Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione V, sentenza n. 3148 depositata il 28 marzo 2023

consorzio stabile – natura – esecuzione appalto in sostituzione della consorziata esecutrice carente dei requisiti – principio del favor partecipationis

FATTO

1.Con atto notificato in data 20 maggio 2022 e depositato il successivo 27 marzo il Consorzio Stabile I. (d’ora in poi per brevità anche semplicemente “Consorzio”) ha interposto appello avverso la sentenza del Tar Lazio, sez. III, n. 2751 del 2022 con cui si è rigettato il ricorso dalla stessa proposto avverso la delibera n. 138 del 24 marzo 2021 di T., recante il ritiro (rectius l’annullamento) dell’aggiudicazione disposta dalla medesima stazione appaltante in relazione all’appalto inerente il “Servizio di supporto agli impianti industriali: attività di supporto alla produzione per l’IMC Roma Smistamento della Direzione Regionale Lazio di T.”, CIG 8387285E86, fondata sul rilievo del difetto, in capo all’impresa appartenente al Consorzio, indicata come esecutrice, D.L.V. Global Service s.r.l., delle certificazioni del proprio Sistema Qualità alle norme UNI EN ISO 9001 e della certificazione di sistemi di gestione per la salute e la sicurezza sul lavoro rilasciata da organismi accreditati secondo la normativa internazionale OHSAS 18001, nella versione vigente o, in alternativa, UNI EN ISO 45001:2018, relative alle attività oggetto dell’appalto, nonché il ricorso per motivi aggiunti con cui veniva impugnata per illegittimità derivata anche l’aggiudicazione alla seconda classificata.

2. Segnatamente dagli atti di causa e dalle allegazioni di parte appellante risulta quanto di seguito specificato.

2.1. Il bando di gara richiedeva al par. III.1.3 tra i requisiti di partecipazione di capacità professionale, “il possesso di certificazione conformità del proprio Sistema Qualità alle norme UNI EN ISO 9001 nella versione vigente, rilasciata da organismi accreditati, con perimetro di certificazione che includa le attività oggetto dell’appalto in corso di validità” (lettera a) del citato paragrafo) e la “certificazione di sistemi di gestione per la salute e la sicurezza sul lavoro rilasciata da organismi accreditati secondo la normativa internazionale OHSAS 18001, nella versione vigente o, in alternativa, UNI EN ISO 45001:2018, con perimetro di certificazione che includa le attività oggetto dell’appalto” (lettera b), par. cit.).

La clausola di gara stabiliva inoltre, che, nel caso di consorzio stabile, i requisiti di cui alle precedenti lettere a) e b) avrebbero dovuto essere “posseduti dal consorzio e da ciascuno dei consorziati per conto dei quali il consorzio partecipava alla gara” (Bando di gara, punto III.1.3, Capacità professionale e tecnica).

2.2. L’odierno appellante – consorzio stabile ex articolo 2602 c.c. – pur possedendo in proprio tutti i requisiti richiesti dal disciplinare (eccezion fatta per il requisito tecnico del fatturato specifico medio per il quale si avvaleva del fatturato specifico dell’impresa consorziata I.C. SERVIZI s.r.l. producendo il relativo contratto di avvalimento) indicava, in fase di presentazione della domanda, un’impresa consorziata (la D.L.V. Global Service s.r.l.) quale esecutrice dell’appalto.

2.3. Con provvedimento del 14 dicembre 2020, la Stazione Appaltante comunicava al Consorzio l’aggiudicazione della gara e, contestualmente chiedeva l’inoltro della documentazione ivi indicata.

2.4. Successivamente, con comunicazione del 16 febbraio 2021, la Stazione Appaltante rappresentava di aver rilevato, con riferimento alle certificazioni di qualità in possesso della consorziata indicata quale esecutrice, che le stesse coprivano l’attività di “erogazione servizi di pulizia” senza indicazione dei settori di accreditamento, con la conseguente necessità di verifica che le medesime certificazioni coprissero anche il perimetro delle attività oggetto di appalto, richiedendo a tal fine chiarimenti.

2.5. Con nota del 22 febbraio 2021, il Consorzio comunicava alla S.A. – con riferimento alla indicata richiesta di chiarimenti– di aver chiesto all’impresa esecutrice di rendere le delucidazioni del caso, a tale scopo allegando alla propria comunicazione le giustificazioni pervenute dalla D.L.V. Global Service s.r.l.. In particolare, l’impresa esecutrice, in possesso della certificazione di qualità per l’attività di “erogazione servizi di pulizia”, dichiarava di aver chiesto l’estensione di copertura delle certificazioni di qualità al fine di coprire anche il perimetro delle attività oggetto di appalto, ma di non esserne ancora riuscita ad ottenere l’aggiornamento. Già con tale comunicazione (doc. 6 allegato al ricorso di primo grado) il Consorzio rappresentava, peraltro, alla Stazione Appaltante che “nell’ipotesi in cui la S.A. dovesse ritenere insufficienti i chiarimenti resi, si dichiara disponibile a sostituire l’esecutrice con altra consorziata, ferma restando la possibilità di assunzione in proprio”.

