COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE VENEZIA – Ordinanza 05 giugno 2019, n. 85

Imposte e tasse – Riscossione – Remunerazione del servizio – Imposizione a carico del debitore di un aggio percentuale pari al 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo o al 9 per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, a seconda che il pagamento avvenga o meno entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella. – Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), art. 17, comma 1, nel testo sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2

Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 1192/2014 depositato il 13 novembre 2014, avverso la cartella di pagamento n. 119 2014 00111951 69 000 – con riferimento alla pretesa concernente l’aggio di riscossione contro Equitalia Nord S.p.a. – Agente di riscossione – Provincia di Venezia; Proposto dalla ricorrente Azienda ULSS 12 Veneziana, Via (…);

 Difesa da prof. avv. L.T., ed elettivamente domiciliata presso lo studio, in Venezia – Mestre 30172, Via (…);

 In data 3 settembre 2014, a seguito della sentenza n. 8320/2014 della Corte di cassazione, è stata notificata alla ricorrente la cartella sopra indicata. A mezzo di tale cartella Equitalia -Nord S.p.a. intima il pagamento di complessivi euro 4.249.745,75 a titolo di imposte, sanzioni, interessi e compensi di riscossione, per gli anni dal 1998 al 2001

 In particolare, viene richiesta la somma di euro 188.838,07 per compensi (aggio) di riscossione.

 Nell’udienza del 29 marzo 2019 la causa è stata discussa sulle seguenti conclusioni nell’interesse della ricorrente: Chiede che la Commissione – in diritto e in via pregiudiziale – sollevi innanzi alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, decreto legislativo n. 112/1999 per contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 76 e 97 della Costituzione; e in via principale dichiarare nulla, ovvero illegittima in toto o in parte, ed in tal caso annullarsi in toto o in parte, la cartella di pagamento con riferimento alla pretesa dell’aggio di riscossione; in via subordinata, dichiarare nulla, ovvero illegittima in toto e in parte, ed in tal caso annullarsi in toto o in parte, la cartella di pagamento, per errata determinazione dell’aggio di riscossione, e condannare la controparte al rimborso delle somme eventuale percette nelle more del processo e al pagamento delle spese del giudizio. Nel dettaglio le cifre riportate nell’atto impugnato:

– anno 1998: imposte, interessi e sanzioni iscritti a ruolo euro 1.024.828,27 – compensi di riscossione euro 47.654,54;

– anno 1999: imposte, interessi e sanzioni iscritti a ruolo euro 1.010.123,39 – compensi di riscossione euro 46.970,74;

– anno 2000: imposte, interessi e sanzioni iscritti a ruolo euro 1.216.915,98 – compensi di riscossione euro 56.586,59;

– anno 2001: imposte, interessi e sanzioni iscritti a ruolo euro 809.039,34 – compensi di riscossione euro 37.620,32;

 Totali: imposte interessi e sanzioni euro 4.060.906,98 – Aggio di riscossione euro 188.838,07.

 Il ricorso riguarda unicamente i compensi di riscossione determinati sulla somma iscritta nel ruolo della predetta cartella.

 A sostegno del ricorso, la ricorrente deduce i seguenti motivi.

Illegittimità costituzionale dell’art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999 per contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 76 e 97 della Costituzione.

 Nel provvedimento impugnato si legge che parte dell’importo totale che asseritamente risulta non pagato è composto da somme pretese a titolo di «compenso di riscossione» per euro 188.838,07.

 La parte ricorrente assume che tali compensi di riscossione non siano dovuti, e in questa sede sono oggetto di specifica contestazione, in quanto la norma che li prevede è affetta da incostituzionalità.

 I compensi di riscossione sono richiesti dall’Agente della riscossione ai sensi dell’art. 17 (sotto la rubrica «Remunerazione del servizio»), comma 1, del decreto legislativo n. 112/1999, nella versione applicabile al caso di specie, in cui si legge: «l’attività degli agenti della riscossione è remunerata con un aggio, pari al nove [“otto” ex decreto-legge n. 95/2012] per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora e che è a carico del debitore».

 Detto onere è a carico del debitore in misura parziale in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella, integralmente, in caso contrario.

 Si riportano di seguito le ragioni che la parte ricorrente ha dedotto a sostegno della questione di legittimità costituzionale

1) Premesse.

 La parte ricorrente assume che l’art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999, nella formulazione sopra riportata, tuttavia, contrasta sotto diversi aspetti con i principi costituzionali degli articoli 3, 23, 24, 53, 76 e 97. Si tratta di una posizione condivisa da copiosa giurisprudenza di merito, tant’è che, allo stato attuale, pendono al vaglio della Corte costituzionale due ordinanze, emesse, rispettivamente, dalla Commissione tributaria provinciale di Latina (n. 40 del 29 gennaio 2013) e dalla Commissione tributaria provinciale di Torino (n. 147 del 18 dicembre 2013).

