Corte di Cassazione sentenza n. 253 del 12 gennaio 2012
CONTENZIOSO TRIBUTARIO – AVVISO DI PAGAMENTO – ACCISE – ATTO IMPUGNABILE
massima
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L’avviso di pagamento in materia di accise costituisce atto impugnabile in via autonoma. L’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’articolo 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della pubblica amministrazione, sia in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge n. 488 del 2001.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La C. s.r.l. ricorre per cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Dogane (che resiste con controricorso successivamente illustrato da memoria) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di cartella di pagamento per accise evase su alcool etilico, la C.T.R. Lombardia riformava la sentenza di primo grado (che aveva accolto il ricorso della contribuente) affermando la validità della cartella opposta.
In particolare, premesso che nei confronti della contribuente (la quale utilizza nella propria attività alcol denaturato speciale in esenzione di accisa) era stato emesso avviso di pagamento seguito dalla cartella opposta, i giudici della C.T.R., accogliendo l’appello dell’Agenzia e rigettando l’appello incidentale della società, hanno affermato, per quel che in questa sede ancora rileva, che era intervenuta la definitività dell’avviso di pagamento in quanto il silenzio formatosi sul ricorso gerarchico proposto avverso lo stesso non era stato tempestivamente impugnato e che non sussisteva il denunciato difetto di motivazione della cartella opposta in quanto la parte era stata posta in condizione di difendersi adeguatamente, in diritto e nel merito, dalla pretesa tributaria.
2. Col primo motivo la ricorrente censura sotto il profilo della violazione di legge la sentenza impugnata rilevando che l’avviso di pagamento non è atto autonomamente impugnabile ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 e che pertanto è possibile per il contribuente, in sede di impugnazione della successiva cartella, formulare contestazioni anche in ordine al merito della pretesa fiscale. La ricorrente precisa altresì che l’avviso suddetto era stato impugnato con ricorso amministrativo del quale si attendeva la risposta quando era stata notificata la cartella esattoriale e che in quel momento (anno 2003) non era più possibile impugnare il suddetto avviso dinanzi al giudice ordinario in quanto la giurisdizione in materia di accise era passata al giudice tributario. La ricorrente aggiunge che all’epoca del passaggio della giurisdizione in materia al giudice tributario il procedimento amministrativo doveva considerarsi pendente, non potendo ritenersi formato il silenzio rigetto trascorsi 90 giorni dalla proposizione del ricorso in quanto, come dimostrato dalla documentazione prodotta dinanzi alla C.T.P., nel marzo 2002 era ancora in corso l’istruttoria, posto che in tale data l’Agenzia delle Dogane forniva un parere in merito al ricorso ed all’avviso suddetto. La ricorrente conclude il motivo con il seguente quesito di diritto: “dica la Corte di cassazione se l’avviso di pagamento ex art. 14 T.U. Accise sia atto impugnabile ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 e nel caso non lo sia se sia possibile per il contribuente nell’impugnare, la cartella derivante dalla pretesa tributaria, eccepire oltre ai vizi propri della cartella anche formulare contestazioni relative al merito della pretesa tributaria”.
La censura è infondata.
Secondo quanto riferito dalla stessa ricorrente, l’avviso di pagamento de quo fu notificato il 14.12.1999 e nel regime vigente in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2, (che ha modificato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, devolvendo alle Commissioni tributarie la giurisdizione in ordine alle relative controversie), l’avviso di pagamento emesso dall’UTIF era impugnabile in via amministrativa mediante il ricorso gerarchico previsto dal D.P.R. n. 1199 del 1971, art. 1 quale rimedio di carattere generale, facoltativo ed alternativo rispetto alla tutela giudiziaria, nonché mediante l’azione di accertamento negativo del debito d’imposta, da proporsi dinanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria entro il termine di prescrizione ordinaria (v. sul punto cass. n. 21530 del 2007).
La ricorrente non deduce di aver impugnato il suddetto avviso dinanzi al giudice ordinario, ma dichiara di avere, il 30.12.1999, proposto ricorso amministrativo (con successive integrazioni il 1.6.2000 e l’11.12.2000), al quale non era seguita alcuna risposta. Deve pertanto ritenersi la definitività dell’avviso, non risultando impugnato il silenzio sul ricorso amministrativo proposto.
E’ inoltre appena il caso di rilevare che solo l’emanazione dell’atto richiesto è idonea ad escludere il formarsi del silenzio-atto dopo il decorso del tempo prescritto, non essendo sufficiente ad escludere la formazione del silenzio la mera esplicazione di un’attività interna della PA, meno che meno se intervenuta dopo il decorso del tempo idoneo alla formazione del silenzio.
E’ infine da aggiungere che, anche ove al momento del passaggio della giurisdizione alle Commissioni tributarie l’avviso opposto non fosse divenuto ancora definitivo, esso era impugnabile in ogni caso ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che l’elencazione degli “atti impugnabili”, contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. n. 448 del 2001. Ciò comporta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è “naturaliter” preordinato, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 citato (v. cass. n. 4513 del 2009). Inoltre questa Corte, proprio con specifico riguardo alle accise, ha espressamente affermato che costituisce atto autonomamente impugnabile, ai sensi dell’art. 19 citato, l’avviso di pagamento previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14, che precede la procedura di riscossione, trattandosi di atto accertativo-impositivo del tributo, idoneo ad esprimere tale funzione, in quanto contiene tutti gli elementi per individuare la pretesa fiscale nell'”an” e nel “quantum” (v. cass. n. 18731 del 2009).
Col secondo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano affermato la definitività dell’avviso di pagamento senza considerare che era stata prodotta documentazione dalla quale emergeva che l’istruzione del ricorso amministrativo era ancora in corso nel marzo 2002 e che, in ogni caso, nella specie non esisteva alcun provvedimento formale di rigetto del ricorso amministrativo notificato al contribuente. La censura è inammissibile.
E’ appena il caso di rilevare che nella sentenza impugnata si da atto che si era formato il silenzio sul ricorso amministrativo, pertanto i giudici d’appello avevano ben considerato che non esisteva alcun provvedimento formale di rigetto del ricorso amministrativo notificato al contribuente. Ove poi la ricorrente abbia inteso dolersi non della mancata considerazione della inesistenza di un provvedimento formale bensì del fatto che i giudici d’appello non abbiano ritenuto che solo un provvedimento formale e notificato poteva essere oggetto di impugnazione, la censura sarebbe ugualmente inammissibile, posto che il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 riguarda l’accertamento in fatto, non la motivazione in diritto della sentenza impugnata e che eventuali errori in diritto di detta sentenza debbono essere fatti valere denunciando il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed esponendo il prescritto quesito di diritto.
Col terzo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa pronuncia in ordine a tutti i motivi relativi al merito della pretesa tributaria. La censura è infondata, posto che, una volta ritenuta la definitività dell’avviso di pagamento, i giudici d’appello non avevano la possibilità di pronunciarsi sul merito della pretesa tributaria.
Col quarto motivo, deducendo violazione di legge, la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver escluso il dedotto difetto di motivazione della cartella opposta.
La censura è inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo stato riportato in ricorso il testo dell’atto della cui motivazione si discute. In proposito, occorre rilevare che questa Corte ha ripetutamente affermato che, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso -, è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo (v. cass. n. 15867 del 2004).
3. Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00 di cui Euro 3.400,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.
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