2.6. La Stazione Appaltante, quindi, con comunicazione del 3 marzo 2021, chiedeva al consorzio la “trasmissione dell’evidenza della richiesta di estensione delle certificazioni UNI EN ISO 9001:2015, UN EN ISO 45001:2018 e UNI EN ISO 14001:2015 agli enti certificatori nonché riscontro di tali enti in merito all’avvio dell’iter. Inoltre, vi chiediamo indicazione sulle tempistiche per l’estensione delle predette certificazioni secondo il perimetro dell’appalto come da precedente comunicazione di T.”.

2.7. Pertanto, in risposta alla predetta richiesta, il Consorzio, con comunicazione del 5 marzo 2021, allegava e inoltrava a T. il riscontro della consorziata D.L.V. Global Service, la quale forniva i chiarimenti richiesti.

2.8. A fronte del riscontro fornito, la Stazione Appaltante – con la delibera n. 138 del 24 marzo 2021, oggetto di impugnativa in prime cure – comunicava il ritiro dell’aggiudicazione, sostenendo che le giustificazioni rese dalla D.L.V. Global Service non erano idonee, siccome le certificazioni di qualità dovevano essere possedute alla data di scadenza della presentazione delle offerte, a nulla rilevando che l’iter di estensione del perimetro fosse stato avviato entro il predetto termine e ritenendo, altresì, che la sostituzione della consorziata con altra consorziata non potesse essere ammessa al fine di eludere la mancanza di requisiti di partecipazione alla gara. Nulla, invece, riferiva T. in merito alla dichiarazione di disponibilità del Consorzio di assumere in proprio l’appalto.

2.8.1. In data 29 marzo 2021, il Consorzio presentava pertanto richiesta di revoca in autotutela del provvedimento di ritiro dell’aggiudicazione, rappresentando a T. di non aver tenuto in debita considerazione anche la circostanza per la quale esso possedeva in proprio tutti i requisiti di partecipazione alla gara e le certificazioni di qualità e che, già con propria comunicazione del 22 febbraio 2021, si era dichiarato disponibile ad assumere in proprio l’appalto, atteso che in ogni caso il soggetto partecipante alla procedura era e restava il Consorzio Stabile I..

2.8.2. Tuttavia, con comunicazione del 7 aprile 2021, la Stazione Appaltante confermava la propria decisione ritenendo “prive di pregio” le argomentazioni del Consorzio e confermando, altresì, la decisione di escutere la polizza fideiussoria prestata e di segnalare la revoca all’Autorità di Vigilanza.

3. Di conseguenza, in data 21 aprile 2021, il Consorzio presentava ricorso al T.A.R. del Lazio, sede di Roma, chiedendo l’annullamento del provvedimento di ritiro dell’aggiudicazione, nonché di tutti gli atti connessi, consequenziali, preordinati, collegati, precedenti o successivi e così in particolare degli atti della Commissione di gara, così come risultanti dai relativi verbali, con richiesta di declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato dalla Stazione Appaltante con diversa ditta aggiudicataria. Con il medesimo ricorso il Consorzio richiedeva il risarcimento del danno in forma specifica mediante l’aggiudicazione del contratto nonché, in subordine, il risarcimento del danno per equivalente.

In sintesi il Consorzio con il ricorso di prime cure deduceva le seguenti censure avverso gli atti gravati:

Violazione di legge (art. 47 D.Lgs. 50/2016) – Violazione della lex specialis di gara – Eccesso di potere – illogicità e contraddittorietà manifesta della motivazione per le seguenti ragioni:

1) i requisiti contestati alla consorziata non sarebbero requisiti di partecipazione ma, al contrario, mere certificazioni di qualità richieste – non a pena di esclusione– in seno all’offerta tecnica, e quindi, in buona sostanza, criteri di valutazione del merito tecnico, della componente tecnica dell’offerta; non certo elementi qualificabili come requisiti da possedere ai fini dell’amissione alla gara;

2) il contegno procedimentale della stazione appaltante sarebbe stato contraddittorio, avendo instaurato una interlocuzione procedimentale tesa ad accertare la sola sussistenza delle richieste di estensione dei suddetti certificati, salvo poi sostenere che la loro mancanza al momento della partecipazione alla gara era circostanza insuperabile;