 A mezzo di tali ordinanze i Giudici di primo grado hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale della disciplina sulla remunerazione del servizio di riscossione, di cui al citato art. 17.

 Non solo. Anche la Commissione tributaria provinciale di Roma ha rimesso alla Consulta la valutazione circa la legittimità costituzionale dell’art. 17 (ordinanza n. 271/2010), con riferimento al principio di uguaglianza nonchè con riferimento all’art. 53 della Costituzione.

 E tuttavia, in tal caso, senza esprimersi sul merito della vertenza, la Corte ha dichiarato la questione inammissibile per «difetto di rilevanza della questione sollevata, dal momento che il giudice rimettente non ha in alcun modo illustrato, anche solo sommariamente, le ragioni di infondatezza degli altri motivi di ricorso, pure spiegati in via principale nel giudizio a quo ed aventi “priorità logica”».

 In definitiva, i Giudici tributari continuano a farsi interpreti delle perplessità sulla legittimità dell’art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999, la cui formulazione, come si è detto, appare in aperto contrasto con numerosi principi costituzionali.

 Ciò vale a maggior ragione se si considerano le norme che successivamente hanno modificato il testo dell’art. 17 ora in esame (recate dall’art. 13-quater del decreto-legge n. 201/2011, nonchè dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 95/2012).

 Nella sua ultima formulazione, non ancora attuata in assenza dell’apposito decreto, l’art. 17, comma 1, dispone che «al fine di assicurare il funzionamento del servizio nazionale della riscossione, per il presidio della funzione di deterrenza e contrasto dell’evasione e per il progressivo innalzamento del tasso di adesione spontanea agli obblighi tributari, gli agenti della riscossione hanno diritto al rimborso dei costi fissi risultanti dal bilancio certificato, da determinare annualmente, in misura percentuale delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, con decreto non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, che tenga conto dei carichi annui affidati, dell’andamento delle riscossioni coattive e del processo di ottimizzazione, efficientamento e riduzione dei costi del gruppo Equitalia S.p.a. Tale decreto deve, in ogni caso, garantire al contribuente oneri inferiori a quelli in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto. Il rimborso di cui al primo periodo è a carico del debitore: a) per una quota pari al 51 per cento, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella. In tal caso, la restante parte del rimborso è a carico dell’ente creditore;

b) integralmente, in caso contrario».

 Dalla lettura del nuovo testo di legge (il quale definisce con precisione i criteri che disciplinano la determinazione dei «costi fissi» suscettibili di rimborso), nonchè dalle implicite censure, nei confronti della precedente formulazione, in esso contenute, emerge con chiarezza che la previgente norma – che ha trovato applicazione nel caso di specie – è in urto con i principi dell’ordinamento costituzionale e, in particolare, con il principio di ragionevolezza insito nell’art. 3 della Costituzione.

2) Profili di illegittimità costituzionale. Violazione dell’art. 3 Cost. e dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza.

 Il menzionato art. 17 risulta nella sua disciplina irragionevole, illogico nonchè discriminatorio e si pone in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, il quale sancisce il principio di uguaglianza e di ragionevolezza.

 Anzitutto, è irragionevole e illogico in quanto non risponde alle finalità perseguite dal legislatore come evidenziate nel disegno di legge n. 1750 («Conversione in legge del decreto-legge n. 262 del 2006»), in cui si precisa: «poichè lo svolgimento della sola riscossione coattiva si presenta particolarmente oneroso, la nuova disposizione assicurerà agli agenti della riscossione la possibilità di fruire di un livello di remunerazione adeguato all’onerosità dell’attività».

 Ora, stabilire che l’aggio della riscossione sia pari a una percentuale delle somme riscosse non consente di commisurare la remunerazione al costo effettivo del servizio.

 Infatti, così ragionando, in caso di iscrizione di tributi di importo esiguo, si finirebbe per determinare un compenso al di sotto del livello minimo di remuneratività del servizio; diversamente, in caso di iscrizione di tributi di ammontare elevato, si riconoscerebbe un compenso di riscossione di gran lunga superiore ai costi della procedura esecutiva, finendo per escludere in ogni caso l’imprescindibile legame tra remunerazione del servizio ed attività di riscossione.

 In altri termini, l’irrazionalità deriva dalla circostanza che detta misura non assicura che la gestione del servizio sia volta soltanto alla copertura dei costi. Tant’è che il pagamento è dovuto anche in assenza di costi, mentre l’importo dell’aggio dovrebbe corrispondere al costo della prestazione.

