COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE ABRUZZO – Sentenza 05 marzo 2018, n. 196
Tributi – Imposta di registro – Agevolazioni fiscali – Terreni agricoli – Imprenditore agricolo professionale
Fatto
La società agricola F. riceveva dall’Agenzia delle entrate dell’Aquila una richiesta di pagamento essendo incorsa nella decadenza dell’agevolazione fiscale prevista dall’art. 1 DPR 26 aprile 1986 n. 131 per gli atti traslativi stipulati dagli imprenditori agricoli professionali di cui all’art. 1 del D. Lgs. 29 marzo 2004, n. 99 e successive integrazioni e modificazioni. Ritenendo tale richiesta di pagamento ingiustificata, la società F. provvedeva ad impugnarla ritualmente avanti la competente commissione tributaria.
La Commissione Tributaria Provinciale dell’Aquila, terza sezione, con decisione n. 3/2017, pronunciata il 30 novembre 2016 e depositata il nove gennaio 2017, rigettava il ricorso e condannava la società contribuente alla refusione delle spese di lite. Sostiene la sentenza di prime cure che “dall’esame della documentazione in atti e dagli elementi emersi in sede di discussione si evince che il proposto ricorso va respinto. L’art. 5 bis della legge n. 97 del 31 ottobre 1994 prevede tra i vari requisiti necessari per poter usufruire delle agevolazioni fiscali nell’acquisto di terreni agricoli, l’obbligo a condurre la coltivazione diretta degli stessi per un periodo non inferiore a dieci anni. Inoltre l’art. 1 comma 3 bis del D.Lgs. n. 99/2004, come modificato dall’art. 1 comma 2 del D. Lgs. n. 101/2005 prevede, nel caso in cui un imprenditore agricolo sia amministratore di più società, che il riconoscimento di imprenditore agricolo professionale spetta ad una sola società. Si rileva che la società agricola F., concedendo in affitto i terreni oggetto dell’agevolazione in data 17 aprile 2015 ad altro soggetto giuridico, diverso da quelli previsti dall’art. 11 del D. Lgs. 18 maggio 2001 n. 228, non ha mantenuto fede ad uno dei requisiti principali previsti per fruire delle agevolazioni fiscali di cui all’art. 5 bis della legge n. 97/1994”.
Avverso tale sentenza la contribuente proponeva appello con atto del 3 luglio 2017, rilevando come la necessità dell’affitto derivasse dalla possibilità di poter eseguire coltivazioni biologiche e come si mantenesse comunque il compendio unico, essendo il contratto di affitto un mero strumento di accrescimento qualitativo e quantitativo delle potenzialità produttive.
Alla pubblica udienza del 25 gennaio 2018, è comparso per il contribuente il rag. B.D.C., che ha insistito per l’accoglimento dell’appello, e il dr. A.M.T. per l’Ufficio, il quale ha insistito per il rigetto dell’appello; quindi la questione viene decisa come da dispositivo.
Diritto
L’appello della società contribuente non è fondato.
Infatti l’art. 5 bis della legge 97/1994, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 21, legge 448/2001, prevede l’esenzione delle imposte catastali, di registro e di bollo per quegli imprenditori agricoli che si impegnano a costituire un compendio unico ed a coltivarlo e condurlo per un periodo di almeno dieci anni dal trasferimento. Il compendio unico è rappresentato dall’estensione di terreno necessaria al raggiungimento del livello minimo di redditività determinato dai piani regionali di sviluppo rurale. E’ evidente che tale agevolazione viene meno nel momento in cui – come nel caso di specie – l’imprenditore agricolo che si è giovato di tali agevolazione concede in affitto una parte del terreno stesso, a nulla rilevando le motivazioni che lo hanno spinto a tale operazione. Nel caso di specie l’opportunità di realizzare delle culture biologiche, per quanto ben argomentata dalla difesa della società contribuente, non può giustificare la violazione delle precise disposizioni che regolano la materia. In tale senso Cass. 21847/2016 e Cass. 21617/2016, indirizzo che non si ha motivo di disattendere.
Anche la subordinata richiesta di ridurre il valore dei beni non può essere accolta in quanto il DPR 8 giugno 2001 n. 327 riguarda le espropriazioni per pubblica utilità e quindi non è applicabile al caso di specie.
La sentenza di primo grado deve dunque essere integralmente confermata. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Sezione quinta, rigetta l’appello. Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 1.000,00= oltre oneri di legge se dovuti.
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