COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Roma sentenza n. 5719 sez. 14 del 3 ottobre 2016
RAPPORTO DI LAVORO – EROGAZIONE ECONOMICA AL PRESTATORE DAL DATORE – ASSOGGETTABILITA’ AD IRPEF – PRESUPPOSTI
FATTO E DIRITTO
I ricorrenti indicati, con separati ricorsi, impugnavano il diniego di rimborso Irpef emesso dall’Agenzia delle Entrate; deducevano che, a seguito di sentenza emessa dal Giudice del Lavoro del Tribunale di Viterbo, avevano percepito una somma a titolo di risarcimento danni derivanti da illegittimità di contratti a termine stipulati in successione con il Ministero dell’Istruzione e dell’Università, che la somma non aveva natura retributiva e che pertanto non poteva essere soggetta a tassazione.
L’Agenzia delle Entrate chiedeva il rigetto, deducendo che l’indennizzo configurava un mancato guadagno e che quindi era imponibile.
La CTP, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 454/2015, rilevava che il Tribunale di Viterbo aveva dichiarato l’illegittimità dei contratti a termine stipulati in successione, riconoscendo ai lavoratori il risarcimento del danno in misura pari a 6,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale; affermava che il risarcimento del danno emergente non sopperisce alla perdita di reddito e pertanto non è sottoposto a tassazione, quello che si configura invece come lucro cessante, è soggetto ad imposizione; riteneva che secondo la cassazione, le indennità che traggono origine dal rapporto di lavoro, costituiscono redditi da lavoro dipendente e sono assoggettati a tassazione separata e ritenuta d’acconto. Secondo la CTP la parte non aveva dato prova di avere richiesto ed ottenuto il risarcimento di danni diversi da quelli consistenti nel ristoro di retribuzioni non percepite e riteneva tassabili gli importi erogati, ex art. 6, secondo co. DPR 917/86; respingeva pertanto i ricorsi e compensava le spese.
Propongono appello i contribuenti, deducendo difetto di motivazione e violazione di legge sulla natura dell’erogazione tassata.
Deducono che il datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, all’atto del pagamento di somme al lavoratore, deve effettuare una trattenuta delle imposte dovute dal dipendente, ma che è tenuto a verificare se gli importi da erogare siano o meno suscettibili di tassazione; era quindi l’Ente impositore a dover dare prova delle condizioni perché si procedesse ad imposizione; affermano che gli accrediti in questione non erano riconducibili alla retribuzione, essendo dati a titolo di risarcimento danno di carattere non patrimoniale, derivanti dalla reiterazione di contratti a termine, mentre si sarebbe dovuto procedere ad assunzione a tempo indeterminato; deducono infatti gli appellanti di aver instaurato un diverso contenzioso, volto all’accertamento del diritto alle differenze stipendiali maturate in base alla progressione economica, differenze stipendiali che ritengono in quel caso correttamente sottoposte a tassazione, in quanto aventi natura retributiva.
Affermano che nel caso di specie, essendovi il divieto nel settore pubblico, di conversione del contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato, il giudice ha ripiegato sulla misura alternativa del risarcimento del danno, avente secondo gli appellanti natura ristoratrice e non sostitutiva di retribuzioni, non aumentando quindi la capacità contributiva dei lavoratori medesimi, poiché le somme erogate non rientrerebbero tra quelle soggette a tassazione separata, previste dall’art. 17 TUIR. Deducono che neanche il riferimento al dato retributivo per la quantificazione del risarcimento previsto in sentenza, può far sostenere la tesi della natura retributiva della somma erogata, costituendo semplicemente un parametro quantitativo.
Deducono altresì gli appellanti difetto di motivazione e violazione di legge sul riparto dell’onere probatorio, laddove nella sentenza si legge che sarebbe stato onere dei ricorrenti dimostrare che il risarcimento ottenuto riguardava danni diversi da quelli diretti al ristoro di emolumenti non percepiti; affermano che era loro onere dimostrare il danno e che tale onere avevano soddisfatto; che peraltro dalla sentenza del Giudice del Lavoro emergerebbe chiaramente che si tratti di risarcimento di danno non patrimoniale. Chiedono pertanto la riforma della sentenza di primo grado.