 Sotto un differente punto di vista, inoltre, la normativa in oggetto è irragionevole anche per difetto di proporzione della misura dei compensi.

 I menzionati oneri di riscossione sono palesemente sproporzionati rispetto ai costi sostenuti da Equitalia S.p.a., soprattutto in considerazione dell’assenza di un limite massimo fisso entro il quale l’aggio deve essere applicato.

 Quanto poc’anzi argomentato trova conferma alla luce del pronunciamento reso dalla Consulta in ordine al giudizio di legittimità costituzionale concernente la misura dei compensi spettanti ai concessionari del servizio di riscossione delle imposte operanti in Sicilia:

 «In una fattispecie in cui il compenso per il concessionario del servizio di riscossione dei tributi è (senza contestazioni sul piano della legittimità) posto a carico del contribuente, che a quel servizio ha dato causa con il suo inadempimento all’obbligo di una veritiera e precisa denuncia, la prevista determinazione di tale compenso in misura percentuale del tributo (1%) con il contestuale correttivo di un prestabilito importo minimo (L. 15.000) e massimo (L. 300.000) è volta infatti a realizzare (con l’utilizzazione di un meccanismo necessariamente articolato in termini medi e forfettari un opportuno ed effettivo ancoraggio della remunerazione al costo del servizio; contemporaneamente impedendo, per un verso, che, in caso di iscrizione di tributi di importo eccessivamente limitato (inferiore a L. 1.500.000) la misura percentuale del compenso scenda al di sotto del livello minimo di remuneratività del servizio e, per converso, che, in caso di iscrizione di tributi di ammontare elevato (superiore a L. 30.000.000) il compenso stesso salga notevolmente al di sopra della predetta soglia di copertura del costo della procedura» (Corte costituzionale, sentenza 30 dicembre 1993, n. 480).

 Quindi, secondo il Giudice delle leggi, l’introduzione di una disposizione che prevede la remunerazione del servizio di riscossione in misura percentuale al tributo, non è irragionevole soltanto a condizione che venga prestabilito un importo minimo e massimo entro cui l’aggio deve necessariamente essere contenuto, altrimenti la remunerazione del servizio risulta del tutto slegata dall’effettivo costo dell’attività di riscossione.

 Orbene, trasferendo il suddetto principio all’importo dell’8%, è indubbio che il comma 1 dell’art. 17 sia irragionevole e, dunque, in contrasto con l’art. 3 Cost., giacchè il contribuente è costretto a pagare dei compensi di riscossione che aumentano al crescere dell’importo iscritto.

 In assenza di un prefissato tetto massimo – giova ribadire – l’aggio non risulta più ancorato alla effettiva remunerazione del costo sostenuto dall’Agente della riscossione.

 Ad esempio, se una cartella di pagamento reca un’iscrizione a ruolo di 10.000,00 euro, l’aggio è pari 800,00 euro. Se la stessa cartella di pagamento reca, invece, un’iscrizione a ruolo di 100.000,00 euro, l’aggio aumenta a 8.000,00 euro. E ancora, se l’importo iscritto a ruolo nella cartella ammonta a 1.000.000,00 euro, il compenso di riscossione giunge a ben 80.000,00 euro.

 Nel caso di specie, i compensi giungono addirittura a 188.838.07 euro. Il compenso di riscossione, quindi, cresce a dismisura senza alcuna limitazione.

 Per il solo motivo di avere stampato un atto privo di parte motiva (cartella di pagamento), limitandosi a riprodurre quanto indicato nel ruolo, Equitalia S.p.A. può quindi incassare anche decine di migliaia di euro (come nel caso in esame), essendo l’aggio parametrato unicamente al valore del ruolo.

 In altre parole, l’aggio percentuale – essendo calcolato proporzionalmente su ogni tributo iscritto a ruolo – risulta del tutto svincolato dagli effettivi costi di riscossione, perdendo in questo modo la sua connotazione di controprestazione economica per l’attività esplicata dall’Agente della riscossione.

 La norma, priva di qualsiasi effettivo e opportuna ancoraggio detta remunerazione del costo del servizio, espone i contribuenti a pretese di rimborso di costi non giustificati, indimostrati ed esorbitanti.

 La disposizione in parola, determinando una percentuale fissa applicabile a ogni importo, crea una disparità di trattamento tra i contribuenti soggetti al servizio, in quanto, a parità di servizio reso (compilazione delta cartella), il compenso varia in relazione agli importi dovuti.

 A ciò si aggiunga, infine, che i compensi di riscossione maturano anche sulle somme asseritamente dovute a titolo di interessi, di sanzioni pecuniarie e sui costi di notifica e non soltanto sulle imposte richieste, ossia su voci accessorie che nulla hanno a che fare con la pretesa tributaria!

