CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 maggio 2013, n. 11918
Lavoro – Lavoro subordinato – Trasferimento d’azienda – Presupposti – Rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello subentrante – Necessità – Esclusione – Successione nell’appalto di un servizio – Configurabilità del trasferimento di azienda – Condizioni.
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Lecce, V. G., premesso di essere stato assunto nel febbraio 1998 dal Consorzio C. subentrato nell’appalto del servizio di nettezza urbana in Gallipoli alla società C. presso la quale aveva espletato mansioni di V° livello; di aver subito una dequalificazione perché destinato non a mansioni di capo-squadra, già disimpegnate presso l’impresa cessante, bensì a quelle di operaio; di aver comunque mantenuto la retribuzione ed il livello di inquadramento originario senza beneficiare del prolungamento dell’orario, anche domenicale, e dell’indennità connessa all’uso di auto propria, chiese la reintegra nelle mansioni precedentemente espletate con condanna della C. al pagamento di L 56.279.383, nonché dell’ulteriore somma spettante dal maggio 2001, oltre accessori. Il Tribunale, nella contumacia del resistente, respingeva la domanda osservando che in base al disposto dell’art. 4 del c.c.n.l. di settore l’impresa subentrante nell’appalto aveva garantito il mantenimento del livello retributivo ed omesso di corrispondere solo emolumenti legati al disimpegno concreto della mansione di capo-squadra. Escludeva che vi fosse stata dequalificazione perché la prestazione resa ben poteva rientrare nella declaratoria contrattuale prevista per il quinto livello.
Per l’integrale riforma della sentenza, proponeva appello il G.. L’appellato restava contumace.
Con sentenza depositata il 29 aprile 2008, la Corte d’appello di Lecce respingeva il gravame.
Per la cassazione propone ricorso il G., affidato a tre motivi. Il Consorzio C. è rimasto intimato.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. degli artt. 2103 e 2697 c.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente che l’assenza di mansioni di caposquadra presso il Consorzio subentrante giustificasse uno ius variandi che invece è soggetto a rigorosi limiti da parte dell’art. 2103 c.c. Si duole peraltro che il giudice d’appello ritenne che la prova del legittimo esercizio dello ius variandi incombeva sul lavoratore.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. degli artt. 2103 e 2112 c.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
Lamenta che la Corte leccese ritenne erroneamente che le voci retributive richieste con il ricorso introduttivo erano riconoscibili solo in caso di effettivo svolgimento delle relative mansioni, senza considerare la garanzia contrattuale collettiva sulla conservazione del trattamento economico e che nella specie si era verificato un trasferimento di azienda, che certamente imponeva l’accoglimento delle proprie domande.
3. I motivi, che per la loro connessione possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati.
Essi infatti si basano sul presupposto che nella specie vi sia stato un trasferimento di azienda in realtà insussistente, trattandosi di assunzione ex novo (così anche definito in sede di c.c.n.l., che parla di passaggio diretto: in tal senso, da ultimo, Cass. 3 ottobre 2011 n. 20192 in materia di successione di imprese negli appalti nel settore dello smaltimento dei rifiuti), con garanzia contrattuale collettiva del mantenimento del trattamento economico relativo al livello contrattuale posseduto, con la sola aggiunta degli scatti di anzianità. Occorre al riguardo evidenziare che ai fini del trasferimento d’azienda, la disciplina di cui all’art. 2112 cod. civ. postula che il complesso organizzato dei beni dell’impresa – nella sua identità obiettiva – sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione. Il trasferimento d’azienda è pertanto configurabile anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa (Cass. 13 aprile 2011 n. 8460; Cass. 15 ottobre 2010 n. 21278; Cass. 10 marzo 2009 n. 5708; Cass. 8 ottobre 2007 n. 21023; Cass. 13 gennaio 2005 n. 493; Cass. 27 aprile 2004 n. 8054; Cass. 29 settembre 2003 n. 13949).
Nella specie il ricorrente non ha affatto dimostrato, né ancor prima dedotto, che vi sia stata una apprezzabile cessione di beni o strutture dalla società C. al Consorzio C.
4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. Lamenta che la Corte di merito non considerò che la richiesta di inquadramento come operaio di VI livello era evidentemente un errore materiale, avendo il G. richiesto le mansioni di sorvegliante (o capo squadra) di V livello.
Lamenta inoltre che la Corte territoriale non valutò che il Consorzio C. lo inquadrò nel V livello, caposquadra, riconoscendo così implicitamente i diritti rivendicati.
La prima parte del motivo è inammissibile, non censurando la ratio decidendi della sentenza impugnata, consistente nel rispetto, da parte della società subentrante, della disciplina contrattuale collettiva, con l’esatta indicazione dei livelli di cui alla censura in esame.
Il motivo, per il resto, è infondato, posto che la circostanza evidenziata non dimostra altro che l’impresa subentrante rispettò l’accordo collettivo, che prevedeva la conservazione del trattamento economico connesso all’inquadramento contrattuale, mentre il ricorrente non spiega adeguatamente, in contrasto col principio dell’autosufficienza, innanzitutto quali fossero esattamente le mansioni svolte in precedenza e quelle svolte presso il C.; in secondo luogo perché il mantenimento del medesimo livello contrattuale avrebbe comportato i danni di cui chiese il risarcimento. Va aggiunto, per completezza espositiva, che l’art. 2103 c.c., in tema di irriducibilità della retribuzione, per ormai concorde dottrina e costante giurisprudenza di legittimità, non trova applicazione per le indennità od emolumenti comunque denominati, non connessi intrinsecamente alla prestazione resa, ma solo estrinsecamente legati a particolari modalità di svolgimento della prestazione, che pertanto ben possono venir meno in caso di mutamento o cessazione di queste ultime (ex plurimis, Cass. 19 febbraio 2008 n. 4055).
Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Nulla per le spese, essendo il Consorzio rimasto intimato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
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