3) i requisiti contestati, ancorché non posseduti dalla consorziata, erano in ogni caso posseduti dal Consorzio in proprio. Ciò, secondo parte ricorrente, avrebbe potuto altresì consentire l’esecuzione diretta della commessa da parte del Consorzio, anche in ragione della disponibilità da quest’ultimo manifestata in fase di verifica dei requisiti di partecipazione. Pertanto la stazione appaltante era incorsa nel vizio di eccesso di potere laddove aveva negato non solo e non tanto la possibilità di sostituire l’impresa esecutrice, ma addirittura di consentire al Consorzio Stabile di eseguire in proprio l’appalto, essendo direttamente in possesso anche di tutti i requisiti di capacità tecnico professionale oltre che delle richiamate certificazioni di qualità;

4) la fondatezza delle censure e la palese violazione della legge di gara ad opera della Stazione Appaltante – con grave travisamento delle sue previsioni e con motivazione illogica e contraddittoria – si rinvenivano, altresì, nelle previsioni di cui al par. VII.3 del Disciplinare di Gara che regolamenta la fase di aggiudicazione il quale, ai punti sub 5, 6 e 7 (pagg. 22 e 23 disciplinare) prevede che le 17 certificazioni di qualità da comprovarsi dovevano essere quelle dell’aggiudicatario (ovvero il Consorzio Stabile I.) e non anche quelle dell’impresa consorziata esecutrice.

3.1. Con successivo atto di motivi aggiunti il Consorzio chiedeva inoltre l’annullamento del provvedimento (delibera n. 157 del 6 aprile 2021) a mezzo del quale era stata disposta l’aggiudicazione dell’appalto alla società Metalmeccanica s.r.l., per illegittimità derivata.

4. Con la sentenza n. 2571/2022, pubblicata il 3 marzo 2022, non notificata, il Tar capitolino, respingeva il ricorso ed i motivi aggiunti presentati dal Consorzio, sulla base dei seguenti rilievi:

a) Solo il parametro tecnico riferito alla Certificazione UNI EN ISO 14001 o, in alternativa, alla REGISTRAZIONE EMAS, era da considerare una componente dell’offerta tecnica, e non già le certificazioni UNI EN ISO 9001 e OHSAS 18001 (o, in alternativa, UNI EN ISO 45001:2018) che rientrano tra i livelli minimi di capacità richiesti nel Bando di gara per la partecipazione alla gara, ovverosia tra i requisiti di partecipazione;

b) il Consorzio non poteva sostituire i propri requisiti a quelli della consorziata indicata come esecutrice, stante l’avvenuta abolizione del cumulo alla rinfusa ad opere del Decreto Sbloccantieri, ostando “a tale argomento l’art. 47, co. 2, del D. Lgs. n. 50/2016 come modificato dal D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 giugno 2019, n. 55 (c.d. Decreto Sblocca cantieri) e dunque applicabile al momento della gara per cui è causa, il quale dispone che “i consorzi stabili di cui agli articoli 45, comma 2, lettera c), e 46, comma 1, lettera f), eseguono le prestazioni o con la propria struttura o tramite i consorziati indicati in sede di gara senza che ciò costituisca subappalto”, stabilendo altresì che “la sussistenza in capo ai consorzi stabili dei requisiti richiesti nel bando di gara per l’affidamento di servizi e forniture è valutata, a seguito della verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati”. (47, co. 2 –bis, D. Lgs. n. 50/2016)”.

5. Ciò posto, con l’odierno atto di appello il Consorzio ha formulato le seguenti censure avverso la sentenza di prime cure:

I) Error in iudicando. Travisamento dei fatti. Motivazione insufficiente, incongrua, contraddittoria. violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 47 d.lgs. 50/2016. Violazione e/o falsa applicazione della lex specialis di gara. Eccesso di potere. Illogicità e contraddittorietà manifesta. Difetto di motivazione.

In tesi di parte appellante la sentenza di prime cure sarebbe viziata in quanto basata su una errata interpretazione dei fatti, nonché della lex specialis di gara e del D.Lgs. 50/2016.

Infatti la mancanza della certificazione di qualità non era prevista a pena di esclusione dalla lex specialis, né la sua carenza in capo alla impresa consorziata avrebbe potuto precludere la partecipazione alla gara al Consorzio Stabile I., il quale possedeva in proprio anche le certificazioni di qualità richieste.

La stazione appaltante pertanto, secondo la prospettazione attorea, era certamente incorsa nel vizio di eccesso di potere laddove aveva negato non solo e non tanto la possibilità di sostituire l’impresa esecutrice, ma addirittura di consentire al Consorzio Stabile di eseguire in proprio l’appalto, essendo direttamente in possesso anche di tutti i requisiti di capacità tecnico-professionale, oltre che delle richiamate certificazioni di qualità.