 Sicchè, l’irragionevolezza della norma si manifesta sotto un ulteriore profilo, laddove vengono computati nel montante su cui calcolare l’aggio anche gli interessi dovuti all’ente impositore titolare del credito d’imposta, venendo in tal modo a riconoscere ad un soggetto terzo, l’Agente della riscossione, un sovrappiù a titolo di interessi, su somme da quest’ultimo non anticipate nè tantomeno sborsate.

3) Profili di illegittimità costituzionale. Violazione dell’art. 23 Cost. e del principio di riserva di legge.

 La violazione del principio di riserva di legge è evidente se si considera che i compensi di riscossione costituiscono in concreto prestazioni patrimoniali imposte: esse sono legittime, però, solo se previste «in base alla legge». La riserva di legge relativa stabilita dalla Costituzione impone, infatti, che il legislatore ordinario individui il presupposto e la misura della prestazione.

 Ciò non è avvenuto nel caso dei compensi di riscossione, mancando sia una disposizione di legge che se pur genericamente individui gli atti esecutivi o comunque gli altri oneri di riscossione a carico del contribuente sia una norma che preveda la misura del costo dell’esecuzione coattiva.

 E difatti, proprio in riferimento alla misura della prestazione la giurisprudenza della Corte costituzionale ha ritenuto che il principio della riserva di legge è rispettato nei casi in cui la norma indica la misura massima dell’aliquota, o comunque fissa i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’imposizione da parte dell’Ente di riscossione (Corte costituzionale, sentenze n. 72 del 1969 e n. 507 del 1988).

4) Profili di illegittimità costituzionale. Violazione dell’art. 24 Cost. e del diritto alla difesa.

 In merito, poi, alla violazione dell’art. 24 della Costituzione e del principio alla difesa, si osserva che l’art. 17 è illegittimo nella parte in cui non impone al Concessionario di indicare nella sezione «dettaglio degli addebiti» gli atti esecutivi compiuti in ogni singolo procedimento di riscossione.

 Il legislatore, infatti, con l’art. 17 del decreto legislativo n. 112 del 1999, così come strutturato, avalla la possibilità per i concessionario di chiedere il pagamento di asseriti costi che hanno il loro fondamento in attività esecutive non conosciute nè conoscibili, magari mai poste in essere, impedendo, per l’effetto, allo stesso debitore in mora il controllo della proporzionalità (o addirittura della effettiva necessità) delle attività poste in essere dall’ente di riscossione.

5) Profili di illegittimità costituzionale. Violazione dell’art. 53 Cost. e del principio di capacità contributiva.

 Relativamente alla violazione del principio di capacità contributiva contenuto nell’art. 53 della Costituzione, si evidenzia come porre a esclusivo carico dei contribuente gli oneri (tra l’altro non specificati) dell’Agente della riscossione, in caso di omesso pagamento dei tributi, contrasta con il suindicato principio costituzionale, in quanto l’imposizione tributaria all’atto della riscossione ed aumentata dei compensi di riscossione non risulterebbe più ommisurata al potere del cittadino di concorrere alle spese pubbliche con la propria redditività.

 In definitiva, al contribuente si richiederebbe, oltre alla pretesa fiscale esposta nel ruolo, il pagamento di rilevanti compensi di riscossione che nulla hanno a che fare con la capacità individuale di ciascuno di concorrere alla spesa pubblica secondo le disponibilità economiche.

 L’art. 53 della Costituzione, giova rammentarlo, nello stabilire che «tutti devono concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva», individua nella capacità contributiva il presupposto, il parametro ed il limite massimo all’imposizione: non è, infatti, consentito richiedere al cittadino un concorso alle spese pubbliche non commisurato. I compensi della riscossione realizzano una chiara violazione del principio della capacità contributiva, in quanto le imposte dovute sono debiti ma, mai possono i debiti essere indici di ricchezza.

 D’altra parte, come a suo tempo osservato dalla Commissione tributaria provinciale di Roma, la mancanza di connessione tra aggio e capacità contributiva causa inoltre una discriminazione tra i contribuenti, i quali si vedono «privati del diritto a dosare la propria contribuzione in base al reddito, scegliendo in questo modo l’intensità delle proprie prestazioni lavorative».

6) Profili di illegittimità costituzionale. Violazione dell’art. 76 Cost. e dei limiti della legge delega.

