COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per l’Umbria sez. 3 sentenza n. 61 depositata il 15 febbraio 2017
IVA – c/c bancario acceso come persona fisica e come attività d’impresa – Onere prova
Massima:
La verifica su c/c bancari o postali da cui emerga una liquidità di provenienza ingiustificata (nella specie crediti e debiti di gioco) legittima il recupero d’imposta di operazioni non fatturate laddove gli stessi conti correnti non appartengano in via esclusiva all’attività d’impresa; spetta quindi al contribuente fornire prova, possibilmente documentale, delle movimentazioni effettuate come persona fisica.
Testo:
OGGETTO DELLA DOMANDA E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate di Perugia in esecuzione della sentenza di revisione di questa CTR n.521/03/15 ha provveduto ad effettuare nuovamente nel termine assegnato, la notifica dell’appello interposto avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Perugia n.76/02/97 del 29/1/97 che aveva accolto il ricorso proposto da xxxxx xxxxx avverso tre avvisi di rettifica in materia di IVA per gli anni 1988,89 e 90. La sentenza d’appello a suo tempo emessa, favorevole all’ufficio, è stata infatti revocata con la sentenza sopra citata senza tuttavia dar corso alla fase rescissoria che costituisce pertanto l’oggetto della presente vertenza. Deduce l’ufficio l’illegittimità della sentenza di primo grado nella parte in cui afferma che i conti correnti intrattenuti dal sig. xxxxx con vari istituti di credito non appartengono all’attività d’impresa ma accesi come persona fisica. La verifica bancaria e postale a suo tempo effettuata dalla GdF a trasfusa nel pvc, aveva messo in luce alcune operazioni imponibili non fatturate e la documentazione era stata riscontrata con la contabilità e le dichiarazioni per IRPEF e IVA presentate: la verifica aveva riguardato in dettaglio tutte le operazioni in entrata giustificate da giroconti e, relativamente alla compravendita di titoli, giungeva alla conclusione dell’esistenza dell’acquisto di titoli con liquidità di provenienza ingiustificata. I movimenti degli estratti conto erano stati riscontrati con la documentazione ufficiale aziendale rinvenuta e con le giustificazioni verbali addotte dal contribuente cui hanno fatto seguito 15 controlli incrociati nei confronti di soggetti, nominati dal contribuente, che risultavano aver emesso e/o ricevuto assegni: tale controllo ha permesso di appurare in ogni annualità la presenza di somme incassate per le quali neppure il contribuente xxxxx è stato in grado di risalirne all’origine. Deduce ancora che in base alle dichiarazioni del contribuente i movimenti sui conti correnti erano stati effettuati sia per la sua attività commerciale sia a titolo personale e poiché diversi movimenti erano afferenti a debiti di gioco, l’ufficio presumeva l’esistenza di un’autonoma provvista di denaro ingiustificata con conseguente legittimità della pretesa erariale circa l’omessa fatturazione. Il contribuente a sua difesa aveva prodotto un elenco in cui ha indicato data, numero e banca degli assegni con relativa causale evidenziando trattarsi di debiti e prestiti di gioco allegando anche fotocopie illeggibili e dichiarazioni di terzi (xxxxx xxxxx e xxxxx xxxxx) ma, secondo l’appellante trattasi di prove inadeguate ed inefficaci stante l’impossibilità di ingresso di prove testimoniali nel processo tributario, cosicché l’unica documentazione prodotta giustificativa risulta essere quella esibita e rinvenuta durante la verifica , debitamente considerata dai verbalizzanti. In base alle motivazioni summenzionate, l’ufficio conclude per la riforma della sentenza con vittoria di spese. Il contribuente xxxxx non si è costituito in giudizio nonostante abbia ricevuto regolare notifica dell’appello in data 23 dicembre 2015 al suo domicilio eletto presso il difensore Avv. MMP.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello dell’ufficio risulta fondato e merita di essere accolto: appaiono infatti condivisibili le censure mosse alla decisione dei primi giudici che avevano ritenuto riferibili al contribuente xxxxx come persona fisica e non alla sua attività d’impresa i conti correnti su cui erano state accertate operazioni non fatturate. Il contribuente infatti non è riuscito a dare prova della natura non commerciale delle operazioni a suo tempo accertate in quanto la documentazione esibita non è idonea a comprovare l’estraneità dei movimenti alla sua attività commerciale trattandosi di fotocopie di assegni con sigle e girate non riconducibili con certezza ai beneficiari o emittenti indicati dallo stesso xxxxx. Al di là del divieto di ingresso della prova testimoniale nel processo tributario che il sig. xxxxx ha effettuato producendo dichiarazioni di terzi a suo favore e che l’Agenzia appellante ha puntualmente rilevato, il collegio osserva che gli elenchi elaborati per dimostrare la natura non commerciale dei pagamenti fatti o ricevuti abbiano contenuto indecifrabile, siano privi di oggettivi riscontri e risultino di origine dubbia recando firme illeggibili cosicché tale documentazione risulta completamente inidonea e, quasi per stessa ammissione del contribuente, conferma essersi verificata una commistione, nei conti, di natura privata e di natura commerciale-imprenditoriale ricollegabile sostanzialmente ai debiti di gioco contratti dall’xxxxx. Per contro la documentazione acquisita dalla GdF risulta probante ed accurata, stante il numero dei controlli incrociati effettuati, con conseguente legittimità della ripresa a tassazione delle operazioni imponibili non fatturate. In accoglimento del gravame, la sentenza di primo grado merita quindi di essere completamente riformata e le spese seguono il principio della soccombenza.
P . Q . M .
la Commissione Tributaria Regionale accoglie l’appello e condanna il contribuente al pagamento delle spese di giudizio liquidate complessivamente in euro 2.500,00.
Così deciso in Perugia il 23 gennaio 2017
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