COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE UDINE – Sentenza 12 maggio 2020, n. 70
Tributi – Accisa sul gas naturale – Credito residuo – Utilizzo in compensazione
Svolgimento del processo
1. La Società (…) (C.F./P. IVA (…) con sede legale in (…) rappresentata e difesa, con ricorso iscritto al R.G.R. n. 413/2019, impugna innanzi all’intestata Commissione Tributaria Provinciale l’avviso di pagamento prot. n. 9512/RU del 4/4/2019 emesso dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Direzione Interregionale per il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia – Ufficio delle Dogane di Udine – Area Gestione Tributi di Udine, notificato il 4/4/2019 per€ 13.411,90; nonché – con distinto ricorso iscritto al R.G.R. n. 414/2019 – il contestuale atto di irrogazione delle sanzioni prot. n. 9513/RU del 4/4/2019, mediante il quale l’Ufficio ha richiesto il pagamento della sanzione del 30% ex art. 13, comma 1, D. Lgs. n. 471/1997, calcolata sulle accise accertate non versate, pari a € 4.023,57.
1.1. Gli atti impositivi impugnati discendono dal p.v.c. redatto in data 29/1/2019 dall’Ufficio nei confronti della (…), soggetto obbligato e cliente grossista di gas naturale per la provincia di Udine, afferente al controllo documentale della dichiarazione di consumo gas naturale per l’anno 2017, presentata dalla società in data 27/3/2018. Al “Quadro L” di tale dichiarazione, risultava indicato dalla Società un importo dell’accisa a credito di € 11.673,85. Dal controllo del conto intestato alla società relativo al cap. 1421 (rate di acconto di accisa sul gas naturale) emergeva che la contribuente, a decorrere dal 31/3/2016, data di presentazione della dichiarazione di consumo gas naturale relativa all’anno 2015, aveva maturato un credito di imposta pari a € 94.568,59. Emergeva, inoltre, che la stessa Società aveva utilizzato in compensazione il detto credito per tutte le rate di accisa dovute negli anni 2016, 2017 e 2018 e, con riferimento a tale ultimo anno, anche per le rate dovute oltre il termine del 31/3/2018, entro il quale – secondo l’Ufficio – a pena di decadenza poteva essere usato in compensazione il credito residuo sorto il 31/3/2016 e doveva, conseguentemente, essere presentata l’istanza per ottenere il rimborso delle somme residue a credito per un importo pari a € 21.338,12, per non incorrere nella decadenza stabilita all’art. 14, comma 2, del D. Lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 – T.U.A (Testo Unico delle Accise). La Società, invece, ha continuato a compensare il credito residuo di € 21.338,12 con i debiti relativi alle rate di accisa successive al 31/3/2018, mentre avrebbe dovuto avanzare entro tale termine decadenziale domanda di rimborso dello stesso. L’Ufficio ha, pertanto, contestato alla (…) omesso versamento dei seguenti importi, per un totale pari a € 13.411,90:
– conguaglio di accisa relativo alla rata di agosto 2018 pari a € 2.599,84 con scadenza 31/8/2018;
– rata di accisa dovuta per il mese di settembre 2018 pari a € 2.703,14 con scadenza 1710/2018;
– rata di accisa dovuta per il mese di ottobre 2018 pari a € 2.703,14 con scadenza 31/10/2018;
– rata di accisa dovuta per il mese di novembre 2018 pari a € 2.703,14 con scadenza 30/11/2018;
– rata di accisa dovuta per il mese di dicembre 2018 pari a € 2.703,14 con scadenza 27/12/2018.
2. La Società odierna ricorrente ha, altresì, presentato due ulteriori ricorsi, rispettivamente: iscritto al R.G.R. 429/2019, quello proposto avverso l’avviso di pagamento prot. n. A-5874-8234 RU del 22 marzo 2019, con cui le Dogane richiedono il pagamento di € 2.703,14 a titolo di accise, di € 162,19 a titolo di indennità di mora e di € 0,79 a titolo di interessi, contestando alla Società, in relazione alla rata di gennaio 2019, di avere operato il già descritto meccanismo di compensazione dei crediti maturati; ed iscritto al n. 428/2019, quello presentato avverso l’atto di irrogazione delle sanzioni prot. n. 8236 RU del 23 marzo 2019, con cui le Dogane richiedono il pagamento della sanzione del 30% ex art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997, calcolata sulle accise asseritamente non versate, pari a € 806,94.