 Il decreto legislativo n. 112/1999 («Riordino del servizio nazionale della riscossione») è stato emanato su legge delega del 28 settembre 1998, n. 337, in cui è stabilito all’art. 1, comma 1, che «il Governo è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni volte al riordino della disciplina della riscossione e del rapporto con i concessionari e con i commissari governativi provvisoriamente delegati alla riscossione, al fine di conseguire un miglioramento dei risultati della riscossione mediante ruolo e di rendere più efficace ed efficiente l’attività dei concessionari e dei commissari stessi, con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi (…) lettera e): previsione di un sistema di compensi collegati alle somme iscritte a ruolo effettivamente riscosse, alla tempestività della riscossione e ai costi della riscossione».

 È evidente come il legislatore abbia inteso ancorare i compensi della riscossione ai costi effettivamente sostenuti dal concessionario per riscuotere in via coattiva le pretese tributarie rimaste insolute.

 Come poc’anzi esposto, l’art. 17 prevede un aggio di riscossione in misura percentuale, non prescrivendo alcuna verifica puntuale e precisa dei costi realmente sostenuti per la riscossione dei ruoli affidati dall’ente creditore, in chiara violazione della lettera della legge delega.

 Ciò vale sia in generale, sia con specifico riferimento ai costi sostenuti per la riscossione delle imposte dovute dal singolo contribuente.

 La disposizione, dunque, si pone in netto contrasto con i limiti imposti dalla legge e finisce per violare i principi e i criteri normativi imposti ex lege a una legislazione delegata.

7) Profili di illegittimità costituzionale. Violazione dell’art. 97 Cost. e dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.

 Da ultimo, con riguardo alla violazione dell’art. 97 della Costituzione, si osserva come le disposizioni dell’art. 17, non rispettino i principi dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione.

 L’assenza di un dettato normativa che in modo preciso individui le procedure di riscossione, la tipologia degli atti esecutivi e i relativi costi e soprattutto la mancanza di una forma di responsabilità del concessionario per la scelta dell’esecuzione da intraprendere nell’ambito della propria attività, di recupero crediti espone il contribuente al rischio di vedersi onerato da costi ingenti per azioni inutili (inesistenza di beni da aggredire) o eccessivamente dispendiose con pregiudizio al buon andamento e all’imparzialità dell’azione amministrativa.

 Ma non solo, le finalità dell’art. 17 sono in contrasto con il buon andamento dell’Amministrazione finanziaria, perchè non sono dirette ad assicurare l’efficienza del servizio di riscossione, utilizzando criteri e modalità irrazionali.

 In particolare, l’Agente della riscossione è un imprenditore collettivo che non assume alcun rischio d’impresa (Corte costituzionale, sentenza n. 7/1993, in cui il concessionario del servizio di riscossione, nel previgente sistema normativo di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1988, viene espressamente qualificato come «imprenditore»).

 Infatti, nell’attuale disciplina Equitalia non si accolta affatto il rischio della mancata riscossione delle imposte iscritte a ruolo dall’Ufficio finanziario, dato che può esercitare il diritto di discarico per inesigibilità previsto dall’art. 19 del decreto legislativo n. 112/1999 (con decorrenza 26 febbraio 1999, l’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 37/1999 ha, infatti, abrogato l’obbligo del non riscosso come non riscosso di cui all’art. 32, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1988 secondo cui: «La consegna dei ruoli costituisce il concessionario debitore dell’intero ammontare delle somme iscritte nei ruoli stessi, che debbono essere da lui versate alle scadenze stabilite ancorchè non riscosse»).

 Sicchè l’Agente della riscossione non subisce alcun danno patrimoniale per effetto dell’inadempimento del contribuente, e ciò contrasta con il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione.

 Tanto più che ora il servizio di riscossione coattiva delle imposte non è più gestito da concessionari privati, bensì da un ente pubblico. Al riguardo giova ricordare che, per effetto dell’art. 3 del decreto-legge n. 203/2005, è stato riformato il sistema nazionale di riscossione dei tributi attraverso la soppressione del sistema di affidamento in concessione del servizio di riscossione a soggetti privati e l’attribuzione del predetto servizio ad una società di nuova costituzione, denominta Riscossione S.p.a. (ora, Equitalia S.p.a.).

 Anche sotto questo aspetto, si manifesta con tutta evidenza la sproporzione degli aggi che la legge riconosce all’Agente della riscossione rispetto all’attività svolta, anche nelle ipotesi in cui la stessa risulti infruttuosa per inesigibilità del credito erariale.

8) Illegittimità della cartella di pagamento. La determinazione dei compensi dl riscossione è errata, in quanto non rispetta le modalità di calcolo di cui al combinato disposto dell’art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999 e dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 95/2012.

 Solo in via di subordine la parte ricorrente ha eccepito l’erroneità della determinazione dei compensi di riscossione.

 L’art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 95/2012 ha stabilito «la diminuzione, sui ruoli emessi dal 1° gennaio 2013, di un punto della percentuale di aggio sulle somme riscosse dalle società agenti del servizio nazionale della riscossione».

