COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sentenza n. 509 sez. II depositata il 6 febbraio 2019
Interpello – Società – Indagini bancarie – Conti corrente – Mancato deposito bilancio esercizio – Legittimità
Ritenuto in fatto
L’agenzia delle Entrate notificava a E.B., in proprio – essendo titolare dell’intero capitale sociale della s.r.l. P. – e quale legale rappresentante della medesima società, distinti avvisi di accertamento, con i quali veniva recuperato a tassazione l’importo di € 162.656,00, a seguito di indagini bancarie eseguite sul conto corrente intestato alla s.r.l. P. e riguardanti il periodo di imposta 2009, anno nel quale la società non aveva provveduto a depositare il bilancio di esercizio ed aveva inoltrato all’Amministrazione finanziaria un modulo di dichiarazione dei redditi del quale era stato compilato il solo frontespizio.
I separati ricorsi proposti dal B. e dalla società erano riuniti dalla CTP di Roma che, con sentenza 1691/17, depositata il 26/1/2017, li respingeva affermando, in relazione alle censure mosse dai ricorrenti: a) che la società non aveva depositato il bilancio né fornito alla Amministrazione finanziaria i chiarimenti e le giustificazioni dalla stessa richieste in ordine alle movimentazione bancarie; b) l’infondatezza del motivo concernente la sottoscrizione degli avvisi, in quanto “il responsabile dell’Ufficio accertatore ha la rappresentanza e la firma in calce all’atto impositivo ne sancisce la validità e l’efficacia”.
Le spese di lite venivano compensate tra le parti.
Avverso tale sentenza, non notificata, E.B., in proprio e nella qualità, ha proposto appello con ricorso notificato mediante il servizio postale, tramite raccomandata ricevuta dalla destinataria il 26/7/2017.
L’Agenzia si è costituita con controdeduzioni depositate il 20/11/2017; ha depositato il 19/9/2018 una memoria integrativa con allegata documentazione.
Alla pubblica udienza del 23/10/2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
Considerato in diritto
L’appellante ha articolato tre motivi di gravame.
Con il primo, richiamando la Circolare 32/2006 della Agenzia delle Entrate, ha dedotto che l’Ufficio non avrebbe potuto desumere elementi di prova dal mancato deposito del bilancio in quanto per le società in liquidazione è previsto solo il deposito del documento redatto all’inizio di tale fase, e quello annuale solo ai sensi dell’art. 2490 c.c. (p. 19 appello). La CTP aveva inoltre omesso di valutare i rilievi contenuti nel ricorso originario in ordine alla insussistenza dei presupposti per utilizzare lo sfruttamento delle indagini bancarie, in quanto l’Agenzia avrebbe dovuto indicare, nella motivazione dell’atto impositivo, i motivi per i quali ha ritenuto fondati i dati provenienti dalle indagini finanziarie e le circostanze che l’avrebbero indotta a ritenere non meritevoli di accoglimento le argomentazioni formulate dal contribuente (p. 22).
Con il secondo motivo ha sostenuto che l’Ufficio, non rispettando il termine di cui all’art. 12 comma 7 della legge 212/2000, non aveva consentito alla società di esercitare il proprio diritto di allegare una prova contraria della pretesa tributaria, senza peraltro che fosse allegato alcun motivo di urgenza (p. 21).
Con il terzo ha reiterato l’eccezione relativa alla nullità degli atti impositivi non essendo stato depositato lo specifico atto di delega al funzionario che li aveva sottoscritti, non potendo la stessa delega consistere in un irrilevante ordine di servizio quale quello depositato dall’Ufficio (p. 28).
I primi due motivi di gravame, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale l’art. 32 del DPR 600/1973 pone una presunzione di reddito a carico dell’impresa sia per i versamenti come per i prelevamenti; in particolare, con riferimento alle movimentazione dei conti correnti bancari intestati o comunque riferibili all’impresa, nel contesto di un’inversione dell’onere probatorio, quello gravante sull’Amministrazione è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti, mentre il contribuente deve provare, mediante una prova analitica per ogni versamento, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili.
E’ stata altresì ribadita la validità di un avviso emesso in assenza di un preventivo interpello del contribuente, non previsto da alcuna norma, atteso che lo stesso è in grado di dimostrare anche in sede contenziosa l’infondatezza, della pretesa, o procedere ad una definizione con adesione (cfr. Cass. 4581/2018).
Orbene, fatte queste premesse in punto di diritto, si deve evidenziare, sotto il profilo della ricostruzione fattuale, che gli accertamenti bancari sono stati eseguiti in conseguenza di due circostanze, consistenti da un lato nel mancato deposito, presso il Registro delle imprese, del bilancio della società relativo all’esercizio 2009, e, dall’altro, di una presentazione solo apparente della dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo, atteso che risultava trasmesso, con modalità telematica, il solo frontespizio del relativo modello.
L’Ufficio ha proceduto, nell’ambito dell’esperito – sia pure non obbligatorio – interpello, ad inviare alla società contribuente due richieste; alla prima, relativa a documentazione commerciale, la società ha dato effettivo riscontro, come risulta dal verbale di ricevimento del 22/7/2014; al secondo invito, contraddistinto con il n. 102529/2014, la società ha dato solo parziale esecuzione, depositando il 3/10/2014 copia del bilancio relativo all’anno 2009 (v. doc. allegato con il n. 5 all’originario ricorso).
In quella occasione, peraltro, l’odierna appellante si era riservata di dare corso in tempi brevi all’altra richiesta dell’Ufficio, consistente nella “giustificazione documentale in relazione alle operazioni bancarie e finanziarie specificate nell’elenco allegato” (v. doc. all. n. 3).
Nella richiesta si chiedeva “di motivare e documentare l’origine delle operazioni di riscossione e la destinazione dei prelevamenti…”.
Questa “giustificazione documentale” non è stata peraltro mai predisposta dalla parte, né in fase di contraddittorio preventivo, né nel corso del presente giudizio, nel quale l’odierna appellante si è limitata a sostenere sul punto la tesi, infondata, della mancanza dei presupposti che avrebbero legittimato l’Amministrazione ad applicare la disposizione di cui all’art. 32 del DPR 600/1973.
Trattandosi di un accertamento c.d. “a tavolino”, e quindi senza l’accesso all’esterno degli ufficiali accertatori, non trova applicazione la disposizione di cui all’art. 12 comma 7 della legge 212/2000 (cfr., tra le più recenti, Cass. 6219/2018).
E’ d’altra parte infondato, alla luce del principio di diritto affermato nella pronunzia 5200/2018, anche il terzo motivo di impugnazione, relativo alla reiterata eccezione di invalidità dell’atto impositivo in conseguenza del vizio nella sottoscrizione dell’avviso, motivo basato unicamente sull’affermazione dell’appellante secondo la quale l’ordine di servizio depositato dalla Agenzia delle Entrate sarebbe irrilevante, essendo necessaria la produzione di uno specifico atto di delega.
Al rigetto dell’appello consegue la condanna degli appellanti alla rifusione delle spese del grado, liquidate in complessivi € 5.000,00.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, definitivamente pronunziando sull’appello proposto dalla P. s.r.l. e da B.E. avverso la sentenza 1691/2017 della CTP di Roma, così provvede: rigetta l’appello e condanna gli appellanti al rimborso delle spese che liquida in complessivi € 5.000,00.