3. I motivi di impugnazione proposti dalla Società ricorrente nei quattro ricorsi sopra indicati possono così essere sintetizzati:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 14 TUA, il quale riguarderebbe unicamente i versamenti “indebiti” e non già conguagli a credito risultanti dalla dichiarazione nell’ambito del fisiologico funzionamento del meccanismo dell’accisa
2) Sussistenza del diritto all’utilizzo in compensazione dei crediti maturati in favore di (…) anche oltre la data del 31/3/2018, non essendosi verificata alcuna decadenza ai sensi dell’art. 14, TUA;
3) Violazione del diritto al contraddittorio preventivo circa l’asserita erroneità nella compilazione delle dichiarazioni di consumo, non contestata dall’Ufficio in sede di p.v.c.
Con specifico riferimento ai ricorsi iscritti ai nn. 428/19 e 429/19 R.G.R.
4) Violazione del contraddittorio preventivo con il contribuente antecedente alla notifica dell’avviso di pagamento prot. n. 8234/RU del 22/3/2019 e dell’atto di irrogazione delle sanzioni prot. n. 8236/RU del 22/3/2019.
La Società ricorrente chiede in via principale l’annullamento degli atti impositivi impugnati, con vittoria dì spese e onorari di causa.
4. L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Direzione Interregionale per il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia – Ufficio delle Dogane di Udine, ritualmente costituitasi, resisteva in giudizio controdeducendo su tutti i motivi di ricorso ex adverso proposti. Precisamente, l’Ufficio riteneva di avere correttamente applicato, nella fattispecie, il disposto dell’art. 14, comma 2, D.Lgs. n. 504/95, dal momento che il rimborso dell’accisa indebitamente pagata deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento, a prescindere dalle cause per le quali il pagamento non è dovuto, non essendo consentito distinguere tra le cause per le quali il pagamento non è dovuto, perché il suo carattere indebito è considerato rilevante in sé, nella sua oggettività e non essendo possibile riconoscere l’automatica rinnovabili del credito maturato a decorrere dal 31/3/2016 per effetto della presentazione entro il 31 marzo di ogni anno della relativa dichiarazione di consumo, poiché la Società non ha riportato il credito maturato nell’anno 2015 nelle dichiarazioni successive. In relazione all’avviso di pagamento e all’atto di irrogazione sanzioni di cui ai ricorsi iscritti ai nn. 428/19 e 429/19 R.G.R., l’Ufficio puntualizza che l’importo residuo del credito, pari a € 21.338,12, non richiesto a rimborso entro il 31/3/2018, è stato incamerato per intervenuta decadenza così che, alla data del riscontro contabile effettuato dall’Ufficio in data 14/3/2019, la situazione del “conto ditta” della società non consentiva allo stesso di poter ricollegare l’omesso versamento alla presunta compensazione che la società sostiene di aver operato, semplicemente perché non vi era più alcuna evidenza del credito. Nessuna violazione del diritto al contraddittorio si sarebbe verificata, neppure in relazione all’avviso di pagamento e all’atto di irrogazione sanzioni di cui ai ricorsi iscritti ai n. 428/19 e 429/19 R.G.R., trattandosi – in questo caso – di attività di mera rilevazi da parte dell’Ufficio di comportamenti omissivi del contribuente e consistenti nel mancato assolvimento di oneri tributari già oggetto di accertamento.
L’Ufficio chiede in via principale la reiezione di tutti i ricorsi, con vittoria di spese.
5. Non essendosi addivenuti ad una soluzione conciliativa della vertenza, i processi sono pervenuti alla odierna pubblica udienza, nella quale sono stati riuniti. Parte ricorrente ha comunicato la rinuncia a comparire, in via prudenziale rispetto all’incipiente emergenza sanitaria, insistendo comunque per raccoglimento di tutte le sue domande; a sua volta la rappresentante dell’ufficio ha ribadito le deduzioni e conclusioni già formulate per iscritto.
Motivi della decisione
6. Non sussiste, innanzitutto, la lamentata violazione del diritto al contradditorio.
Con riguardo agli atti impositivi impugnati, infatti, laddove essi siano stati preceduti da p.v.c. (ricorsi iscritti ai nn. 413/19 e 414/19 R.G.R.), risulta che la Società ricorrente è stata messa in grado di esercitare tutte le difese, già in sede endoprocedimentale, con le osservazioni presentate in data 26/3/2019, ove si contestavano i rilievi ivi contenuti, e che l’Ufficio ne ha tenuto conto, pur respingendole, comunicando nell’atto impositivo le motivazioni per le quali le stesse non potevano essere accolte.