 Tale disposizione ha riverberato i propri effetti sull’art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999 e, conseguentemente, l’aggio è passato dal 9% all’8%, come regola generale, e dal 4,65% al 3,65% nel caso in cui le somme vengano versate entro sessanta giorni dalla notifica della cartella.

 Poichè, nel caso di specie, il ruolo n. 2014/000558 è stato emesso in data 16 giugno 2014 e, quindi, successivamente al 1° gennaio 2013, l’importo dell’aggio entro le scadenze esposto nella cartella è errato.

 Infatti, le somme pretese da Equitalia S.p.a. ammontano al 4,65% degli importi iscritti a ruolo e non, invece al 3,65% degli stessi, come invece avrebbe dovuto essere ai sensi del menzionato art. 5 del decreto-legge n. 95/2012.

 Peraltro, i compensi di riscossione entro le scadenze risulterebbero determinati in modo errato anche laddove si ritenesse applicabile l’attuale formulazione dell’art. 17 (pur in assenza del decreto attuativo), il quale prevede che se il pagamento avviene entro sessanta giorni dalla notifica della cartella, l’aggio è in parte a carico del contribuente (per il 51% del totale e, quindi, per il 4,08% con l’aggio all’8%) e per la restante parte è a carico dell’ente creditore.

 In definitiva, la cartella di pagamento impugnata merita di essere annullata, almeno parzialmente, in quanto le cifre in essa riportate, con riferimento agli aggi di riscossione, sono errate.

 La ricorrente richiamava precedenti pronunce di merito della Commissione tributaria provinciale di Treviso, della Commissione regionale di Venezia e della Commissione regionale di Milano.

9) La difesa della parte resistente. Equitalia Nord S.p.a., costituitasi in giudizio con controdeduzioni in data 5 maggio 2015, chiedeva che fosse accertata e dichiarata la correttezza della cartella di pagamento impugnata. Con articolate controdeduzioni contestava tutti i motivi del ricorso sostenendo la regolarità della cartella di pagamento. In riferimento alla natura del compenso evidenziava che l’aggio è determinato ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999, pari al nove per cento delle somme iscritte a ruolo, riscosse e dei relativi interessi di mora e che è carico del debitore: a) in misura del 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella di pagamento. Equitalia Nord richiamava giurisprudenza di merito a supporto alle proprie ragioni.

Concludeva, pertanto, nel senso del totale rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

La Commissione, valutata e condivisa la richiesta di remissione sollevata dalla ricorrente secondo cui l’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 112/1999, così come modificato dall’art. 32, comma 2, del decreto legislativo n. 185/2008, presenta profili di incostituzionalità essendo in contrasto con la Carta costituzionale relativamente agli articoli 3, 23, 24, 53, 76 e 97 della Costituzione, osserva:

a) in punto di rilevanza della questione.

L’eccezione sollevata dalla ricorrente del controllo di costituzionalità dell’art. 17, decreto legislativo n. 112/1999 appare rilevante e pertinente ai fini della decisione da parte di questo Collegio.

Benvero, il motivo di impugnazione che la parte ricorrente ha formulato in via di subordine sotto il profilo di illegittimità della modalità di calcolo dell’aggio (capo 8 della descrittiva in fatto di questa ordinanza) appare infondato e non accoglibile, sicchè i dubbi di costituzionalità non potrebbero essere superati a mezzo dell’accoglimento dell’anzidetta ragione di impugnazione. In riferimento all’asserita illegittimità della cartella di pagamento, in quanto la determinazione dei compensi di riscossione non rispetterebbe le modalità di calcolo di cui al combinato art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999 e dall’art. 5, comma 1 del decreto-legge n. 95/2012, a parere del Collegio, l’infondatezza dell’eccezione è da ravvisarsi nel fatto che la modifica intervenuta per effetto dell’art. 5, decreto-legge n. 95/2012 con legge n. 135/2012, se ha effettivamente determinato una riduzione di un punto percentuale complessivo di remunerazione del servizio, non riguarda però la quota parte a carico del ricorrente, giacchè anche nel caso in cui il pagamento avvenga entro il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella, detta quota è rimasta pari al 4,65%.

b) In punto di non manifesta infondatezza della questione. Tutti i dubbi espressi dalla parte ricorrente a riguardo della costituzionalità della norma qui in esame appaiono non manifestamente infondati e da condividersi, sicchè di essi non sarà necessaria una disamina puntuale e analitica (dovendosi essi considerare recepiti e trascritti per extenso in questa sede), potendosi la Commissione limitarsi all’esame di qualche specifico aspetto che appare di maggiore evidenza.

b.1) La Commissione rileva preliminarmente che codesta Corte costituzionale, con sentenza n. 480 del 30 dicembre 1993 ha già stabilito che la misura dell’aggio deve ritenersi ragionevole (e quindi costituzionalmente legittima) se essa è contenuta in un importo minimo e massimo che non superi di molto la soglia di copertura del costo della procedura.

