CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 ottobre 2013, n. 23323
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Notifica dell’avviso di trattazione – Mancato ricevimento da parte del ricorrente – Nullità della sentenza – Esclusione
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore, ricorre affidandosi a due motivi avverso la sentenza, indicata in epigrafe, la quale ha dichiarato la nullità della sentenza in primo grado perché la contribuente, (…) non aveva avuto notificato l’avviso di trattazione ex art. 31 del d.l.vo n. 546/92 presso la nuova residenza, mutata nel corso del giudizio.
(…) ha resistito con controricorso e successivo deposito di memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo -rubricato violazione dell’art. 38 d.lgs. n.546/92 nonché dell’art.327 c.p.c. in relazione all’art. 360 n.4 c.p.c- la ricorrente deduce che la Commissione tributaria regionale laziale avrebbe dovuto dichiarare l’appello inammissibile per tardività, essendo pacificamente trascorso il termine cd.”lungo” dal deposito della sentenza di primo grado. La Commissione tributaria della regione Lazio avrebbe, quindi, errato nel dichiarare la nullità della sentenza per l’omessa comunicazione/notificazione dell’avviso di trattazione, atteso che la parte era perfettamente a conoscenza della pendenza del processo avendolo essa stessa instaurato.
2. Il motivo, contrariamente a quanto eccepito in controricorso è ammissibile apparendo idoneo, sufficiente e rispondente ai requisiti di cui all’art. 366 bis c.p.c.
Il mezzo è anche fondato.
In materia, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermazione del principio (cfr, con riferimento al previgente contenzioso, Cass. 13978/00, 6952/96 e, con riferimento al contenzioso attualmente vigente, tra le altre Cass.3112/00, 8133/011; 1014/03; 4333/2002, 6466/2002, 5278/2003, 6375/2006, 13066/06, 16004/2009, n.12761/2011) secondo cui in tema di contenzioso tributario, l’art. 38 comma 3 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546 il quale esclude la decadenza dall’impugnazione per il decorso del termine (all’epoca annuale) “se la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza” presuppone che sussista la situazione di “ignoranza del processo” ovvero che la parte dimostri di non averne avuto alcuna conoscenza; tale situazione non si ravvisa in capo al ricorrente, costituito in giudizio, cui non può dirsi ignota la proposizione del ricorso né è necessario, per ravvisare quella conoscenza, che gli sia stata anche comunicata la data dell’udienza di discussione (come previsto dall’art.19, quarto comma del d.p.r. 26 ottobre 1972 n.636 ed ora dall’art.22 del d.lgs. 31.12.1992 n.546) benché questa omissione comporti la nullità della sentenza del primo giudice la quale si converte, ai sensi dell’art.161 c.p.c., in motivo di impugnazione esperibile nei termini di legge, la cui inosservanza determina il passaggio in giudicato della sentenza stessa.
Da tale orientamento consolidato si è, da recente, discostata questa stessa Sezione la quale, con sentenza n.6048 emessa in data 11.3.2013, ha affermato il diverso principio secondo cui nelle controversie in cui non risulti applicabile l’istituto della rimessione in termini dell’art.153 secondo comma c.p.c. (introdotta dalla legge 18.6.2009 n.69), il termine lungo per impugnazione delle sentenza di cui al primo comma dell’art.327 c.p.c. decorre, per la parte cui non siano stati debitamente comunicati né l’avviso di trattazione dell’udienza (ex art.22 del d.lgs. n.546 del 1992) né il dispositivo della sentenza (ex art.37 del d.lgs. cit.) dalla data in cui essa ha avuto conoscenza di tali sentenze.
La pronuncia giustifica il discostamento dall’orientamento tradizionale su un’interpretazione ispirata ai principi costituzionali (art.111 Cost.) ed a quelli della Corte europea (art.6 CEDU) come già richiamati da questa Corte (nella diversa ipotesi di overrulling) con riferimento all’istituto della remissione in termini di cui all’art.153, II comma c.p.c. come introdotto dalla legge 69/2009 (qui non applicabile ratione temporis).