Quanto agli atti impugnati con i ricorsi nn. 428/18 e 429/19 R.G.R., la violazione contestata dall’Ufficio (il mancato versamento di una rata mensile di accisa in acconto), non essendo conseguenza di alcuna attività di accesso, ispezione o verifica condotta nei confronti della Società ricorrente, non fa sorgere il diritto al contraddittorio endoprocedimentale di cui all’art. 7, L. 212/2000.
Anche in questo caso, ad abundantiam, si rileva che in alcun modo risulta violato il diritto di difesa, stanti l’articolazione e il livello di dettaglio dei motivi di ricorso, che denotano una piena e completa conoscenza delle motivazioni fondanti gli atti impugnati (in senso conforme, si vedano, ex multis, C.T.P. Udine, sentenze n.100/11/2019 dd. 21.6.19; n. 228/11/2019 dd. 27.9.2019).
7. Nel merito degli altri motivi dei ricorsi, le impugnazioni sono, invece, fondate.
8. Viene, nella fattispecie, in rilievo la disciplina delle accise in materia di fornitura di gas naturale.
Precisamente, ai sensi dell’art. 26, comma 1, del D.lgs. n. 504/95 (Testo Unico Accise), la fornitura agli utenti finali di gas naturale destinato agli usi civili, industriali e autotrazione, nonché l’autoconsumo di quello da sé estratto, sono soggetti ad accisa, in base alle aliquote stabilite nell’allegato 1 del TUA.
La richiamata disposizione, al comma 7, indica i soggetti obbligati alla corresponsione del tributo e, tra questi, rientra la Società ricorrente, ai sensi della lett. a) del medesimo comma 7, in quanto procede alla fatturazione del gas naturale ai consumatori finali dislocati sul territorio nazionale.
Il meccanismo di liquidazione dell’accisa è scandito da alcuni adempimenti, indicati nel richiamato art. 26 TUA, che si oggettivano nella presentazione, da parte del contribuente, di una dichiarazione annuale contenente tutti gli elementi per determinare il debito d’imposta e nel versamento del tributo dovuto – come risultante dalla predetta dichiarazione annuale – con acconti mensili e conguaglio annuale. Precisamente, il pagamento dell’accisa è effettuato in rate d’acconto mensili, da versare entro la fine di ciascun mese, calcolate sulla base dei consumi dell’anno precedente, mentre il versamento a conguaglio viene saldato entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui si riferisce; gli importi eventualmente corrisposti in eccedenza rispetto all’imposta dovuta a conguaglio sono detratti dai successivi versamenti in acconto (comma 13, TUA).
La procedura per il rimborso delle accise è, invece, regolata dall’art. 14 TUA nel testo vigente ratione temporis, ove si specifica che: “1. L’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata (…) 2. (…) il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data di pagamento ovvero dalla data in cui il relativo diritto può essere esercitato. 3. Per i prodotti per i quali è prevista la presentazione di una dichiarazione da parte del soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro due anni dalla data di presentazione della dichiarazione ovvero, ove previsto dalla specifica disciplina dì settore, all’atto della dichiarazione contenente gli elementi per la determinazione del debito o del credito d’imposta.” Alla scadenza del termine biennale è correlata la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso.
9. Nel caso di specie, è accaduto che la società contribuente, avendo maturato, all’esito della dichiarazione presentata il 31/3/2016, un credito di imposta pari a € 94.568,59, ha utilizzato tale credito in compensazione sulle rate di acconto delle mensilità successive (da aprile 2016 in avanti). Ciò è avvenuto anche per le annualità 2017 e 2018 e – per quanto riguarda l’orizzonte temporale coperto dalla presente disamina – fino a gennaio 2019.
L’Ufficio contesta tale modus operandi, affermando la legittimità di tale compensazione soltanto fino al 31/3/2018, mentre a decorrere da tale data, secondo la prospettazione dell’Agenzia delle Dogane, la Società ricorrente, non avendo tempestivamente richiesto il rimborso del residuo credito (quantificato in € 21.338,12), sarebbe incorsa nella decadenza di cui all’art. 14, comma 2, TUA.
Da ciò sarebbe conseguita – sempre secondo l’impostazione seguita dall’Ufficio – l’illegittimità delle ulteriori compensazioni effettuate dalla contribuente nel corso del 2018 a partire dal mese di aprile e, con riguardo alla mensilità di gennaio 2019, l’omesso versamento della corrispondente accisa in acconto per assenza di un credito da compensare essendo stato, il residuo credito di cui sopra, incamerato dall’erario in forza della intervenuta decadenza dal diritto di chiederne il rimborso.
