COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO – sezione 22 – Sentenza 21 marzo 2013, n. 126
ACCERTAMENTO – STUDI DI SETTORE DI CUI ALL’ART. 62 SEXIES, LEGGE N. 427/93 – ATTIVITÀ DI TIPOGRAFIA – STUDI DI SETTORE SOLO UN MEZZO STATISTICO – VALORE DI PRESUNZIONI SEMPLICI – RIPARTO ONERE PROBATORIO
massima
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L’avviso di accertamento basato sui parametri contabili dei cd. “studi di settore” è legittimo se il contribuente non adempie al proprio onere probatorio dando conto delle ragioni che lo escludono dall’applicabilità dei predetti strumenti di determinazione del reddito. Infatti, non può imputarsi unicamente all’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare l’applicabilità al caso concreto della ricostruzione effettuata in base ai suddetti parametri. In sostanza deve ritenersi l’accertamento delle imposte sui redditi fondato sugli studi di settore – accertamento tributario che, per quanto “standardizzato”, risulta pur sempre ancorato a parametri oggettivi e coerenti con la realtà economica del territorio – pienamente conforme a legge ed avente piena efficacia probante laddove il contribuente non dimostri, con elementi di fatto, l’inapplicabilità degli studi medesimi alla propria situazione concreta. Con la conseguenza che “laddove il ricorrente non riesca a giustificare le incongruenze emergenti dall’applicazione del relativo studio di settore, le stesse devono considerarsi non più presunzioni ma prove di una capacità contributiva non dichiarata”. I parametri hanno efficacia di “praesumptio hominis” con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente. Ne deriva allora che il contribuente – in sede di contraddittorio procedimentale e, successivamente, in giudizio – ha l’onere di provare la sussistenza delle condizioni che legittimano l’esclusione della propria attività dall’ambito dei ricavi accertabili con gli strumenti in discorso. La condotta del contribuente che rimanga inerte o non sia in grado di vanificare le presunzioni costituite dallo studio di settore attribuisce, conseguentemente, all’Ufficio il potere di “motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards”. In conclusione, per quanto la procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri degli studi di settore costituisca un sistema di presunzioni, la cui gravità, precisione e concordanza nasca procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, ciò non esclude che il contribuente debba giustificare in modo evidente e convincente le ragioni dello scostamento emergente dall’applicazione dello studio di settore. In caso contrario dovrà, pertanto, assumersi le conseguenze, sul piano della valutazione probatoria, di questo suo atteggiamento. Venendo all’analisi del caso di specie si deve ritenere la legittimità del comportamento della Commissione Provinciale che, avendo posto a carico del contribuente l’onere di provare il minor reddito – e ritenendo tale onere non adempiuto – ha correttamente ritenuto di respingere il ricorso. Infatti, dall’attento esame degli atti ed in particolare delle argomentazioni svolte prima in sede di contraddittorio e successivamente con il ricorso introduttivo e con l’atto di appello, risulta evidente che la società non ha adeguatamente ottemperato all’onere di fornire idonee e specifiche giustificazioni, limitandosi, solamente, a formulare critiche, del tutto generiche, all’istituto degli studi di settore e alla loro errata applicazione alla fattispecie in esame, senza però dimostrare, con l’ausilio di valida ed inconfutabile documentazione, che il minor reddito dichiarato era legato alla specifica attività esercitata in un piccolo centro e alla concorrenza di altri esercizi commerciali, nonché al precario stato di salute di uno dei soci.
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Il sig. S.A., quale legale rappresentante della G. S. Snc di S.A. e C. ed i sigg. S.A. e S.Al., in qualità di soci, con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, impugnavano gli avvisi mediante i quali, l’Agenzia Entrate, Ufficio di Viterbo, aveva accertato, in base agli studi di settore di cui all’art. 62 sexies, Legge n. 427/93, per l’attività di tipografia, relativamente agli anni d’imposta 2003 e 2004, rispettivamente maggiori ricavi per € 27.149,00 ed € 34.328,00 e, quindi, maggiore imposta IVA per € 5.430,00 ed € 6.866,00, maggiore Irap per € 1.154,00 ed € 1.459,00, nonché sanzioni ed interessi conseguenti.