Il Collegio ritiene, però, di non discostarsi dall’orientamento consolidato perché conforme al principio dell’intangibilità del giudicato e della certezza delle situazioni giuridiche e coerente sia ai principi costituzionali che a quelli dell’ordinamento comunitario. Sotto il primo profilo si è, infatti, già escluso (Cass.n.10497/03; id. n.24913/2006) ogni profilo di contrasto con gli articoli 24 e 3 Cost., poiché – anche alla luce delle indicazioni della sentenza n. 584 del 1980 della Corte costituzionale – una diversa disciplina del termine in argomento altererebbe il sistema delle impugnazioni, nel quale la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicché lo spostamento del “dies a quo” dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo ma restringerebbe irrazionalmente il campo dì applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata “ex officio”. E si è, altresì, rilevato come il regime delineato dall’art.327 c.p.c., comma 1, fosse stato ritenuto conforme al dettato costituzionale, in ragione della congruità del termine annuale previsto dalla norma (nella previsione antecedente alla legge n.69 del 2009) e del dovere di vigilanza della parte costituita in giudizio, in quanto coerentemente ispirato al necessario bilanciamento dell’inviolabile diritto di difesa con ineludibile principio di certezza delle situazioni giuridiche (cfr.Cass.n. 25320/2010 che richiama C.Cost n.297/08).
Sotto il secondo profilo, con la stessa pronuncia sopra indicata (Cass.n.25320/2010) , si è rilevato come, nell’ambito dell’ordinamento comunitario, la stessa corte di Giustizia ha consolidatamente riconosciuto “l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico comunitario sia negli ordinamenti giuridici nazionali e la necessità “al fine di garantire sia la stabilità del Diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia” che “le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili non possano essere più rimesse in discussione” (cfr. C.G. 3.9.2009 in causa C-2/08 Olimpiclub, intervenuta su questione pregiudiziale proposta proprio da questa Corte e, altresi, C.G. 30.9.2003 in causa 224/01 Kobler; C.G. 16.3.2006 in causa C-234/04 Kapfer).
E’ stato cosi, condivisibilmente, affermato che il giudicato interno correttamente formatosi ai sensi dell’art.327 c.p.c. è intangibile (cfr.C.G.,1.6.1999 in causa C-126/97 Eco swiss) e che detta norma, in quanto di generalizzata applicazione è connaturalmente in suscettibile di determinare discriminazioni in danno di situazioni di natura comunitaria (così salvaguardando il principio dì equivalenza), giacché come rilevato da C. Cost.297/08 realizza concretamente -in considerazione della congruità del termine fissato dall’art.327 c.p.c. e del dovere di vigilanza esigibile dalla parte costituita in giudizio l’equilibrato bilanciamento delle esigenze del diritto di difesa con quelle del principio di certezza delle situazioni giuridiche, principio quest’ultimo che la stessa Corte di Giustizia reputa ineludibile salvaguardare, attraverso la previsione dell’intangibilità delle “decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi”.
L’accoglimento del motivo comporta l’assorbimento del secondo motivo.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, la sentenza impugnata -che, erroneamente ha ritenuto la nullità della sentenza appellata, invece, di dichiarare, come avrebbe dovuto, l’impugnazione inammissibile siccome proposta, per come è pacifico, oltre il termine di cui al previgente art.327 c.p.c.-va cassata senza rinvio ai sensi dell’art.382, ultimo comma, c.p.c.
La particolarità della controversia e tutte le peculiarità della fattispecie inducono a compensare tra le parti le spese processuali dei gradi di merito.
In ossequio, invece, al principio di soccombenza, le spese processuali del grado di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo sulla base dei parametri di cui al D.M. n.140/2012, vanno poste a carico della controricorrente.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Compensa le spese processuali dei gradi di merito e condanna la controricorrente al pagamento delle spese in favore della ricorrente che liquida in complessivi euro 1.800 oltre spese prenotate a debito.
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