COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Puglia sentenza n. 64 sez. 7 depositata il 16 gennaio 2017
Massima
L’ufficio finanziario non può dimostrare che un soggetto sia fiscalmente residente in Italia sulla base di sole deduzioni presuntive. La CTR pugliese ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate che sosteneva la presenza di attività fiscalmente rilevanti compiute sul territorio italiano da parte del contribuente dichiaratosi residente all’estero negli anni oggetto di accertamento. Secondo i giudici baresi la tardiva iscrizione all’AIRE e la qualifica di rappresentante legale di una società, rivestita tra l’altro in un periodo successivo a quello dell’accertamento, rappresentano mere presunzioni, non sono sufficienti a far ritenere il contribuente fiscalmente residente nel territorio italiano.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate di BAT in data 31.12.2013 e 6.11.2013 notificava al Signor L.M. due distinti avvisi di accertamento con i quali determinava, ex art. 38, co 4, del dPR n° 600/73, il reddito sintetico di euro 83.886,00 per l’anno d’imposta 2007 e di euro 77.411,00 per il 2008. Tanto, a seguito e in forza della risposta fornita dal contribuente al questionario inviatogli e del possesso di beni ritenuti non compatibili con i redditi dichiarati.
Proposto ricorso innanzi alla CTP di Bari, cui il contribuente chiedeva dichiararsi l’annullamento dei detti avvisi di accertamento per plurimi motivi (violazione del presupposto impositivo-difetto di contraddittorio-errata applicazione di disposizioni di prassi-violazione diritto difesa), l’adita Commissione lo accoglieva con sentenza n° 3559.20.14 del 16.12.2014 ritenendo giustificati il rilevato investimento in Italia nella Società L. Spa di Teramo e il sostenimento delle spese di due autovetture, in ragione della documentata percezione di redditi prodotti in Inghilterra ivi regolarmente tassati.
Avverso la citata sentenza ha presentato appello l’Agenzia delle Entrate BAT deducendone la illegittimità in quanto i primi giudici non hanno considerato che “il contribuente negli anni oggetto di controllo non ha presentato la dichiarazione dei redditi Mod. Unico, pur in presenza di attività fiscalmente rilevante compiuta sul territorio italiano tanto più che a fronte di una affermazione di controparte secondo cui da Maggio 2006 si era trasferito nel Regno Unito, i dati presenti in Anagrafe Tributaria confermavano che non vi fosse stato il trasferimento di domicilio fiscale , nè risultavano informazioni di residenze estere presso l’AIRE, mentre il rivestire la carica di rappresentante legale della società L. spa era inteso dall’Ufficio quale esercizio di attività imprenditoriali e commerciali in Italia”. Precisa che, ove il contribuente avesse assunto un comportamento collaborativo, i dividendi percepiti nel Regno Unito sarebbero stati soggetti alla c.d. tassazione concorrente (con possibilità di scomputare in Italia le imposte pagate nel Regno Unito), ma l’aver omesso di presentare la richiesta dichiarazione dei redditi di fonte estera ha di fatto precluso al contribuente la possibilità di ottenere tale riconoscimento. Conclude per la riforma della impugnata sentenza con vittoria di spese dei due gradi di giudizio.
Resiste il contribuente con controdeduzioni depositate in Segreteria in data 17.9.2015 a mezzo delle quali eccepisce in rito l’inammissibilità dell’appello per mancanza di motivi specifici, mentre nel merito contesta l’ex adverso richiamando, in fatto di prova, la documentazione versata in atti ritenuta dai primi giudici ampiamente giustificativa. Conclusivamente chiede l’inammissibilità dell’appello per mancanza di motivi specifici; in via gradata la declaratoria del passaggio in giudicato interno della sentenza in relazione alle spese delle due autovetture, assicurazione e rate di leasing. Con condanna dell’A.F. al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno per lite temeraria.
Alla odierna udienza pubblica la Commissione, rigettata la richiesta di riunione avanzata dall’A.F con il proced. RGA. N° 449/16 pendente presso altra Sezione, sulle conclusioni delle parti presenti, decide come da separato dispositivo in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è infondato e, pertanto, non merita l’accoglimento.
Preliminarmente, va disattesa l’eccepita inammissibilità dell’appello per mancanza di motivi specifici, poichè dalla lettura complessiva dell’atto, è dato evincere le ragioni e le argomentazioni poste a fondamento del gravame, ancorchè formulate sotto forma di riproposizione.
Invero, secondo i più recenti arresti giurisprudenziali della Cassazione (ex multis, ordinanza n° 5844/15) “nel processo tributario, la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado – in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere – assolve l’onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dall’art.53 D.lgs 31-12-1992 n° 546, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza”.
Nel merito, v’è da osservare che la pretesa tributaria si fonda, secondo la prospettazione dello stesso Ufficio finanziario, sull’unico rilievo che “il contribuente negli anni oggetto di controllo non ha presentato la dichiarazione dei redditi Mod. Unico, pur in presenza di attività fiscalmente rilevante compiuta sul territorio italiano tanto più che a fronte di una affermazione di controparte secondo cui da Maggio 2006 si era trasferito nel Regno Unito, i dati presenti in Anagrafe Tributaria confermavano che non vi fosse stato il trasferimento di domicilio fiscale , nè risultavano informazioni di residenze estere presso l’AIRE., mentre il rivestire la carica di rappresentante legale della società L. spa era inteso dall’Ufficio quale esercizio di attività imprenditoriali e commerciali in Italia”.
Tale asserto, però, non appare fondato costituendo esso il risultato di deduzioni meramente presuntive, ampiamente superate dal contribuente a mezzo della pertinente documentazione prodotta agli atti, con la quale ha dimostrato, come riconosciuto anche dai primi giudici, che egli negli anni d’imposta accertati, era residente nel Regno Unico (sin dal 2006, giusta certificato del Consolato Generale d’Italia a Londra), che ivi svolgeva la propria attività lavorativa, ivi dichiarava i propri redditi e ivi pagava le relative imposte. A fronte delle testè circostanze di fatto, rappresentate ab initio (in sede amministrativa) dal contribuente e rimaste incontestate, a nulla valgono le ragioni addotte dall’Ufficio, a comprova che il contribuente fosse invece fiscalmente residente in Italia, poiché l’applicazione di qualsivoglia strumento presuntivo non può avvenire in maniera asettica e automatica, dovendo esso, per converso, avere riguardo necessariamente alla reale capacità contributiva ex art.53 C., nonché evitare una inammissibile duplicazione d’imposta.
Nel caso, la tardiva iscrizione all’AIRE e la qualifica di rappresentante legale della Società L., peraltro rivestita per breve periodo e comunque successivo (2009) agli anni d’imposta oggetto di accertamento (2007-2008) e, dunque, irrilevante, non sono sufficienti a far ritenere il contribuente fiscalmente residente nel territorio italiano ai sensi dell’art. 2, comma 2, del dPR n° 917/86 e, quindi obbligato alla presentazione del Mod. Unico.
Donde il rigetto dell’appello come proposto.
Ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio tenuto conto, comunque, del rigetto dell’eccezione d’inammissibilità, e che la (formale) iscrizione all’AIRE è avvenuta tardivamente, dopo l’azione accertatrice dell’A.F., altrimenti evitabile.
P.Q.M.
La C.T.R. Sez. VII, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello dell’Ufficio finanziario. Spese compensate.
Bari, 18.11.2016.
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