10. La Commissione prende atto, innanzitutto, che non è in contestazione la sussistenza originaria del credito maturato dalla Società contribuente all’esito del conguaglio riferito all’anno 2015 (esposto con la dichiarazione presentata il 31/3/2016), pari a € 94.568,59. Anche l’Ufficio, infatti, ne allega solo la sopravvenuta estinzione per incameramento in seguito alfa (ritenuta) decadenza verificatasi al 31/3/2018 (ovverosia non contesta che il credito sia sorto, ma sostiene soltanto che si poi estinto).
Come risulta dagli atti, è, pertanto, pacifico che (…) opera provvedendo alla liquidazione e al versamento delle accise sul gas fornito ai propri clienti, in conformità alla normativa di cui al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504. Rispetto alla provincia di Udine, la Società fornisce gas naturale da aprile 2014 e, negli anni, ha maturato un credito d’imposta pari, al momento della presentazione della Dichiarazione di consumo sul gas naturale (anno 2015) trasmessa telematicamente il 31 marzo 2016, a € 94.568,59.
Un secondo profilo pacifico concerne la modalità di formazione di detto credito d’imposta. Si tratta del meccanismo fisiologico di funzionamento dell’accisa sul gas naturale, in virtù del quale la Società ha versato acconti che, calcolati ai sensi dell’art. 26 TUA sulla base dei consumi dell’anno precedente, si sono rivelati, a fine periodo, eccedenti rispetto all’imposta dovuta sui consumi effettivi.
11. Ciò premesso, l’obbligazione tributaria nascente dal rapporto regolato dall’art. 26 TUA, come sopra sinteticamente illustrato, è assoggettata alla disciplina generale nascente dalla L. 212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente) e, in particolare dall’art. 8, comma 1, di tale fonte normativa, a cui mente “L’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione.” È difficile sostenere che quello espresso così chiaramente in una disposizione dello “Statuto del contribuente” non debba essere riconosciuto come un principio di portata generale. Certo la negazione del principio non può basarsi sul successivo comma 8, che fa salve solo “in via transitoria” le disposizioni all’epoca vigenti e rimanda alla normativa regolamentare solo per dare attuazione al principio ormai affermato. Non sfugge a questo collegio che la giurisprudenza di legittimità è prevalentemente di contrario avviso, in quanto afferma che: “In materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, riscossione e rimborso ed ogni deduzione sono regolate da specifiche e inderogabili norme di legge“; e che “Tale principio non può considerarsi superato per effetto dell’art. 8, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (cd. statuto dei diritti del contribuente)” (Cass. 9.7.2013, n° 17001). Ma non mancano sentenze di diverso tenore, in particolare con riferimento alla compensazione tra crediti e debiti relativi a imposte caratterizzate dalla medesima fattispecie imponibile e, quindi, a maggior ragione, nel caso della medesima imposta (Cass. 24.11.2010, n° 23787; Cass. 22.12.2014, n° 27178).
12. In ogni caso, a ben vedere, nel caso di specie non è in discussione l’operatività della compensazione in se stessa, bensì la decadenza dal diritto di credito che la contribuente oppone in compensazione. Infatti, l’Ufficio nega la legittimità della compensazione sulla base dell’art. 14, comma 2, TUA, che si riferirebbe – questa la prospettazione sviluppata nelle controdeduzioni – a tutti i pagamenti indebiti, senza possibilità di distinzioni, fondandosi sulla giurisprudenza di legittimità pronunciatasi in questa materia e, in particolare, invocando il principio enunciato dalla Cassazione con la recente sentenza n. 13724 del 31/5/2017, ove si legge:
Il ricorso è fondato, alla luce del principio, affermato da questa Corte, per cui in tema di imposte sul consumo dell’energia elettrica, il D. Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 14, comma 2, (T.U. delle imposte sulla produzione e sui consumi) ha introdotto una regola generale per la quale il rimborso dell’accisa indebitamente pagata deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento, a prescindere dalle cause per le quali il pagamento non è dovuto. Ne consegue che detto termine trova applicazione anche nel caso in cui l’accisa sia stata debitamente pagata, e sia sopravvenuta una causa di non debenza tributo”.