Sarebbe pertanto del tutto erroneo quanto sostenuto nella sentenza di prime cure al capo 6.1, con il quale, nel condividere la tesi della stazione appaltante, si era ritenuto che l’appalto non potesse essere eseguito in proprio dal consorzio, stante l’avvenuta abolizione del cumulo alla rinfusa ad opera del decreto sbloccantieri, non avendo il Consorzio la necessità di avvalersi del c.d. principio del “cumulo alla rinfusa” per poter eseguire in proprio i servizi oggetto dell’appalto, possedendo in proprio i requisiti per la partecipazione alla gara.

II) Error in procedendo. Omessa motivazione. Violazione di legge (art. 47 d.lgs. 50/2016). Violazione della lex specialis di gara. Eccesso di potere. Illogicità e contraddittorietà manifesta della motivazione.

In tesi di parte appellante, il Giudice di prime cure avrebbe sostanzialmente omesso di pronunciarsi con riferimento al punto III del ricorso. Il Consorzio, infatti, già con il ricorso introduttivo aveva contestato la legittimità della motivazione fornita dalla Stazione Appaltante in merito alla possibilità di esecuzione diretta dell’appalto da parte del Consorzio, non avendo T. fornito alcuna motivazione puntuale per giustificare la mancata concessione al Consorzio della possibilità di sostituirsi all’impresa consorziata, censura questa non esaminata dal giudice di prime cure che aveva rigettato il ricorso sulla base del semplice rilievo dell’inapplicabilità del principio del cumulo alla rinfusa, laddove nel caso di specie non veniva in rilievo detto istituto, possedendo il Consorzio in proprio i requisiti.

6. Si è costituita T., con articolata memoria difensiva, eccependo in primo luogo l’inammissibilità dell’appello per mancata specificazione dei motivi, essendosi parte appellante limitata a richiamare le censure articolate in primo grado, senza esplicitamente censurare i capi della sentenza oggetto di gravame.

In ogni caso, secondo T., dovrebbero intendersi coperti da giudicato, in quanto non espressamente gravati, i capi della sentenza 5 e 5.1, con cui il Tar si era espressamente pronunciato sul carattere escludente della richiesta certificazione di qualità e sul fatto che i requisiti richiesti nella lex specialis avrebbero dovuti essere posseduti dal consorzio e da ciascuno dei consorziati per conto dei quali il consorzio partecipava alla gara.

Nel merito, ha insistito per il rigetto dell’appello, deducendo peraltro preliminarmente l’inammissibilità del motivo fondato sulla non necessità del cumulo alla rinfusa, per divieto dei nova ex art. 104 c.p.a., posto che in prime cure si era per contro invocato proprio il cumulo alla rinfusa a fondamento della dedotta possibilità del consorzio di eseguire in proprio la commessa.

7. In vista della trattazione di merito del presente appello, il Consorzio ha depositato, ex art. 73 comma 1 c.p.a., documentazione attestante il possesso delle richieste certificazioni di qualità.

7.1. Entrambe le parti hanno depositato memorie dirette e di replica ex art. 73 comma 1 c.p.a..

T. con la memoria diretta ha in particolare eccepito l’inammissibilità della produzione documentale effettuata da parte appellante, in quanto avvenuta in violazione del divieto dei nova, ex art. 104 c.p.a., eccezione cui ha controdedotto il Consorzio con la memoria di replica.

8. L’appello è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 17 novembre 2022, sulle conclusioni rassegnate dalle parti.

DIRITTO

9. In limine litis va precisato, al fine di circoscrivere l’oggetto del presente appello, come non avendo parte appellante espressamente riproposto la domanda di subentro nel contratto, nonché la domanda di risarcimento dei danni per equivalente, come le stesse debbano intendersi rinunciate, in applicazione del disposto dell’art. 101 comma 2 c.p.a., trattandosi di domande assorbite nella decisione di rigetto di prime cure e non expressis verbis riproposte in questa sede, con la conseguenza che l’eventuale riforma della sentenza appellata non potrà che avere ad oggetto il mero accoglimento del ricorso di prime cure ai fini dell’annullamento degli atti gravati (che continuano ad esplicare i propri effetti lesivi anche in ordine alla consequenziale escussione della fideiussione e alla segnalazione all’Autorità di Vigilanza del ritiro dell’aggiudicazione).

Infatti, per costante giurisprudenza, in sede di appello le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non vengano espressamente riproposte nell’atto di gravame, si intendono rinunciate ex art. 101, comma 2 del D.lgs. n. 104/2010 (ex multis Cons. Stato Sez. III, 23/05/2019, n. 3360; Cons. Stato Sez. IV, 02/09/2019, n. 6056, Cons. Stato Sez. VI Sent., 02/01/2020, n. 23).