I ricorrenti eccepivano la carenza di motivazione degli atti di accertamento, ritenendo gli studi di settore solo un mezzo statistico, con valore di presunzioni semplici e non sufficienti ai fini di una sicura attribuzione di un maggiore reddito d’impresa.
Rilevavano, poi, una certa superficialità nella procedura di imputazione della maggiore imposta applicata del 20%, contro quella evidenziata del 12% nella richiesta di contraddittorio.
Chiedevano, quindi, l’annullamento dell’accertamento, con la conseguente condanna dell’Agenzia al pagamento delle spese di giudizio, competenze ed onorari.
L’Agenzia Entrate, con note di costituzione e deduzione, dopo aver sostenuto l’attendibilità degli studi di settore in considerazione dei costi sostenuti, dei dati contabili esposti, degli investimenti effettuati e delle merci impiegate, rilevava l’assurda esiguità dei ricavi esposti per complessivi € 107.177, in forte discrepanza con l’elevato valore delle merci impiegate (€ 49.733) per una attività di tipografia svolta con l’apporto di due soci.
Concludeva per il rigetto dei ricorsi con vittoria delle spese di giudizio.
All’odierna udienza il procuratore dei contribuenti insisteva su quanto esposto nei ricorsi introduttivi, mentre il rappresentante dell’Agenzia delle Entrate si riportava alle deduzioni.
La Commissione, dopo aver disposto la riunione dei ricorsi per connessione soggettiva ed oggettiva di cui all’art. 29, comma 1, del D.Lgs. n. 546/’92, li ha respinti avendo tenuto conto di quanto esposto dalle parti e dei motivi addotti e verificato tutti gli elementi emersi dal dibattito processuale. Compensate le spese.
Con atto di appello sia il legale rappresentante della società sia i soci hanno dedotto la carenza di motivazione della decisione impugnata e sostenuto la errata applicazione alla fattispecie degli studi di settore, non avendo tenuto in debito conto le condizioni reali e soggettive dei contribuenti e della realtà economica nella quale la società operava.
L’Ufficio, costituendosi in giudizio, ha insistito sulla legittimità del proprio operato ed in particolare sulla corretta applicazione degli studi di settore e sulla mancata produzione da parte dei contribuenti di elementi di prova in grado di confutare le ragioni che avevano determinato gli avvisi di accertamento.
Successivamente i contribuenti, con nota depositata presso la segreteria della Commissione Tributaria Regionale, hanno chiesto il rinvio della trattazione del procedimento, avendo presentato istanze di definizione delle liti pendenti ai sensi dell’art. 39, comma 12, della legge 111/2011 che allegavano in copia.
La Commissione, in accoglimento della richiesta e dei motivi addotti ha disposto la sospensione del giudizio, in attesa della definizione delle istanze sopra menzionate.
L’Ufficio con proprie note ha chiesto venisse dichiarata la cessazione della materia del contendere per quanto riguardava le istanze dei soci, mentre chiedeva la prosecuzione del giudizio nei confronti della società, essendo rimasta inevasa la richiesta, inviata alla società con raccomandata, di chiarimenti e la produzione della documentazione comprovante l’avvenuto versamento delle somme di cui alle istanze di definizione del contenzioso.
Sulla base di tale precisazione la Commissione ha invitato, con ordinanza, la società a fornire la prova documentale dell’eventuale versamento delle somme specificate nell’istanza di estinzione del procedimento.
Alla odierna udienza il relatore fa presente che non risulta pervenuto alcun riscontro alla ordinanza anzidetta, nonostante la regolarità della sua notifica.
Motivi della decisione
La Commissione, esaminati gli atti, ritiene, in primis, dover accogliere la richiesta di dichiarare cessata la materia del contendere, formulata dall’Ufficio con le note del 20.9.2012, a seguito dell’accoglimento delle istanze di definizione delle liti pendenti, presentata in data 30.3.2012 dai soci S. A. ed Al.
Per quel che concerne invece la società di persone G. S. Snc di S.A. e C., il Collegio, preso atto del mancato riscontro alla ordinanza di questa Commissione, datata 7.11.2012, con la quale si invitava la società a fornire la prova documentale degli eventuali versamenti delle somme indicate nell’istanza di definizione della lite pendente presentata in data 30.3.2012, ritiene di dover procedere all’esame delle censure formulate con l’atto di appello.