13. La Commissione, concordando con la prevalente giurisprudenza di merito (ex multis, cfr. C.T.R. Lombardia, Sez. XXXV, 30 gennaio 2013, n. 19; C.T.P. Roma, Sez. XXXVIII, 17 gennaio 2018, n. 1438), osserva che, nel caso di specie, la regola che stabilisce il termine di decadenza biennale per la richiesta di rimborso dei “pagamenti indebiti” non può trovare applicazione nella fattispecie, poiché tali (ovverosia “indebiti”) possono essere considerati, ai sensi dell’art. 2033 c.c., i pagamenti effettuati in assenza di causa solvendi (tipicamente il caso, cui si riferisce – per inciso – anche la sopra richiamata pronuncia della Cassazione allegata dall’Ufficio, in cui sopravvenga una modifica normativa con effetti retroattivi della norma impositiva o del fatto tassabile; oppure l’ipotesi di un errore del contribuente sul fatto che genera l’obbligo impositivo o sulla esistenza o portata applicativa della norma tributaria).
Tale non è, per converso, il pagamento effettuato dal contribuente in adempimento di obblighi di legge e in conformità ai meccanismi tipici del tributo, come accade con la disciplina dell’accisa regolata dal TUA, rilevante nella fattispecie. In siffatto contesto giuridico-normativo, infatti, i pagamenti in acconto mensili sono dovuti non solo nell’an, ma anche nel quantum, poiché il loro ammontare deve essere calcolato sulla base di precisi parametri di legge (nel caso che qui occupa, gli acconti mensili sono corrisposti avuto riguardo ai dati rilevati nèl corrispondente mese dell’anno precedente).
L’ipotesi disciplinata dal comma 2 dell’art. 14 TUA si pone, in altri termini, come una soluzione a garanzia del contribuente che – in linea con la disciplina generale della decadenza – gli consente di richiedere il rimborso di quanto “indebitamente pagato”, facendo espressamente decorrere il termine biennale “dalla data del pagamento”: eloquente dato letterale che circoscrive l’area della fattispecie decadenziale, escludendo i crediti maturati in esito alle dichiarazioni di conguaglio, che costituiscono fattispecie giuridicamente diversa da un “indebito pagamento”.
Tale ricostruzione pare ulteriormente validata, a contrario, dall’osservazione che la disciplina della decadenza biennale di cui all’art. 14, comma 2, TUA, se applicata al credito emergente al momento di presentazione della dichiarazione di consumo, annuale, comprimerebbe irragionevolmente la possibilità per il contribuente, chiedere il rimborso (il credito in questione, infatti, nel momento in cui sorge, con conguaglio annuale, è già “datato” rispetto al momento in cui si sono effettuati singoli pagamenti di acconto mensili, ai quali, a rigore, l’art. 14, comma 2, cit ricollega la decorrenza del termine decadenziale de quo).
14. Non operando, pertanto, nella fattispecie, il termine decadenziale biennale, bensì l’ordinario termine di prescrizione decennale, ne discende, quale primo elemento di certezza, che il credito maturato dalla Società ricorrente non era venuto meno, né si era estinto al momento in cui la (…), lo utilizzò con le contestate compensazioni.
15. Ne consegue, altresì, che, in difetto di disposizione specifica (tale non potendo ritenersi – per i motivi sopra esposti – la disposizione dell’art. 14, comma 2, TUA), si attua, nella fattispecie in disamina, la compensazione del credito maturato dalla Società con le successive rate di acconto dovute ai sensi dell’art 26 TUA, come naturale effetto di legge secondo la disciplina generale delle obbligazioni (art. 1241 e ss. c.c.) e la stessa previsione della normativa fiscale (art. 8, comma 1, L. 212/2000).
16. Deve, a questo punto, essere esaminato l’ulteriore profilo formale, affacciato dall’Ufficio in sede di controdeduzioni, afferente alla ritenuta non compensabilità del credito qualora non riportato nella dichiarazione annuale. L’Agenzia delle Dogane di Udine, invero, non ha accolto la prospettazione della automatica rinnovabili del credito maturato a decorrere dal 31/3/2016 per effetto della presentazione entro il 31 marzo di ogni anno della relativa dichiarazione di consumo (in virtù di tale meccanismo, il termine biennale di decadenza previsto dall’art. 14, comma 2, TUA per la presentazione dell’istanza di rimborso decorrerebbe solo dalla data in cui il meccanismo della detrazione non possa più operare). Secondo l’Ufficio, “il conguaglio indicato in dichiarazione di consumo costituisce un nuovo saldo, attivo o passivo, relativo a quell’anno d’imposta; ogni esercizio costituisce un dato contabile autonomo. Diversamente, perciò, da quanto sostenuto da controparte, l’eventuale saldo a credito non si può riportare nella dichiarazione di consumo dell’anno successivo, in altre parole, un saldo a credito non si somma al conguaglio dell’anno successivo.
