COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Pescara – Sentenza n. 1292 del 24 novembre 2015

ICI – PIATTAFORME PETROLIFERE INFISSE AL SUOLO – BENI IMMOBILI – ASSOGGETTABILITA’

1.- L’appellante impugna la sentenza n. 339 del 2014 della Commissione tributaria provinciale di Chieti, con la quale è stato accolto il ricorso avverso avvisi di accertamento Ici, per complessivi 14.815.887,52, per gli anni dal 2006 al 2011, riguardanti la mancata dichiarazione e l’omesso versamento di tale imposta per cinque piattaforme petrolifere denominate “Santo ….” con varie numerazioni, site nel tratto di mare antistante il Comune di Torino di Sangro. Secondo l’appellante, in sostanza, le piattaforme in questione sarebbero da considerare immobili, in quanto infisse stabilmente al suolo; sarebbero inoltre qualificabili come immobili urbani e unità immobiliari distinguibili ai fini catastali, ai sensi ed effetti degli articoli 4 e 5 del r.d.l. n. 652 del 1939; dovrebbero essere assoggettate all’Ici, ai sensi dell’articolo 1 comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, in quanto fabbricati siti nel territorio dello Stato ed a tal fine riconducibili al territorio del Comune di Torino di Sangro, secondo il criterio della maggiore vicinanza in linea retta dalle sue coste; esse pur non essendo accatastate sarebbero accatastabili ed inoltre l’imposta potrebbe essere determinata ai sensi dell’articolo 5 del d.lgs. n. 504 del 1992, sulla base dei criteri ivi indicati, così come avvenuto con gli accertamenti impugnati.

Si è costituita Edison spa, contestando le ragioni dell’appellante e chiedendo il rigetto dell’appello.

2.- All’udienza del 16 novembre 2015 la causa è passata in decisione L’appello è fondato in parte.

2.1.- Il Collegio ritiene che le piattaforme offshore in questione siano assoggettate ad Ici, conformemente a quanto stabilito già dalla Cassazione, nella sentenza n.13764 del 2005. Innanzitutto, ha errato il primo Giudice nel ritenere che non vi sia una norma di legge che giustifichi l’assoggettamento ad Ici delle piattaforme in questione. Ai sensi dell’articolo 1 comma 2 del d.lgs. n. 504 del 1992, difatti, “Presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato”. Occorre quindi stabilire se beni immobili artificiali che emergono dal mare e sono ancorati sul fondo marino possano essere considerati appartenenti al territorio dello Stato.

Che si tratta di beni immobili non è revocabile in dubbio, atteso che ai sensi dell’articolo 812 del c.c. tali sono quelli saldamenti ancorati al suolo, mentre sono mobili gli altri, in via residuale.

Del resto, da tale articolo emerge che i beni materiali, in quanto cose suscettibili di essere oggetto di diritti (come quelli in questione), possono essere o mobili o immobili, tertium non datur. Come noto, in base al trattato internazionale sul diritto del mare sottoscritto a Montego Bay in Giamaica il 10 dicembre 1982, gli Stati esercitano sul mare antistante le proprie coste, fino ad una distanza di 12 miglia marine, misurate a partire dalle linee di base, una sovranità sostanzialmente paragonabile a quella esercitata sul proprio territorio, salvi alcuni limiti (come il passaggio inoffensivo di navi di altra nazionalità). Inoltre, ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione medesima, quando si tratta di delimitare il mare territoriale di Stati adiacenti, il confine marino è dato dalla linea mediana di cui ciascun punto è equidistante dai punti più prossimi delle linee di base dalle quali si misura la larghezza del mare territoriale di ciascuno dei due Stati.

Può dirsi quindi che sul mare territoriale v’è estensione della sovranità dello Stato (sia pure con i limiti previsti dalle convenzioni internazionali, essendo comunque per tradizione una res communis omnium), ma non che esso sia in tutto e per tutto equiparabile al territorio, proprio perché il mare è una cosa comune di tutti sulla quale non è possibile esercitare una proprietà esclusiva.