10. Sempre preliminarmente va delibata l’eccezione di inammissibilità della produzione documentale effettuata da parte appellante nelle more della celebrazione dell’udienza pubblica, ex art. 73 comma 1 c.p.a., formulata dall’appellata T. e fondata sul rilievo che la stessa sarebbe violativa del divieto dei nova di cui all’art. 104 comma 2 c.p.a..

10.1. L’eccezione va disattesa, rientrando il deposito documentale nel perimetro applicativo dell’eccezione prevista da tale comma, laddove prevede la possibilità di produzione di nuovi documenti allorquando gli stessi siano indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile, posto che detto deposito è stato effettuato per contrastare quanto dedotto da T. nella memoria di costituzione in ordine alla successiva perdita, in corso di gara, da parte del Consorzio, delle certificazioni di qualità richieste dalla lex specialis quali requisiti di partecipazione; trattasi, pertanto, di documentazione ammissibile nella presente sede di appello in quanto non posta a supporto dei motivi di doglianza formulati in prime cure, ma diretta a replicare all’eccezione formulata solo in grado di appello da T., dovendo la ratio del divieto di cui all’art. 104 comma 2 c.p.a. rinvenirsi nel divieto di documentazione probatoria già rilevante nel ricorso di primo grado e che la parte non abbia prodotto per propria negligenza (ex multis Cons. Stato Sez. IV, 30/05/2022, n. 4323;Cons. Stato Sez. VI, 26/04/2022, n. 3152).

11. Parimenti in via preliminare va delibata l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata da T., fondata sul rilievo della mancata specifica formulazione di motivi, per essersi parte appellante limitata alla mera riproposizione delle censure formulate in prime cure, senza puntuale impugnazione dei capi della sentenza che le avevano rigettate.

11.1. L’eccezione è solo parzialmente fondata.

11.2. Infatti, nel giudizio amministrativo costituisce specifico onere dell’appellante formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza impugnata, posto che l’oggetto di tale giudizio è costituito da quest’ultima e non dal provvedimento gravato in primo grado; il suo assolvimento esige quindi la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo che ha fondato la decisione appellata, con la conseguenza che il mancato assolvimento di tale onere, con le modalità appena precisate, implica l’inammissibilità della censura relativa al capo della decisione che è rimasto estraneo alle critiche svolte nell’atto d’appello (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 dicembre 2013 n. 6005), con conseguente reiezione del gravame se detto autonomo capo della sentenza è idoneo a sorreggere di per sé la decisione assunta (Cons. Stato Sez. VII, 18 ottobre 2022, n. 8876). Dal principio di cui all’art. 329 comma 2, c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo, discende infatti che “risultano estranei al thema decidendum i capi della decisione non oggetto di specifica contestazione (Consiglio di Stato, sez. VI, 31 ottobre 2011, n. 5820)” (così C.d.S., Sez. VI, 23 giugno 2016, n. 2782).

La norma di cui all’art. 101 c.p.a. impone, pertanto, che le ragioni della decisione, esposte nella motivazione della sentenza, siano sottoposte a un puntuale vaglio critico, volto a metterne in risalto l’erroneità in punto di fatto o in punto di diritto (Cons. Stato, sez. V, 26 agosto 2020, n. 5208; sez. V, 26 marzo 2020, n. 2126; sez. IV, 24 febbraio 2020, n. 1355).

La parte non può limitarsi, dunque, a riproporre i medesimi motivi di ricorso già valutati in primo grado oppure ad individuare i capi della sentenza che ritiene erronei e, poi, a riproporre, sia pure con differente formulazione, quelle doglianze che hanno ad oggetto il solo provvedimento gravato in primo grado (Cons. Stato, sez. IV, 16 dicembre 2021 n. 2698).

11.3. Ciò posto, nell’ipotesi di specie l’inammissibilità va delimitata alla prima parte del primo motivo di appello, con cui parte appellante ha solo genericamente dedotto che la mancanza della certificazione di qualità non era prevista a pena di esclusione dalla lex specialis, senza espressamente censurare i capi della sentenza di prime cure, 5 e 5.1, che hanno disatteso le censure attoree.

E, invero, parte appellante non ha, al riguardo, mosso alcuna puntuale critica al percorso argomentativo su cui è fondata la sentenza, motivata in ragione del rilievo che solo il parametro tecnico riferito alla Certificazione UNI EN ISO 14001 o, in alternativa, alla REGISTRAZIONE EMAS, era da considerare una componente dell’offerta tecnica, rilevante ai soli fini dell’attribuzione di un punteggio premiale, e non già le certificazioni UNI EN ISO 9001 e OHSAS 18001 (o, in alternativa, UNI EN ISO 45001:2018) che rientravano tra i livelli minimi di capacità richiesti nel Bando di gara per la partecipazione alla gara, ovverosia tra i requisiti di partecipazione.

