Corte di Cassazione sentenza n. 3821 del 15 febbraio 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – PETROLCHIMICO – AMIANTO – MALATTIE PROFESSIONALI (SILICOSI E ASBESTOSI) – DIRITTO AL BENEFICIO DELLA RIVALUTAZIONE CONTRIBUTIVA
massima
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In tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, alla stregua di un’interpretazione adeguatrice dell’art. 13 della L. n. 257/1992 applicabile, nella specie, “ratione temporis”, l’art. 18, comma 8, della L. n. 179/2002 ha attribuito validità alle certificazioni rilasciate dall’INAIL sulla base degli atti di indirizzo ministeriali, cui le norme collegano determinati effetti giuridici, con la conseguenza che, versandosi fuori dell’area dei poteri autoritativi, l’interessato è abilitato a contestare in giudizio, con ogni mezzo, il potere certificativo e i risultati di questi accertamenti e che, tuttavia, l’accertamento tecnico dell’INAIL offre presunzioni gravi, precise e concordanti che il giudice ben può porre a base della decisione, ove non siano state mosse specifiche contestazioni dall’interessato in ordine all’erroneità dell’accertamento, sul quale interessato, in ogni caso, incombe l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi del diritto azionato.
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FATTO
La Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 22.6-17.7.2007, rigettò il gravame proposto dall’Inps avverso la pronuncia di prime cure che aveva riconosciuto a (Omissis), in relazione all’attività lavorativa dal medesimo svolta nello stabilimento petrolchimico di (Omissis), il diritto al beneficio della rivalutazione contributiva ai sensi della L. 257/1992, art. 13, comma 8, per il periodo compreso dal 4.1.1971 al settembre 1985.
A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò quanto segue:
l’Inail deve uniformarsi ai criteri generali ed astratti del cosiddetto protocollo Guerrini, nel senso che deve verificare l’esistenza di tutte le condizioni attestate dall’azienda e rilevanti per lo stesso protocollo;
quello dell’Inail è perciò un potere soltanto ricognitivo, che può essere disatteso in sede giudiziaria laddove, come nel caso di specie, l’Istituto abbia annullato, senza motivazione alcuna, un proprio precedente provvedimento, rilasciato ai fini del conseguimento dei benefici de quibus;
nel caso di specie il primo Giudice aveva accertato in concreto (attraverso la documentazione prodotta e la prova testimoniale espletata) tutte le condizioni previste dal protocollo Guerrini affinché l’Inail rilasciasse la certificazione richiesta per il riconoscimento dei beneficio (continuità e regolarità di svolgimento di mansioni proprie di operatore esterno di produzione preposto, con una rotazione su tre turni, agli impianti di produzione a ciclo continuo);
su tali punti di merito non vi era stata alcuna contestazione da parte dell’Istituto appellante, onde sui medesimi si era formato il giudicato.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, l’Inps ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato con memoria.
L’intimato (Omissis) ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
DIRITTO
1. Il ricorso è stato notificato l’8.7.2008 (cfr. relata in calce); il controricorso è stato consegnato all’Ufficiale Giudiziario per le notifica in data 14.11.2008 (cfr. il cd. cronologico in calce), quando perciò era decorso il termine di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1.
Ne discende l’inammissibilità del controricorso e della memoria illustrativa, potendo la parte partecipare soltanto alla discussione orale, come avvenuto nella fattispecie.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. 179/2002, art. 18 e dell’art. 2697 c.c., deducendo che la normativa richiamata ritiene valide, ai fini del conseguimento del beneficio previdenziale, soltanto le certificazioni “rilasciate o che saranno rilasciate dall’INAIL” e non conferisce affatto valore presuntivo, come invece ritenuto nella sentenza impugnata, agli atti di indirizzo emanati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali prima dell’entrata in vigore della medesima legge; pertanto, poiché nel caso in esame il lavoratore non era in possesso della certificazione l’Inail, atteso che l’attestazione a suo tempo rilasciata era stata annullata dallo stesso Istituto, sarebbe stato suo onere provare l’esposizione qualificata ultradecennale, ma tale prova non era stata fornita; né poteva ritenersi che il potere di certificazione conferito all’Inail si esaurisse nel mero riscontro di corrispondenza fra le mansioni considerate a potenziale rischio espositivo dall’atto di indirizzo ministeriale e quelle in concreto espletate, richiedendo invece profili di maggiore complessità e approfondimento.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione, rilevando che la Corte territoriale non aveva motivato in modo sufficiente il proprio convincimento di ritenere il lavoratore esposto all’asbesto in concentrazioni superiori alla soglia minima di cui al D.Lgs. n. 277/1991 e D.Lgs. n. 257/2006, art. 2.