Tale sovranità statale ovviamente si esplica anche attraverso tutte le articolazioni degli enti autarchici e territoriali in cui la Repubblica è divisa (si pensi ad esempio al caso in cui una morte o una nascita avvenga nel tratto di mare antistante la costa di un Comune e non a bordo di una nave: in tal caso la competenza territoriale dovrebbe ricadere sugli uffici dello stato civile del Comune stesso). Ma ciò non consente di equiparare la relazione che c’è tra la terra ferma e l’ente territoriale con quella che esso ha con il mare prospiciente le sue coste, proprio perché si tratta di una res communis omnium non suscettibile di occupazione e di diritti esclusivi (cfr. Cassazione sentenza n. 11532 del 2014).

Il mare infatti non è ricompreso nei beni demaniali, che riguardano solo le terre emerse. Invero, tra i beni del demanio marittimo sono ricompresi il lido e la spiaggia ma non il mare. Anche se il mare non è demanio (cfr. articoli 822 c.c. e 28 cod. nav.), tuttavia, i beni infissi nel fondo del mare territoriale sono equiparabili a quelli del demanio marittimo (cfr. articolo 29 cod. nav.).

Da ciò si desume che, nel momento in cui dal fondo del mare territoriale emergono stabilmente ancorati al suolo immobili naturali o artificiali, essi fanno parte del territorio dello Stato vero e proprio e quindi sono suscettibili di appartenere al demanio.

Del resto, se nascesse un’isola (naturale o artificiale) di fronte al Comune di Torino di Sangro, nessuno dubiterebbe della sua appartenenza al territorio dello Stato e quindi della necessità di ricondurla amministrativamente ad un Comune. Ecco che si comprende come i concetti di lido e spiaggia abbiano i confini mobili, così come quello di demanio. Se, come nel caso in esame, pertanto, un immobile emerge in modo stabile e fisso dal mare antistante le coste di un Comune, deve ritenersi che appartenga al demanio e amministrativamente sia soggetto ai poteri anche impositivi dell’ente territoriale di riferimento.

Per le ragioni illustrate il confine stesso del territorio indicato negli statuti comunali, laddove fa riferimento al confine con il mare, appare mobile nel senso descritto. Con la legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001) è stato disposto, modificando l’articolo 3 del d.lgs. n. 504 del 1992, che anche i concessionari di beni demaniali sono soggetti all’imposta (“nel caso di concessione su aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario”), sicchè è evidente che l’imposta comunale in questione si applichi, come nel caso di specie, in ipotesi di beni demaniali; e inoltre il termine “possesso” contenuto nell’articolo 1 del d.lgs. n. 504 del 1992 è ormai comprensivo anche della condizione di detenzione in cui si trova il concessionario di beni demaniali.

Riassumendo, i possessori di fabbricati siti nel territorio dello Stato sono tenuti al pagamento Ici in virtù dell’articolo 1 del d.lgs. n. 504 del 1992; i beni infissi nel fondo del mare possono essere equiparati a quelli demaniali ai sensi dell’articolo 29 del codice della navigazione e appartenenti al territorio dello Stato; i concessionari di beni demaniali sono soggetti all’Ici, ai sensi dell’articolo 3 del d.lgs. n. 504 del 1992, come modificato dalla legge n. 388 del 2000. Ne consegue quindi che non vi può essere dubbio, sulla base della normativa citata, acchè il concessionario detentore delle piattaforme in questione sia soggetto al pagamento dell’Ici. Resta solo il problema di individuare a quale Comune sia da attribuire il potere impositivo.

Ai sensi dell’articolo 4 comma 1 del d.lgs. n. 504 del 1992, “L’imposta è liquidata, accertata e riscossa da ciascun comune per gli immobili di cui al comma 2 dell’articolo 1 la cui superficie insiste, interamente o prevalentemente, sul territorio del comune stesso”. Da tale norma si desume che è soggetto attivo dell’imposta il Comune che ha con l’immobile il rapporto territoriale più stretto.