11.4. Non può per contro accogliersi la prospettazione di parte appellata secondo la quale l’appello sarebbe inammissibile in toto per esservi nel paragrafo 5, non oggetto di alcuna censura, l’espresso riferimento alla circostanza che la norma di gara stabiliva inoltre che nel caso di consorzio stabile i requisiti di cui alle precedenti lettere a) e b) avrebbero dovuto essere “posseduti dal consorzio e da ciascuno dei consorziati per conto dei quali il consorzio partecipava alla gara” (Bando di gara, punto III.1.3, Capacità professionale e tecnica), posto che parte appellante, pur senza specificamente indicare il punto della sentenza gravata in parte qua, ha contrastato non solo l’interpretazione della lex specialis di gara operata dalla stazione appaltante, ma anche la prospettazione posta a base della sentenza gravata.

Il Consorzio ha, infatti, evidenziato, in primo luogo, come la clausola della lex specialis di gara fosse stata erroneamente applicata dalla stazione appaltante, nel senso che il difetto del requisito di partecipazione in capo alla consorziata indicata come esecutrice avrebbe determinato l’esclusione del consorzio, anche se dotato in proprio del detto requisito, e che, laddove interpretata in tal senso, avrebbe dovuto considerarsi nulla in quanto violativa del principio di tassatività delle clausole di esclusione.

Ed invero, in tesi di parte appellante, la palese violazione della legge di gara ad opera della Stazione Appaltante – con grave travisamento delle sue previsioni e con motivazione illogica e contraddittoria – si rinverrebbero, altresì, nelle previsioni di cui al par. VII.3 del Disciplinare di Gara che regolamenta la fase di aggiudicazione il quale, ai punti sub 5, 6 e 7 (pagg. 22 e 23 disciplinare) prevede che le certificazioni di qualità da comprovarsi devono essere quelle dell’aggiudicatario (in questo caso, quindi, del Consorzio Stabile I.) e non anche quelle relative alla eventuale impresa consorziata esecutrice.

Parte appellante ha, in secondo luogo, censurato il capo 6.1. della sentenza gravata che, nel disattendere le doglianze attoree, ha ritenuto che il Consorzio non potesse eseguire in proprio l’appalto, per essere stato abolito il principio del cumulo alla rinfusa con la riforma introdotta dal c.d. Decreto Sbloccacantieri (D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 giugno 2019, n. 55).

Il Consorzio ha, pertanto, soddisfatto, in relazione alla parte finale del capo 5 della sentenza, l’onere di specifica impugnativa, posto che la sentenza del primo giudice in parte qua si limita ad un mero rinvio alla prescrizione della lex specialis di gara – la cui interpretazione ad opera della stazione appaltante, condivisa nella sentenza gravata, sarebbe in tesi attorea errata – senza alcuna motivazione e che il fulcro del rigetto delle doglianze attoree si rinviene nel capo 6.1. della sentenza, fondata sul rilievo della non possibilità di esecuzione della commessa da parte del Consorzio, stante l’inapplicabilità nella fattispecie di cui è causa del principio del cumulo alla rinfusa in quanto oggetto di abrogazione ad opera del decreto sbloccantieri; capo questo oggetto di puntuale doglianza con l’atto di appello.

Il Consorzio ha infatti al riguardo lamentato “l’evidente illegittimità della sentenza impugnata, la quale spende diverse pagine della propria motivazione sulla (im)possibilità di applicare il principio del “cumulo alla rinfusa”, travisando del tutto le doglianze del Consorzio odierno appellante, il quale – possedendo in proprio i requisiti di partecipazione, senza bisogno di “cumulare” su di sé quelli delle proprie consorziate – avrebbe potuto aggiudicarsi l’appalto, eseguendo esso stesso i servizi oggetto di gara”.

In tesi attorea infatti, al di là dell’interpretazione che si preferisca dell’articolo 47, comma 2 del Codice dei Contratti Pubblici, per come modificato dal D.L. 18 aprile 2019, in nessun caso il Consorzio avrebbe avuto la necessità di avvalersi del c.d. principio del “cumulo alla rinfusa” per poter eseguire in proprio i servizi oggetto dell’appalto.

Pertanto, l’appello deve in parte qua ritenersi ammissibile, posto che il principio di specificazione dei motivi di appello non richiede necessariamente l’impiego di formule solenni, ma ammette che le censure possano essere desunte dal contesto dell’atto di gravame, purché il Giudice dell’appello sia posto in condizione di comprendere con chiarezza i principi, le norme e le ragioni per cui il Giudice di prime cure avrebbe dovuto decidere diversamente (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 12 luglio 2017, n. 3427; Cons. giust. amm. Sicilia, Sent., 15/02/2021, n. 113).

