COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 489 sez. XV depositata il 5 febbraio 2019
Parziale – Redditi non dichiarati – Pvc – Ulteriori atti – Possibilità
FATTO
G. ricorre contro accertamento e avviso riscossione emesso ai sensi dell’art. 41 d.P.R. 600/73 relativo al recupero di redditi non dichiarati, contestando l’utilizzo della procedura in luogo di quella prevista dall’art. 36 bis stesso d.P.R. per la quale sarebbero decorsi i termini.
La Commissione tributaria provinciale di Roma ha respinto il ricorso.
Propone appello G. insistendo sulla circostanza dedotta già in prime cure riguardo all’erronea applicazione della procedura di accertamento parziale ai sensi dell’art. 41 d.P.R. 600/73.
Si costituisce nel giudizio di appello la Direzione provinciale 2 di Roma dell’agenzia delle entrate chiedendo il rigetto dell’appello.
DIRITTO
L’articolo 36 bis del d.P.R. 600/1973 costituisce una disposizione di favore nei confronti dell’amministrazione finanziaria nel senso che quest’ultima, nei casi tassativamente previsti dalla norma, è legittimata a iscrivere direttamente a ruolo la maggiore imposta dovuta sulla base dei meri dati numerici esposti dal contribuente nella propria dichiarazione, senza la previa emissione dell’avviso di accertamento. Diversamente, per la rettifica del reddito fondata sui dati in «possesso dell’Anagrafe tributaria», l’emissione dell’accertamento parziale ex articolo 41 bis del d.P.R. 600/1973 costituisce una procedura di maggiore garanzia per il contribuente.
L’accertamento parziale, caratterizzato dalla provenienza esterna delle segnalazioni e dalla loro immediata utilizzabilità è strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile laddove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza, a qualsiasi titolo, di attendibili posizioni debitorie e non richiedano, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di una valutazione ulteriore rispetto all’attività che si risolve nel recepire e fare proprio il contenuto della segnalazione.
Da qui la differenza rispetto alle altre tipologie di accertamento previste dal nostro sistema giuridico, posto che l’accertamento parziale si avvale di una “sorta di automatismo argomentativo indotto” dai dati acquisiti dall’esterno, “sicché il relativo presupposto è costituito non dal notevole grado di certezza degli elementi segnalati (come nella specie erroneamente ritenuto dal giudice tributario)”, bensì dal dato formale estrinseco che la comunicazione degli elementi a fondamento della pretesa proviene da organi o enti distinti ed esterni rispetto all’Amministrazione finanziaria procedente.
La peculiarità dell’accertamento parziale consiste proprio nel procedere, con immediatezza, al recupero quando siano pervenuti elementi che consentono di determinare autonome irregolarità tributarie.
Com’è noto, infatti, ai sensi del richiamato 41-bis, l’accertamento parziale può trarre origine dall’esercizio di poteri istruttori (accessi, ispezioni e verifiche) posti in essere dalla Guardia di finanza, sempre che in tale sede emergano elementi di prova tali da consentire all’ufficio di accertare ictu oculi e con elevato margine di attendibilità l’evasione del contribuente.
In sostanza, deve trattarsi di elementi di prova diretta che consentono di stabilire con certezza l’esistenza di materia imponibile sottratta a tassazione; non è necessario che tale certezza derivi da prove documentali, ben potendo la stessa essere rilevata da mezzi istruttori diversi come, ad esempio, una confessione del contribuente.
Ovviamente, gli “elementi” la cui risultanza consente, a norma del 41-bis, di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, possono avere anche carattere indiziario. In altri termini, tutti gli elementi che, anche presuntivamente, “consentono di stabilire” l’esistenza di un reddito non dichiarato o superiore a quello dichiarato sono validamente opponibili all’imprenditore e, pertanto, sono idonei a fondare un accertamento parziale, a prescindere dal fatto che il maggior reddito da loro desumibile non risulti dalle scritture contabili, la cui attendibilità, in tali casi, risulta pertanto sospetta.
Tale principio è già stato enunciato in più occasioni dalla Corte suprema, che ha sempre confermato la legittima utilizzazione dello strumento dell’accertamento parziale laddove pervenga agli uffici una segnalazione della Guardia di finanza che fornisca elementi tali per ritenere sussistente un reddito non dichiarato, senza che tale strumento debba, neppure prima delle modificazioni legislative apportate nel 2005, essere subordinato a una particolare semplicità della segnalazione pervenuta e potendo, quindi, lo stesso essere utilizzato anche in seguito a un pvc redatto dalle Fiamme gialle (Cassazione, sentenza 23729/2013 e, in senso conforme, sentenza 11057/2006, secondo cui “l’utilizzo dell’accertamento parziale è infatti nella disponibilità degli uffici quando ad essi pervenga una segnalazione della Guardia di finanza che fornisca elementi per ritenere la sussistenza di un reddito non dichiarato, senza che tale strumento debba (neppure prima delle modifiche apportate nel 2004) essere subordinato ad una particolare semplicità della segnalazione pervenuta)”.
Difatti, una delle caratteristiche peculiari dell’accertamento parziale (e che ne giustifica appunto la peculiare qualifica) è che lo stesso non pregiudica l’ulteriore azione accertatrice dell’Agenzia delle Entrate.
Se l’ufficio utilizza l’accertamento parziale, non ha la necessità della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, per notificare ulteriori atti, non operando il limite di cui all’articolo 43 del d.P.R. 600/1972; l’ampiezza dell’attuale formulazione normativa non sconta i problemi applicativi legati all’accertamento integrativo e/o modificativo, in ordine alla possibilità di riemettere un nuovo avviso di accertamento laddove emergano elementi – nuovi e sopravvenuti – che, se conosciuti prima, avrebbero portato a una diversa valutazione reddituale.
L’accertamento parziale, in definitiva, si fonda su dati particolarmente affidabili, che non necessitano di un’ulteriore attività istruttoria, senza precludere una successiva attività accertativa sostanziale e, quindi, l’emanazione di avvisi di accertamento “ordinari”.
Ne deriva che nella specie l’Amministrazione ha fatto corretto uso della procedura accertativa prevista dall’art. 41 peraltro anche relativamente ai tempi notifica, avendo inoltrato l’avviso a mezzo del servizio postale in data anteriore al 31 dicembre 2014.
Va quindi confermata la sentenza di primo grado non potendo trovare accoglimento l’appello proposto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidale in complessivi €. 500,00 (cinquecento/00).
P.Q.M.
La commissione respinge l’appello del contribuente che condanna alla rifusione delle spese di lite liquidate in €. 500,00 (cinquecento/00).
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