E non può porsi in dubbio che, anche applicando analogicamente il principio desumibile dal citato articolo 15 della Convenzione di Montego Bay, il collegamento più stretto sia individuabile in quello con il Comune frontista.

A tal proposito, considerato anche che nelle concessioni demaniali rilasciate dalla Capitaneria di Porto è indicato il Comune di Torino di Sangro, appare generica (con riferimento alle specifiche distanze e piattaforme) e non adeguatamente motivata la questione proposta dall’appellata con memoria, secondo cui alcune piattaforme non avrebbero la minor distanza in linea retta dal territorio di quel Comune ma da quello di altri enti locali adiacenti. L’inserimento effettivo di un bene nel catasto non è il presupposto impositivo ma ha una funzione di censimento degli immobili e di accertamento delle relative rendite, come si evince dall’articolo 1 del r.d.l. n. 652 del 1939.

Difatti, pur ribadendo l’obbligo di censire gli immobili assoggettabili ad Ici, l’articolo 5 comma 3 del d.lgs. n. 504 del 1992 detta dei criteri per la quantificazione della base imponibile anche in difetto dell’iscrizione. In ogni caso, si ritiene che vi sia l’obbligo astratto di inserire le piattaforme in questione in catasto e quindi che esse rientrino a pieno titolo nella definizione di fabbricati di cui all’articolo 2 lett. a) del d.lgs. n. 504 del 1992, proprio perché per quanto detto essi rientrano ormai nel territorio del Comune.

Agli effetti degli articoli 4 e 5 del is n. 652 del 1939, esse sono manufatti distinti e stabilmente infissi al fondo marino e hanno inoltre una propria utilità produttiva essendo funzionali allo stoccaggio e al trattamento dei prodotti estratti da immettere nelle condutture. In ogni caso, anche se venissero considerate parti degli impianti a terra, sarebbero comunque da inserire in catasto con quelli e quindi da computare ai fini Ici, ed anzi vi sarebbe una ragione in più per ritenere soggetto attivo dell’imposta il Comune di Torino di Sangro, ai sensi dell’articolo 4 comma 1 del d.lgs. n. 504 del 1992 (“L’imposta è liquidata, accertata e riscossa da ciascun comune per gli immobili di cui al comma 2 dell’articolo 1 la cui superficie insiste, interamente o prevalentemente, sul territorio del comune stesso”).

Quanto alla classificazione ai fini Ici, il Collegio ritiene che l’accertamento comunale sia immune da censure, in quanto appare condivisibile la giurisprudenza tributaria che inserisce simili strutture nella categoria catastale D, atteso che le definizioni che meglio le descrivono sono proprio quelle di “opifici” e “fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni”; e inoltre le medesime non rientrano tra le ipotesi di esenzione di cui all’articolo 7 del d.lgs. n. 504 del 1992 (cfr, CTR Campobasso, sentenza n. 82 del 2012).

Ciò premesso, la quantificazione dell’imposta da parte del Comune non appare illegittima, atteso che le censure dell’appellata si sono limitate ad una generica e formale contestazione dei criteri utilizzati, senza dar conto dell’eventualità che, utilizzando criteri diversi, l’esatta quantificazione delle somme dovute sarebbe stata inferiore.

2.2.- E’ infondato l’appello nella parte in cui mira ad ottenere l’annullamento della sentenza di primo grado anche con riferimento alle sanzioni irrogate, atteso che appare manifesta la mancanza dell’elemento soggettivo della colpevolezza, in considerazione dell’incertezza che circondava la questione dell’assoggettamento o meno all’imposta in esame.

3.- Le spese possono essere compensate, in ragione della peculiarità della questione affrontata.

PQM

La Commissione tributaria regionale, sezione staccata di Pescara, accoglie in parte l’appello, secondo quanto indicato in motivazione. Spese compensate.