Per legge il conguaglio a credito va utilizzato in detrazione negli acconti dell’anno successivo fino ad esaurimento del credito e, comunque, entro i due anni dal maggior versamento ai sensi dell’art. 14 del TUA va richiesto in rimborso il residuo di credito non utilizzato.” Ne deriverebbe, ad avviso dell’Agenzia delle Dogane di Udine, che “il credito vantato dalla Società ricorrente e annotato nella dichiarazione annuale di consumo relativa all’anno 2015 poteva essere utilizzato in detrazione dei successivi versamenti di acconto fino al 31/3/2018, sicché la Società avrebbe dovuto richiedere il rimborso in denaro del credito, a pena di decadenza, entro tale ultima data per il residuo importo a credito.”
17. Secondo la disciplina del già richiamato art. 26, comma 13, TUA, il conguaglio (calcolato dalla differenza tra l’accisa liquidata nell’anno d’imposta, e i ratei d’acconto dovuti versati mensilmente nell’anno stesso), se “a debito”, deve essere versato “entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui sì riferisce”; se “a credito”, “le somme eventualmente versate in eccedenza all’imposta dovuta sono detratte dai successivi versamenti di acconto”.
Il fatto che la Società ricorrente non abbia riportato in dichiarazione il credito specifico non vale – in assenza di una specifica disposizione di legge che stabilisca, per tale omissione, là perdita o la decadenza dalla possibilità di utilizzare il credito ovvero di chiederne la restituzione – a determinare tale negativa conseguenza, per il principio generale in forza del quale ogni decadenza dalla possibilità di esercitare un diritto deve trovare nella legge espressa e specifica previsione. È questo, del resto, il principio generale applicato dalla giurisprudenza di vertice laddove – sia pure in differente contesto ma pur sempre nell’ambito della materia tributaria – ha affermato il principio che “qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta, non trova applicazione, ai fini del rimborso del relativo importo, il termine di decadenza previsto dall’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973, ma l’ordinario termine di prescrizione decennale, non occorrendo la presentazione di una apposita istanza, in quanto l’amministrazione finanziaria, informata con la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente, è posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria” (così, Cass., Sez. Un., 7 febbraio 2007, n. 2687; Cass,, Sez. Trib., 20 febbraio 2013, n. 4145; nella giurisprudenza di merito, C.T.P. Pisa, Sez. I, 8 gennaio 2019, n.16).
Invero, l’Agenzia delle Dogane, avendo l’opportunità di controllare tutti gli anni, e mese per mese, ai sensi del comma 1 dell’art. 56 D.Lgs. n. 504 del 1995, quanto consumato e versato, è messa costantemente in grado di verificare la correttezza dell’operato dei contribuenti in rapporto al meccanismo di eventuale compensazione dei crediti maturati con le rate di acconto dovute, potendo, in caso di irregolarità agire in recupero ai sensi dell’art.15 del medesimo TUA (C.T.R. Lombardia, Sez. VII, 17 gennaio 2018, n. 2250). In tale contesto, pertanto, è assicurata dinamica stessa del tributo l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici e, nello specifico, del rapporto tributario.
Ne consegue che il credito d’imposta in materia di accise esposto nella dichiarazione annuale di consumo costituisce un credito che si rinnova annualmente al momento di tale dichiarazione, non verificandosi, pertanto, alcuna decadenza se non al maturare del biennio decorrente dalla data in cui il meccanismo della detrazione non possa più operare, per la mancanza di ulteriori importi a debito.
Alla luce di tali considerazioni, deve pertanto considerarsi legittimo l’operato della Società ricorrente, che ha portato in compensazione, negli anni successivi, l’importo maturato a credito in rapporto all’obbligazione tributaria intercorrente con l’Agenzia delle Dogane di Udine.
18. Ne consegue, pertanto, in accoglimento dei ricorsi riuniti, l’annullamento degli atti impositivi impugnati.
19. Le spese, che seguono la soccombenza, sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie i ricorsi riuniti e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati; condanna l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Direzione Interregionale per il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia – Ufficio delle Dogane di Udine al pagamento, in favore della Società (…), delle spese del presente grado di giudizio, quantificate in euro 3.000, oltre al 15% quale rimborso forfetario e al rimborso dei contributi unificati.
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