 Nella predetta sentenza la Corte ha concluso per la «non irragionevolezza dell’obiettivo perseguito dalla norma impugnata» sulla premessa che i criteri fissati nella disciplina ivi in considerazione per la determinazione dell’agio fossero «in linea, del resto, con i principi al riguardo enunciati dalla richiamata legge di delega, nel senso appunto della determinazione del compenso in discussione anche secondo criteri “di congruità ai costi medi del servizio, al fine di assicurarne l’equilibrio economico”». Solo per questa ragione la Corte ritenne che «resta anche esclusa l’ipotizzata discriminazione in danno del contribuente chiamato a corrispondere un compenso di importo in tesi superiore a quello del tributo iscritto in ruolo, proprio in ragione del riferito complessivo meccanismo di compensazione e bilanciamento di un tale inconveniente con il vantaggio (economicamente più rilevante e probabilmente anche statisticamente più frequente) del contenimento del compenso stesso entro il limite massimo, per singola voce, corrispondentemente stabilito».

 Nello stesso senso si espresso anche Consiglio di Stato 29 gennaio 2008, n. 272.

 Questi precedenti costituiscono conforto a riguardo del fatto che anche la disciplina dettata dal menzionato art. 17 (del tutto incoerente rispetto a quella presa in esame nella dianzi citata pronuncia quanto a metodologia di computo) risulta irragionevole, illogica nonchè discriminatoria e si pone in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, il quale sancisce il principio di uguaglianza e di ragionevolezza.

 Invero, in assenza di un prefissato tetto massimo e di un rapporto inversamente proporzionale all’ammontare della somma da riscuotere l’aggio non risulta più ancorato alla effettiva remunerazione dell’attività effettuata e dei costi sostenuti dall’Agente della riscossione, perdendo in questo modo la sua connotazione di controprestazione economica.

 Per di più la disposizione in parola, prevedendo una percentuale fissa applicabile a ogni importo, crea una disparità di trattamento tra i contribuenti soggetti al servizio, in quanto, a parità di servizio reso (compilazione della cartella), il compenso varia in relazione al mero dato della somma oggetto di riscossione, senza riguardo alcuno alle attività che l’inadempimento rende necessarie ai fini della esazione dell’importo.

 b.2) Appunto perchè la disciplina vigente determina la perdita del carattere di controprestazione economica che l’aggio dovrebbe avere per la sua naturale funzione, diventano così una vera e propria prestazione imposta, il Collegio ritiene che la norma debba essere ulteriormente valutata in punto di legittimità costituzionale sotto un altro profilo. E cioè relativamente alla violazione del principio di capacità contributiva contenuto nell’art. 53 della Costituzione.

 Invero, le concrete modalità di disciplina del compenso per la riscossione – che va concretamente a sommarsi con l’importo delle imposte dovute – finisce per contrastare con il suindicato principio costituzionale, in quanto l’imposizione tributaria all’atto della riscossione risulta aumentata di compensi di riscossione non commisurati al concreto esercizio della funzione esattiva e quindi non proporzionali al dovere del cittadino di concorrere alle spese pubbliche con il proprio reddito tanto meno in ragione del criterio di progressività che -ovviamente – in relazione ad esborsi economici correlati all’esercizio di una attività istituzionale dovrebbe trasformarsi in «regressività».

 In definitiva, al contribuente si richiede, oltre alla pretesa fiscale esposta nel ruolo, il pagamento di rilevanti compensi di riscossione che nulla hanno a che fare con la capacità individuale di ciascuno di concorrere alla spesa pubblica secondo le disponibilità economiche. L’art. 53, Cost., giova rammentarlo, nello stabilire che «tutti devono concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva», individua nella capacità contributiva il presupposto, il parametro ed il limite massimo all’imposizione: non è, infatti, consentito richiedere al cittadino un concorso alle spese pubbliche non commisurato. I compensi della riscossione realizzano una chiara violazione del principio della capacità contributiva, poichè le imposte dovute sono debiti e mai possono i debiti, essere indici di ricchezza.

