CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 luglio 2013, n. 17252
Contabilità – Contribuente affida a terzi la tenuta della contabilità – Calcolo della differenza di imposta relativa al mese precedente – Riferimento all’imposta divenuta esigibile nel secondo mese precedente
Fatto
La società contribuente ricevette la notifica di una cartella di pagamento, emessa in esito al controllo compiuto a norma dell’articolo 54bis del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972, che concerneva gli interessi e le sanzioni relativi al tardivo versamento dell’Iva.
Conseguiva, la cartella, al ravvedimento operoso operato dalla società che, tuttavia, secondo l’ufficio, non era dirimente, in quanto l’importo della sanzione versato unitamente all’imposta non era congruo.
La società impugnò la cartella e la Commissione tributaria provinciale respinse il ricorso, là dove, di contro, la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello, reputando, per un verso, che la contribuente ha provveduto a sanare col pagamento delle sanzioni la tardività dei versamenti e, per altro verso, che ha presentato denuncia integrativa, con l’opzione dell’affidamento a terzi della contabilità, di guisa che non si è determinato «il carico probatorio segnalato dall’ufficio».
Ricorre l’Agenzia delle entrate per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso a cinque motivi.
Replica la contribuente con controricorso.
Nelle more del procedimento di cassazione, la contribuente ha impugnato il diniego di definizione della lite pendente indicato in epigrafe, opposto dall’Agenzia, che ha ritenuto non definibile una lite fiscale concernente, come nel caso in esame, un atto di mera riscossione, ricognitivo di quanto dichiarato dal contribuente o dal sostituto d’imposta.
L’Agenzia delle entrate non spiega difese.
Diritto
1.- Va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi, in quanto pregiudizialmente connessi.
2.- Come già osservato dalla Corte, il diniego di condono è atto vincolato e non discrezionale, in ordine al quale la legge prevede la diretta impugnazione dinanzi alla Corte di Cassazione, quale organo dinanzi al quale pende la lite, che è in tal modo, eccezionalmente, investito della pienezza del giudizio.
Fatto, questo, che corrisponde, del resto, alla possibilità per la Corte di Cassazione di decidere nel merito quando cassa la sentenza impugnata per vizio di legittimità (espressamente in termini, Cass. 9 marzo 2005, n. 5092).
3.- Ciò posto, l’impugnazione del diniego di definizione è infondata. Indubbiamente, come sostiene la società, l’articolo 16 della legge numero 289/2002, richiamato dall’articolo 39, 12° comma, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, prevede la chiusura delle liti pendenti, definendo come “lite pendente” quella avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni ed ogni altro atto di imposizione, di guisa che, ha precisato la Corte, anche il ruolo può costituire atto di imposizione, in quanto con esso venga esercitata una pretesa tributaria, ossia la richiesta di una somma di danaro che l’amministrazione finanziaria ritiene dovuta dal contribuente e che il contribuente può contestare (Cass. 5092/2005).
3.1.- In particolare, ha precisato la Corte, la definizione agevolata delle liti fiscali pendenti postula l’esistenza di una lite, configurabile soltanto nel caso in cui controversia abbia ad oggetto pretese creditorie dell’amministrazione finanziaria ulteriori rispetto a quelle derivanti dagli elementi offerti dal contribuente; la lite, di contro, non è configurabile allorquando la controversia, come nel caso in questione, investa esclusivamente la correttezza di atti liquidatori, esaurendosi nel controllo dei criteri di fissazione del quantum dell’obbligazione, secondo gli stessi dati addotti dal debitore (Cass. 5 luglio 2011, n. 14811, la quale ha altresì precisato che, in tema di condono fiscale, non muta la natura della cartella di atto esecutivo anche se contestualmente siano state irrogate le sanzioni, dal momento che queste ultime ineriscono all’imposta principale nello stesso contesto; Cass. 17 novembre 2006, n. 24489; Cass. 12 maggio 2006, n. 11082).
3.2.- E ciò soprattutto ove si consideri la regola generale secondo la quale il condono fiscale, essendo un accertamento straordinario o eccezionale, in deroga alle norme generali ed ordinarie, di un rapporto giuridico tributario, non è ammissibile, in mancanza di un’esplicita disposizione legislativa, relativamente a un ulteriore accertamento straordinario, nel quale pur sempre si risolve il ravvedimento operoso: una diversa opzione equivarrebbe, come la Corte ha osservato in tema di condono su condono, ad ammettere un’eccezione di secondo grado (Cass., sez.un., 25 luglio 2007, n. 16412).
Sul piano generale, d’altronde, le norme che disciplinano i condoni tributari, essendo derogatorie rispetto a quelle generali dell’ordinamento tributario, integrano sistemi compiuti di natura eccezionale, di stretta interpretazione (Cass. 20 novembre 2012, n. 21364).
4.- Passando all’esame del ricorso iscritto al numero 23603/2009, col quinto motivo di ricorso, logicamente prodromico rispetto all’esame dei restanti, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 4, c.p.c., l’Agenzia delle entrate lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 36, 2° comma, numero 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, numero 546 e dell’articolo 118 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile in combinazione con l’articolo 132 del medesimo codice. L’ufficio si duole del fatto che, sebbene avesse eccepito nelle controdeduzioni all’appello della società che la cartella di pagamento era stata emessa perché la contribuente aveva versato l’imposta con un ritardo superiore a trenta giorni e sebbene la Commissione tributaria provinciale avesse accertato il ritardato pagamento, la Commissione tributaria regionale si è limitata ad affermare che «la contribuente ha provveduto a sanare con il pagamento delle sanzioni la tardività dei versamenti», senza dar conto del ragionamento adottato.