Si costituisce l’Agenzia delle Entrate, la quale afferma che nel caso in esame deve dimostrarsi la natura del danno risarcito, fermo restando che le indennità sostitutive di redditi configurano a loro volta redditi imponibili; che dalla lettura della sentenza del Giudice del Lavoro il danno deve configurarsi come lucro cessante e quindi tassabile, considerato anche che esso viene commisurato ad un numero determinato di mensilità di retribuzione; che in particolare sembra che l’intento del Giudice sia stato quello di riconoscere il risarcimento per mancato guadagno derivante dalla mancata stipula del contratto a tempo indeterminato e dalla conseguente perdita della retribuzione almeno per un certo numero di mesi. Quanto al secondo motivo d’appello, afferma che spetta alla parte provare che i danni richiesti sono diversi da quelli relativi al mancato guadagno, anche futuro, conseguente alla mancata stipula di un contratto a tempo indeterminato; e che le stesse parti nel ricorso si erano riferite alle differenze retributive, od in subordine al risarcimento dei danni cagionati; che, trattandosi di istanza di rimborso, l’onere gravava sui ricorrenti. Chiede il rigetto dell’appello.
L’appello è fondato.
Il Giudice del Lavoro di Viterbo, in merito al risarcimento ha così deciso. “Ritiene in proposito questo giudicante che al risarcimento previsto dall’art. 36 sia da riconoscere natura indennitaria, fondata sulla presunzione legale del danno conseguente alla impossibilità di prosecuzione del rapporto (dovuta al divieto di conversione del rapporto); ad esso va inoltre riconosciuto carattere automatico essendo previsto in ogni caso, per il solo fatto della violazione, da parte delle pubbliche amministrazioni, di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori e dunque ogni qualvolta la prestazione lavorativa sia resa in violazione di dette disposizioni”. E di seguito aggiunge: “trattasi all’evidenza di responsabilità contrattuale conseguendo essa alla risoluzione (sia pure legale) del contratto … alla luce di tali premesse incombe quindi sulla PA il relativo obbligo risarcitorio”.
L’art. 6 DPR n. 917/1986 prevede che vadano ricondotte a tassazione le indennità percepite anche a titolo di risarcimento dei danni, purché esse abbiano una funzione sostitutiva od integrativa del reddito, ovvero si ritengono imponibili le somme date per sostituire mancati guadagni (lucro cessante), mentre non assumono rilevanza reddituale, e non sono quindi tassabili, le indennità o risarcimenti dati per reintegrare il patrimonio o per risarcire la perdita economica subita dal patrimonio (danno emergente).
La Corte di Cassazione, nella sentenza di indirizzo su tale questione (23795 del 24.11.2010) stabilisce che, ove una erogazione economica effettuata al prestatore di lavoro dal datore si fondi sul rapporto di lavoro, per negare l’assoggettabilità ad Irpef di tale erogazione, è necessario accertare che essa non trovi la fonte dell’obbligatorietà né in redditi sostituiti, né nel risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri. In base a tale principio la Corte in quel caso ha confermato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che aveva riconosciuto il diritto al rimborso dell’Irpef ad un lavoratore per una somma erogatagli dal datore di lavoro, a titolo di danno morale e danno all’immagine derivanti dalle particolari modalità con le quali era stato svolto e poi interrotto il rapporto di lavoro, trattandosi di ristoro di danno emergente relativo alla integrità psicofisica del lavoratore ed alla sua reputazione professionale.
Nel caso di specie, trattandosi di violazione di norme sul contratto di lavoro a tempo determinato, in presenza del divieto legale di conversione in ambito pubblico di una serie di contratti a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, il risarcimento previsto dal Giudice del Lavoro non ha funzione sostitutiva od integrativa del reddito (lucro cessante), ma natura ristoratrice (danno emergente) e l’indicazione di diverse mensilità di retribuzione costituisce solo il riferimento ad un parametro numerico, per la quantificazione del danno. Deve pertanto dichiararsi il diritto dei lavoratori al rimborso dell’Irpef sulle somme in questione.
Va quindi in tal senso accolto l’appello dei contribuenti. Considerata la complessità delle questioni trattate, le spese tra le parti vanno compensate.
P.Q.M.
Accoglie l’appello dei contribuenti. Spese compensate.
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