11.4.1. Parimenti ammissibile deve considerarsi il secondo motivo di appello, con cui parte appellante si duole dell’omessa pronuncia della sentenza appellata relativamente alla prospettata doglianza di difetto di motivazione del provvedimento di ritiro dell’aggiudicazione oggetto di gravame, quanto alla possibilità di esecuzione dell’appalto da parte del Consorzio in proprio.

11.5. Ciò posto, in via consequenziale, deve esaminarsi, rispetto al primo motivo di appello, l’eccezione di T. secondo cui parte appellante avrebbe formulato un motivo nuovo, non oggetto del ricorso di prime cure, che per contro era incentrato sulla ritenuta applicabilità al consorzio del principio del cumulo alla rinfusa.

11.5.1. L’eccezione va disattesa, posto che quello che l’odierno appellante ha lamentato, prima dinanzi al T.A.R. capitolino e poi con il ricorso in appello, è l’illegittimità del ritiro dell’aggiudicazione e l’erroneità della sentenza di prime cure per il mancato riconoscimento in capo al Consorzio della possibilità di assumere in proprio l’esecuzione del servizio, essendo in possesso di tutti i requisiti richiesti, laddove il riferimento del cumulo alla rinfusa è contenuto nel ricorso di primo grado solo in “virgolettato” in parte della giurisprudenza richiamata; pertanto il richiamo al cumulo alla rinfusa non poteva ritenersi il perno del ricorso di prime cure, incentrato sulla natura del consorzio stabile e sul fatto che soggetto contraente dovesse intendersi unicamente il consorzio, per cui il mancato possesso di un requisito in capo ad una consorziata, sebbene indicata come esecutrice, non avrebbe potuto incidere, in tesi attorea, sulla verifica del requisito già posseduto dal consorzio stabile in proprio, e sulla possibilità di esecuzione da parte del medesimo Consorzio, ovvero sulla medesima tesi posta a base dell’odierno atto di appello.

12. Ciò posto, occorre in primo luogo richiamare i princìpi elaborati dalla giurisprudenza sulla natura dei consorzi stabili, ben posta in luce da un precedente di questa Sezione, ovvero dalla recente sentenza 7/11/2022 n. 9762, nonché dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2021.

12.1. Il consorzio stabile è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 10, comma 1, lett. c), L. 10 febbraio 1994, n. 109, all’esito di un “percorso di tipizzazione normativa del fenomeno della cooperazione tra imprese” nell’esecuzione di commesse pubbliche, che ha visto nel tempo il riconoscimento delle associazioni temporanee di imprese e dei consorzi di cooperative di produzione e lavoro regolati dalla l. 25 giugno 1909, n. 422, con l’art. 20, l. 8 agosto 1977, n. 584, e la disciplina dei consorzi ordinari, con l. 17 febbraio 1987, n. 80.

I consorzi stabili sono quei consorzi costituiti tra almeno tre imprese che abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici per un periodo non inferiore a cinque anni, istituendo a tale fine una comune struttura di impresa. Si differenziano pertanto dai consorzi “ordinari” in quanto, mentre questi ultimi nascono e cessano (al pari delle associazioni temporanee di imprese) in vista di un’unica operazione, i primi sono costituiti in funzione di un numero potenzialmente illimitato di operazioni.

Come evidenziato dalla dottrina, l’istituto del consorzio stabile costituisce una evoluzione della figura tradizionale disciplinata dagli artt. 2602 ss. c.c. e si colloca in una posizione intermedia fra le associazioni temporanee e gli organismi societari risultanti dalla fusione di imprese.

Il consorzio stabile, pertanto, rappresenta una particolare categoria dei consorzi disciplinati dal codice civile ed è soggetto sia alla disciplina generale dettata dallo stesso codice, sia a quella speciale dettata dal codice dei contratti pubblici.

L’istituto si colloca dunque nel più ampio fenomeno della partecipazione aggregata alle procedure di evidenza pubblica, secondo i principi del favor partecipationis e della “neutralità delle forme giuridiche” dei soggetti partecipanti alla procedura di gara, disciplinati e regolamentati dalla legislazione prima comunitaria e poi eurounitaria.

Ai sensi dell’art. 45, comma 2, lett. c) d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 “Rientrano nella definizione di operatori economici i seguenti soggetti… c) i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell’art. 2615 ter del codice civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro. I consorzi stabili sono formati da non meno di tre consorziati che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tale fine una comune struttura di impresa”.

12.2. La prevalente giurisprudenza amministrativa, mutuando anche i principi informatori compendiati all’articolo 45 del d.lgs. n. 50/2016, qualifica pertanto consorzi stabili quei consorzi che abbiano stabilito di operare nel settore dei contratti pubblici per un periodo non inferiore a cinque anni e che, pertanto, abbiano istituito una comune struttura d’impresa. Si tratta di aggregazioni durevoli di soggetti che nascono da un’esigenza di cooperazione ed assistenza reciproca e, operando come un’unica impresa, si accreditano all’esterno come soggetto distinto.