Il Collegio, passando all’esame del merito della controversia, esaminate con attenzione tutte le contestazioni formulate dalla società nei confronti della decisione di primo grado, ed in particolare di quanto sostenuto in relazione all’applicabilità alla fattispecie degli studi di settore, osserva:
In materia di accertamento induttivo tramite studi di settore si deve richiamare la più recente giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale “l’avviso di accertamento basato sui parametri contabili dei cd. “studi di settore” è legittimo se il contribuente non adempie al proprio onere probatorio dando conto delle ragioni che lo escludono dall’applicabilità dei predetti strumenti di determinazione del reddito. Infatti, non può imputarsi unicamente all’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare l’applicabilità al caso concreto della ricostruzione effettuata in base ai suddetti parametri” (cfr. Cass. n. 15905/2010).
In sostanza deve ritenersi l’accertamento delle imposte sui redditi fondato sugli studi di settore – accertamento tributario che, per quanto “standardizzato”, risulta pur sempre ancorato a parametri oggettivi e coerenti con la realtà economica del territorio – pienamente conforme a legge ed avente piena efficacia probante laddove il contribuente non dimostri, con elementi di fatto, l’inapplicabilità degli studi medesimi alla propria situazione concreta. Con la conseguenza che “laddove il ricorrente non riesca a giustificare le incongruenze emergenti dall’applicazione del relativo studio di settore, le stesse devono considerarsi non più presunzioni ma prove di una capacità contributiva non dichiarata” (cfr., in questi termini, Cass. n. 148/08).
Anche con la recente sentenza n. 21661/2010 la Suprema Corte ha ribadito che “i relativi parametri hanno efficacia di “praesumptio hominis” con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente”.
Ne deriva allora che il contribuente – in sede di contraddittorio procedimentale e, successivamente, in giudizio – ha l’onere di provare la sussistenza delle condizioni che legittimano l’esclusione della propria attività dall’ambito dei ricavi accertabili con gli strumenti in discorso.
La condotta del contribuente che rimanga inerte o non sia in grado di vanificare le presunzioni costituite dallo studio di settore attribuisce, conseguentemente, all’Ufficio il potere di “motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards” (in questi termini confronta Cass. nn. 25195/2010 e 22555/2010).
In conclusione, per quanto la procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri degli studi di settore costituisca un sistema di presunzioni, la cui gravità, precisione e concordanza nasca procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, ciò non esclude che il contribuente debba giustificare in modo evidente e convincente le ragioni dello scostamento emergente dall’applicazione dello studio di settore. In caso contrario dovrà, pertanto, assumersi le conseguenze, sul piano della valutazione probatoria, di questo suo atteggiamento.
Venendo all’analisi del caso di specie si deve ritenere la legittimità del comportamento della Commissione Provinciale che, avendo posto a carico del contribuente l’onere di provare il minor reddito – e ritenendo tale onere non adempiuto – ha correttamente ritenuto di respingere il ricorso.
Infatti, dall’attento esame degli atti ed in particolare delle argomentazioni svolte prima in sede di contraddittorio e successivamente con il ricorso introduttivo e con l’atto di appello, risulta evidente che la società non ha adeguatamente ottemperato all’onere di fornire idonee e specifiche giustificazioni, limitandosi, solamente, a formulare critiche, del tutto generiche, all’istituto degli studi di settore e alla loro errata applicazione alla fattispecie in esame, senza però dimostrare, con l’ausilio di valida ed inconfutabile documentazione, che il minor reddito dichiarato era legato alla specifica attività esercitata in un piccolo centro e alla concorrenza di altri esercizi commerciali, nonché al precario stato di salute di uno dei soci.
Dalle considerazioni che precedono ne consegue la dichiarazione di cessazione della materia del contendere per intervenuto condono, relativamente ai soci S. A. e Al. ed il rigetto dell’appello proposto dalla G.S. Snc di S.A. e C.
La particolarità e complessità della controversia inducono il Collegio a disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Commissione rigetta l’appello della società come da motivazione e dichiara cessata la materia del contendere per condono relativamente ai soli soci. Spese compensate.
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