosi equiparare tale comportamento all’inerzia totale ed avendo comunque, in tali limiti, l’amministrazione conseguito lo scopo, comune a tutte le normative di condono, di ottenere rapidamente l’incasso delle somme dovute; oltre che sul rilievo che lo stesso art. 62 bis prevede, nei commi successivi al primo, ipotesi di inapplicabilità pro-quota delle sanzioni.
Tanto premesso, il Collegio ritiene di dover preferire il primo dei due indirizzi, non solo perché esso è quello ormai ampiamente consolidato in materia di condono ex art. 9 bis L. 289/02 (fino a potersi ritenere “diritto vivente”: vedi, nel solo 2013, le ordinanze di questa Corte nn. 4163, 3254, 3118, 2811, 1077, oltre quelle citate nel penultimo capoverso della relazione sopra trascritta); ma anche perché esso appare quello più persuasivo, giacché – a fronte della mora del contribuente nel pagamento di un debito tributario non controverso, perché da lui stesso dichiarato – la deroga all’obbligo di pagamento delle sanzioni può derivare solo dal puntuale rispetto delle prescrizioni e dei termini risultanti dalla disciplina del condono. La ratio di quest’ultima disciplina consiste infatti nella rinuncia del Fisco alla riscossione delle sanzioni (anch’esse, come il tributo a cui accedono, di debenza non controversa) in contropartita dell’integrale pagamento del tributo in tempi certi e tale ratio risulterebbe palesemente frustrata da una interpretazione che legittimi, come propone la difesa della contro ricorrente, una riduzione delle sanzioni proporzionale all’ammontare dei versamenti effettivamente eseguiti in termini e che dunque, in definitiva, lasci al contribuente la facoltà di dimensionare il carico sanzionatorio su di lui gravante in base alle scelte che egli ritenga di adottare su tempi ed entità dei versamenti del tributo.
In definitiva, riaffermati i principi sopra richiamati, il ricorso va accolto e la sentenza gravata va cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente avverso il diniego di condono.
Le spese si compensano per l’intero giudizio in ragione della novità delle argomentazioni sviluppate nel controricorso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza gravata e, decidendo nel merito ai sensi dell’articolo 384 cpc, rigetta l’impugnativa del provvedimento di diniego di condono proposta dal contribuente.
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