4.1.- Il motivo è infondato e va in quanto tale respinto.
La Corte ha già avuto occasione di rimarcare (vedi, in particolare, tra le tante, Cass. 27 maggio 2011, n. 11710) che non adempie il dovere di motivazione il giudice che non formuli alcuna specifica valutazione sui fatti rilevanti di causa, e dunque non ricostruisca la fattispecie concreta ai fini della sussunzione in quella astratta. In casi simili il sillogismo, che distingue il giudizio, finisce per esser monco della premessa minore, e dunque necessariamente privo della conclusione razionale.
4.2.- Nel caso in questione, la Commissione tributaria regionale ha correlato l’efficacia sanante del ravvedimento operoso alla circostanza della presentazione della denuncia integrativa che «ha confermato l’opzione dell’affidamento a terzi della contabilità». Opzione che, secondo la specificazione della Commissione, implica di dover fare «…riferimento, ai fini del calcolo della differenza di imposta relativa al mese precedente, all’imposta divenuta esigibile nel secondo mese precedente».
Sia pure in maniera stringata, dunque, l’iter della motivazione è evincibile dalla pronuncia.
5.- Parimenti prodromico rispetto agli altri motivi è il primo motivo dì ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 4, c.p.c., col quale l’Agenzia censura la disapplicazione dell’articolo 57, 1° comma, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, numero 546, segnalando che, pur essendo non contestato fra le parti che originariamente la contribuente aveva omesso di dichiarare esplicitamente l’affidamento a terzi della tenuta della sua contabilità, tanto che in primo grado essa lamentava che tale affidamento era provato dal suo comportamento concludente, la circostanza della gestione da parte di terzi della contabilità è stata affidata, in sede di appello, al fatto, da ritenere nuovo perché non dedotto in primo grado, dell’avvenuta presentazione di dichiarazione integrativa.
5.1.- Il motivo è infondato e va in conseguenza respinto.
Va premesso che nel processo tributario si ha domanda nuova per modificazione della causa petendi, inammissibile in appello, quando i nuovi elementi dedotti dinanzi al giudice di secondo grado comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere, in definitiva, una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado, e sulla quale non si è svolto in quella sede il Contraddittorio (vedi fra molte, Cass. 26 maggio 2008, n. 13509, Cass 13 ottobre 2006, n. 22010).
5.2.- E dunque evidente, già in base alla prospettazione del motivo, la sua infondatezza, in quanto il fatto che l’Agenzia reputa nuovo non è di per sé capace di mutare i termini della controversia, che pur sempre verte sull’affidamento a terzi della gestione della contabilità e sulla rilevanza di tale affidamento.
5.3.- Il motivo, oltre che in diritto, è infondato anche in fatto, giacché la sentenza anzitutto dà conto della proposizione della questione anche in primo grado, là dove riferisce in narrativa che «i giudici di primo grado hanno ritenuto, da un lato, che la contribuente non avesse in maniera esplicita effettuato la segnalazione circa l’affidamento a terzi della tenuta della contabilità (cosa pacifica e non contestata)…», per poi ritenere che la prospettazione della parte, di aver indicato, sia pure implicitamente, l’opzione per l’affidamento a terzi della tenuta della propria contabilità sin dal momento della dichiarazione fiscale, è stata tenuta ferma anche in appello: in definitiva, la circostanza della presentazione della dichiarazione integrativa appare, nella ricostruzione della sentenza, come mera conferma dell’intenzione già evidenziata sin dall’impugnazione dell’atto impositivo.
6.- Il punto centrale della vertenza è dunque affrontato col terzo motivo di ricorso, di rilevanza prodromica ed assorbente rispetto all’esame dei restanti due, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 5, c.p.c., col quale l’ufficio si duole dell’insufficienza della motivazione circa il fatto controverso e decisivo del momento in cui è stata comunicata dalla contribuente l’opzione per l’affidamento a terzi della propria contabilità.
6.1.- La sentenza, sul punto, si è limitata ad affermare che la contribuente «…implicitamente prima, ed esplicitamente poi, con la presentazione di denuncia integrativa, ha confermato l’opzione dell’affidamento a terzi della contabilità».
6.2.- Non è dunque adeguatamente esplicato in base a Quali elementi di fatto l’opzione sia stata implicitamente proposta e quando.
Il motivo va dunque accolto, determinando l’assorbimento degli altri, che postulano l’identificazione di tale momento, per verificare gli effetti riannodabili all’opzione, con riferimento al calcolo dell’imposta, in relazione al ravvedimento operoso, tenendo conto di quanto disposto dall’articolo 1 del D.P.R. 100/98, come modificato dall’art. 2, comma 3 del DPR 542/99, il quale dispone, nel terzo comma, che «il contribuente che affida a terzi la tenuta della contabilità può fare riferimento, ai fini del calcolo della differenza di imposta relativa al mese precedente, all’imposta divenuta esigibile nel secondo mese precedente» (in relazione al quale ed al previgente art. 27 del d.p.r. 633/72, si confrontino, da ultimo, Cass. 19 aprile 2013, n. 9558 e Cass., ord. 10 aprile 2013, n. 8814).
7.- La sentenza va in conseguenza cassata, con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Piemonte, per l’esplicitazione degli accertamenti omessi.
P.Q.M.
– dispone la riunione dei ricorsi iscritti ai numeri 23603/09 e 26391/12;
– rigetta il ricorso iscritto al numero 26391/12;
– rigetta il primo ed il quinto motivo del ricorso numero 23603/09;
– accoglie il terzo motivo del ricorso, assorbiti il secondo ed il quarto;
– cassa la sentenza impugnata;
– rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Piemonte.
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