 D’altra parte, come a suo tempo osservato dalla Commissione tributaria provinciale di Roma, la mancanza di connessione tra aggio e capacità contributiva causa inoltre una discriminazione tra i contribuenti, i quali si vedono «privati del diritto a dosare la propria contribuzione in base al reddito, scegliendo in questo modo l’intensità delle proprie prestazioni lavorative».

 b.3) Il Collegio osserva che la ricorrente ha correttamente eccepito la violazione del principio di riserva di legge (art. 23 della Costituzione) e tale eccezione appare condivisibile se si considera che i compensi di riscossione costituiscono – in concreto – prestazioni patrimoniali imposte: esse sono legittime, però, solo se previste «in base alla legge». La riserva di legge relativa stabilita dalla Costituzione impone, infatti, che il legislatore ordinario individui il presupposto e la misura della prestazione.

 Ciò non è avvenuto nel caso dei compensi di riscossione, mancando sia una disposizione di legge che se pur genericamente individui gli atti esecutivi o comunque le altre attività a cui devono essere specificamente correlati gli oneri di riscossione a carico del contribuente e perciò una norma che disciplini la misura del costo dell’esecuzione coattiva in relazione alla sua specifica consistenza e complessità. E difatti, proprio in riferimento alla misura della prestazione la giurisprudenza della Corte costituzionale ha ritenuto che il principio della riserva di legge è rispettato nei casi in cui la norma indica la misura massima dell’aliquota, o comunque fissa i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’imposizione da parte dell’Ente di riscossione (Corte costituzionale, sentenze n. 72 del 1969 e n. 507 del 1988).

 b.4) Il Collegio rileva che il superamento dei limiti della legge delega, in violazione dell’art. 76 della Costituzione è fondato, come esposto nell’art. 17, comma 1, prevede un aggio di riscossione in misura percentuale, non descrivendo alcuna verifica puntuale e precisa dei costi realmente sostenuti per la riscossioni dei ruoli affidati all’agente di riscossione, in chiara violazione della legge delega.

 b.5) Il Collegio rileva che la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 112/1999 è rilevante e non manifestamente infondata atteso che nel caso in esame il pagamento dell’aggio è stabilito in misura fissa, anzichè, in misura proporzionale ai costi effettivamente sostenuti dal servizio di riscossione. L’irrazionalità normativa deriva dalla circostanza che detta misura non assicura che la gestione del servizio sia volta soltanto alla copertura dei costi. Il dubbio di incostituzionalità si consolida poi laddove viene configurato il pagamento pur in assenza di specifici criteri di determinazione del costo del servizio. L’obbligo dell’aggio può ritenersi ragionevole e coerente allorchè la misura corrisponda al costo della prestazione, mentre deve ritenersi ingiusto, penalizzante e costituzionalmente illegittimo per l’assenza di un tetto minimo e/o massimo alla misura dei compensi. Tale sistema fa risaltare l’incostituzionalità della previsione di una qualche forma di riequilibrio per effetto del decreto legislativo n. 201/2011. La disciplina previgente appare quanto mai irragionevole.

Infatti, il compenso di riscossione costituisce il corrispettivo di una specifica prestazione di servizi, per il quale è del tutto arbitraria la determinazione della sua misura a carico del contribuente nella percentuale fissa sulle somme iscritte a ruolo. Tale percentuale non è in alcun modo riferita ai costi di gestione sostenuti dall’agente di riscossione e ciò in contrasto (ad avviso di questo giudice tributario) con l’art. 97 per manifesta irrazionalità.

 La questione di legittimità costituzionale involge, dunque per contrasto con l’art. 97 della Costituzione, relativo al principio di buon andamento della P.A, difettando di quei criteri di trasparenza e correlazione con l’attività richiesta e congrua con i costi medi di gestione del servizio che rappresenta i corollari necessari di buon andamento sancito dall’art. 97, primo comma della Costituzione, per manifesta illogicità.

 Per cui, condividendo i dubbi della parte ricorrente, anche quelli che non sono stati specificamente ripresi nella motivazione che qui precede, questo Collegio ritiene che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, come modificato dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 in vigore dal 2 novembre 2008, per contrasto con gli articoli 3, 23, 53, 76 e 97 della Costituzione, sia rilevante nel presente giudizio in quanto in esso non può essere definito in assenza di una risoluzione della questione di legittimità costituzionale e che tale questione non sia manifestamente infondata alla luce delle considerazioni suesposte.

P.Q.M.

 visti gli articoli 134 della Costituzione, l della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23, legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87;

 Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999, testo unico delle disposizioni concernenti il sistema della remunerazione per la riscossione dei tributi per contrasto con gli articoli 3, 23, 53, 76 e 97 della Costituzione;

 Sospende il giudizio in corso sino all’esito della questione. Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, alla quale rimette la anzidetta questione di legittimità costituzionale ritenuta la sua rilevanza ai fini di decidere.

 Manda alla segreteria per gli adempimenti di legge affinchè la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonchè al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento.