Corte di Cassazione sentenza n. 18246 del 05 settembre 2011
PREVIDENZA ED ASSISTENZA – PENSIONE DI INVALIDITA’ – TRASFORMAZIONE IN PENSIONE DI VECCHIAIA – CONFIGURABILITA’ – PRESUPPOSTI – INDIVIDUAZIONE
massima
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La trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia al compimento dell’età pensionabile è possibile ove di tale ultima pensione sussistano i requisiti propri anagrafico e contributivo, non potendo essere utilizzato, ai fini di incrementare l’anzianità contributiva, il periodo di godimento della pensione di invalidità. Infatti, deve escludersi la possibilità di applicare alla pensione di invalidità la diversa regola prevista dall’art. 1, comma 10, della legge n. 222 del 1984 in riferimento all’assegno di invalidità – secondo cui i periodi di godimento di detto assegno nei quali non sia stata prestata attività lavorativa si considerano utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia – giacché ostano a siffatta operazione ermeneutica la mancanza di ogni previsione, nella normativa sulla pensione di invalidità, della utilizzazione del periodo di godimento ai fini dell’incremento dell’anzianità contributiva, il carattere eccezionale delle previsioni che nell’ordinamento previdenziale attribuiscono il medesimo incremento in mancanza di prestazione di attività lavorativa e di versamento di contributi, nonché le differenze esistenti tra la disciplina sulla pensione di invalidità e quella sull’assegno di invalidità, là dove quest’ultimo, segnatamente, è sottoposto a condizioni più rigorose, anche e soprattutto rispetto al trattamento dei superstiti.
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RITENUTO IN FATTO E DIRITTO
1. – B.S.C. si rivolse al giudice del lavoro di Barcellona Pozzo di Gotto per ottenere, a far data dal raggiungimento del requisito di età, la trasformazione della pensione di invalidità – in godimento in base al R.D.L. 14.4.39 n. 636 (e quindi antecedente alla 1. 12.6.84 n. 222) – in pensione di vecchiaia, ai sensi dell’art. 1, c. 10, della detta legge n. 222.
2. – Accolta la domanda e proposto appello dall’I., la Corte di appello di Messina con sentenza del 4.07.08 rigettava l’impugnazione, rilevando che sussisteva il diritto al mutamento della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia, in presenza dei prescritti requisiti anagrafici e contributivi, non esistendo nell’ordinamento previdenziale un principio ostativo in tal senso. Pertanto, facendo applicazione dell’art. 1, c. 10, della legge n. 222, riteneva i periodi di godimento della pensione di invalidità (nei quali non era stata prestata attività lavorativa) utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia, riconoscendo altresì la pensione di vecchiaia in importo non inferiore a quello della pensione di invalidità in godimento.
3. – Proponeva ricorso l’I., deducendo: 1.- violazione degli artt. 10 del R.D.L. n. 636 del 1939, 1, c. 6 e 10 e della legge n. 222 del 1984, rilevando che la disciplina della pensione di invalidità non consente l’accredito di contributi figurativi per il periodo di sua fruizione e che a tale conclusione non può pervenirsi in virtù di interpretazione estensiva o analogica della disciplina dell’assegno ordinario di invalidità di cui all’art. 1, c. 10, della legge n. 222; 2.- violazione dell’art. 1, c. 10, della legge n. 222, dell’art. 8 del D.L. 12.9.83 n. 463, in quanto, per l’inapplicabilità analogica dell’art. 1, c. 10 (per il quale l’importo della pensione rimane invariato solo nel casti di trasformazione dell’assegno ordinario di invalidità in pensione di vecchiaia), in mancanza di previsione legislativa non può riconoscersi che il diritto alla trasformazione in pensione di vecchiaia implichi anche il diritto a conservare l’eventuale trattamento economico più favorevole della pensione di invalidità concessa ex R.D.L. n. 636 del 1939.
Non svolgeva attività difensiva l’assicurata.
4. – Il consigliere relatore ai sensi degli artt. 380 bis e 375 c.p.c. depositava relazione, che era comunicata al Procuratore generale e notificata al difensore costituito assieme all’avviso di convocazione dell’adunanza. Disposto dal Collegio il rinnovo della notifica del ricorso, l’adunanza è stata nuovamente fissata per la data odierna. L intimata neppure in tale occasione ha svolto attività difensiva.