3. Non sono ravvisabili vizi di inammissibilità del ricorso, sia perché le doglianze di cui al primo motivo investono il valore probatorio da riconoscere agli atti di indirizzo previsti dalla Legge n. 179 del 2002, art. 18 (onde al riguardo non sono ravvisabili profili di violazione del principio di autosufficienza in relazione al concreto contenuto del pertinente atto di indirizzo) e, in relazione ad esse, sono esposte chiaramente le ragioni giuridiche dell’impugnazione ed è stato formulato un coerente quesito di diritto, sia perché, in relazione al secondo motivo (svolto con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è stata riportata la specifica indicazione del fatto controverso in ordine al quale è stato dedotto il vizio motivazionale.
4. I motivi, tra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente.
La Legge n. 179 del 2002, art. 18, comma 8, prevede che “le certificazioni rilasciate o che saranno rilasciate dall’INAIL sulla base degli atti di indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge sono valide ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali previsti dalla Legge 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8, e successive modificazioni e questa Corte ha condivisibilmente affermato che tali atti di indirizzo non possono essere utilizzati direttamente come prova della esposizione qualificata, esprimendo solo criteri generali e astratti, ai quali l’Inail dovrà poi conformarsi per l’accertamento in concreto della misura e della durata della esposizione, sicché l’esistenza delle condizioni per il diritto al beneficio può essere provata solo dalla certificazione Inail, fermo restando che, non costituendo detta certificazione un provvedimento autoritativo, il diritto al beneficio può comunque essere provata in giudizio attraverso gli ordinari mezzi di prova (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 27451/2006, 13403/2007, 11276/2007, 10037/2007).
Nella fattispecie in esame, come specificamente rilevato nella sentenza impugnata, il primo Giudice aveva accertato in concreto la sussistenza di tutte le condizioni previste dal cosiddetto protocollo Guerrini perché l’Inail rilasciasse la certificazione e l’Inps non aveva contestato tale accertamento di merito, onde sul medesimo si era formato il giudicato interno.
Nè l’Istituto ha dedotto di avere ritualmente allegato e provato che la revoca della certificazione da parte dell’Inail avesse trovato la sua giustificazione in circostanze diverse da quelle ritenute rilevanti ai fini de quibus.
Ne consegue che correttamente la Corte territoriale, non già fondandosi soltanto sui meri criteri generali ed astratti di cui all’atto di indirizzo, bensì per effetto della riconosciuta e non contestata ricorrenza fattuale degli elementi concreti atti ad individuare, sulla scorta delle previsioni del protocollo, la sussistenza delle condizioni previste per la concessione del beneficio, ha ritenuto assolto l’onere probatorio incombente sul lavoratore (cfr, con riferimento a fattispecie sostanzialmente analoghe, Cass., nn. 3095/2007; 17977/2010).
Dal che discende l’infondatezza dei motivi svolti.
5. In definitiva il ricorso va dunque rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo in relazione alla sola attività processuale validamente svolta, seguono la soccombenza.
Non può disporsi la distrazione delle spese a favore dei difensori dell’intimato, poiché la relativa richiesta è stata formulata in atti (controricorso e memoria illustrativa) inammissibili per le ragioni già espresse, onde di tale richiesta non può tenersi conto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 1.050,00 (millecinquanta), di cui euro 1.000,00 (mille) per compenso, oltre accessori come per legge.
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