5. – L’art. 1, c. 10, della legge 12.6.84, n. 222, prevede che “Al compimento dell’età stabilita per il diritto a pensione di vecchiaia, l’assegno di invalidità si trasforma, in presenza dei requisiti di assicurazione e contribuzione, in pensione di vecchiaia. A tal fine i periodi di godimento dell’assegno nei quali non sia stata prestata attività lavorativa, si considerano utili ai fini del diritto e non anche della misura della pensione stessa. L’importo della pensione non potrà, comunque, essere inferiore a quello dell’assegno d’invalidità in godimento al compimento dell’età pensionabile”.
Il giudice di merito, partendo dal presupposto che deve affermarsi il diritto al mutamento della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia, in presenza dei prescritti requisiti anagrafici e contributivi, non esistendo nell’ordinamento previdenziale un principio ostativo in tal senso, ha fatto applicazione di detto art. 1, c. 10, ed è pervenuto a due conclusioni: a) i periodi di godimento della pensione di invalidità (nei quali non era stata prestata attività lavorativa) sono utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia (e non dell’importo della stessa); b) la pensione di vecchiaia deve essere in tal caso di importo non inferiore a quello della pensione di invalidità in godimento.
Circa l’applicabilità alla fattispecie in esame – in cui si chiede la trasformazione della pensione di invalidità concessa ex R.D.L. 1939 in pensione di vecchia – della norma in questione, la giurisprudenza della Corte di cassazione, correggendo un precedente favorevole orientamento (Cass. 7.2.08 n. 2875), ha affermato che “la trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia al compimento dell’età pensionabile è possibile ove di tale ultima pensione sussistano i requisiti propri anagrafico e contributivo, non potendo essere utilizzato, ai fini di incrementare l’anzianità contributiva, il periodo di godimento della pensione di invalidità. Infatti, deve escludersi la possibilità di applicare alla pensione di invalidità la diversa regola prevista dall’art. 1, c. 10, della legge n. 222 del 1984 in riferimento all’assegno di invalidità – secondo cui i periodi di godimento di detto assegno nei quali non sia stata prestata attività lavorativa si considerano utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia – giacché ostano a siffatta operazione ermeneutica la mancanza di ogni previsione, nella normativa sulla pensione di invalidità, della utilizzazione del periodo di godimento ai fini dell’incremento dell’anzianità contributiva, il carattere eccezionale delle previsioni che nell’ordinamento previdenziale attribuiscono il medesimo incremento in mancanza di prestazione di attività lavorativa e di versamento di contributi, nonché le differenze esistenti tra la disciplina sulla pensione di invalidità e quella sull’assegno di invalidità, là dove quest’ultimo, segnatamente, è sottoposto a condizioni più rigorose, anche e soprattutto rispetto al trattamento dei superstiti” (Cass. 7.7.08 n. 18580, ribadita da Cass. 6.10.09 n. 21292; più in generale si veda Cass., S.u., 19.5.04 n. 9492, la quale afferma il principio generale che è consentita la conversione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia solo nel caso che di questa siano maturati tutti i requisiti anagrafici e contributivi).
6. – Consegue a fondatezza del primo motivo e l’assorbimento del secondo, atteso che, il mancato conferimento della pensione di vecchiaia per mancanza del requisito contributivo esclude ogni questione di quantificazione.
7. – Il conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza deve essere cassata. Non essendo necessari altri accertamenti, ai sensi dell’art. 384, c. 1, c.p.c. deve provvedersi nel merito e rigettarsi la domanda.
Trattandosi di controversia riguardante prestazione previdenziale iniziata dopo l’ottobre 2003, vanno poste a carico dell’assicurata le spese dell’intero giudizio nella misura liquidata in dispositivo.
Per questi motivi
La Corte così provvede:
– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, provvedendo nel merito, rigetta la domanda;
– condanna B.S.C. alle spese dell’intero giudizio, che liquida in € 20 per esborsi, € 85 per diritti ed € 245 per onorari per il primo grado, in € 20 per esborsi, € 125 per diritti ed € 345 per onorari per il secondo grado ed in € 20 per esborsi ed € 400 per onorari per il giudizio di legittimità, oltre in tutti i casi spese generali, Iva e Cpa.
Così deciso in Roma il 12 luglio 2011