Il Consiglio di Stato ha, in più occasioni, chiarito che sono operatori economici dotati di autonoma personalità giuridica, costituiti in forma collettiva e con causa mutualistica, che operano in base a uno stabile rapporto organico con le imprese associate, il quale si può giovare, senza necessità di ricorrere all’avvalimento, dei requisiti di idoneità tecnica e finanziaria delle consorziate stesse, secondo il criterio del “cumulo alla rinfusa” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2021, n. 964; Cons. stato, 11 dicembre 2020, n. 7943; Cons. Stato sez. VI, 13 ottobre 2020, n. 6165; Cons. Stato, sez. III, 22 febbraio 2018, n. 1112).

Peraltro elemento qualificante dei consorzi stabili è senz’altro la “comune struttura di impresa” da intendersi quale “azienda consortile” utile ad eseguire in proprio, ossia senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate, le prestazioni affidate a mezzo del contratto (cfr. Adunanza Plenaria 18 marzo 2021, n. 5; Cons. Stato, sez. VI, 13 ottobre 2020, n. 6165).

E’ stato infatti osservato (Cons. Stato, sez. III, 4.2.2019, n. 865) come l’elemento essenziale per poter attribuire al consorzio la qualifica di consorzio stabile è il c.d. elemento teleologico, ossia l’astratta idoneità del consorzio, esplicitamente consacrata nello statuto consortile, di operare con un’autonoma struttura di impresa, capace di eseguire, anche in proprio, ovvero senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate, le presentazioni previste nel contratto (ferma restando la facoltà per il consorzio, che abbia tale struttura, di eseguire le prestazioni, nei limiti consentiti, attraverso le consorziate) (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2.5.2017, n. 1984; Cons. Stato, sez. V, 17.1.2018, n. 276).

Si ritiene, pertanto, che il riferimento aggiuntivo del codice dei contratti pubblici alla “comune struttura di impresa” induce a concludere nel senso che costituisce un predicato indefettibile di tali soggetti l’esistenza di un’azienda consortile, intesa nel senso civilistico di “complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.

12.3. Dall’elaborazione giurisprudenza sul punto, quindi, emerge pertanto che, a differenza dei RTI e dei consorzi ordinari, il consorzio stabile, è un nuovo e peculiare soggetto giuridico, promanante da un contratto a dimensione associativa tra imprese, caratterizzato oggettivamente come struttura imprenditoriale da un rapporto tra le stesse imprese di tipo organico, al fine di operare in modo congiunto nel settore dei lavori pubblici, sicchè unico interlocutore con l’amministrazione appaltante è il medesimo consorzio, con la conseguenza che i requisiti speciali di idoneità tecnica e finanziaria ben possono essere posseduti in capo al consorzio stesso.

12.3.1. E’ in particolare il riferimento aggiuntivo e qualificante alla “comune struttura di impresa” che induce ad approdare verso lidi ermeneutici diversi ed opposti rispetto a quanto visto per i consorzi ordinari. I partecipanti in questo caso danno infatti vita ad una stabile struttura di impresa collettiva, la quale, oltre a presentare una propria soggettività giuridica con autonomia anche patrimoniale, rimane distinta e autonoma rispetto alle aziende dei singoli imprenditori ed è strutturata, quale azienda consortile, per eseguire, anche in proprio (ossia senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate), le prestazioni affidate a mezzo del contratto (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 18/03/2021 n. 5, con richiamo da ultimo a Cons. St., sez. VI, 13 ottobre 2020, n. 6165).

Proprio sulla base di questa impostazione, la Corte di Giustizia UE (C-376/08, 23 dicembre 2009) è giunta ad ammettere la contemporanea partecipazione alla medesima gara del consorzio stabile e della consorziata, ove quest’ultima non sia stata designata per l’esecuzione del contratto e non abbia pertanto concordato la presentazione dell’offerta (ex multis, Cons. St., sez. III, 4 febbraio 2019, n. 865).

13. Ciò posto, le doglianze di parte appellante devono, pertanto, ritenersi fondate.

13.1. Ed invero come evidenziato dal C.G.A.R.S. con sentenza 22/01/2021 n. 49 – decisione tra l’altro riferita al difetto di motivazione ex art. 21 novies l. 241/90 del provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione adottato dalla stazione appaltante in riferimento ad una procedura in materia di beni culturali, in cui assume una specifica valenza la qualificazione dell’impresa esecutrice stante la chiara disposizione costituita dall’art. 146 comma 2 del d. lgs, n. 50 del 2016 – “Il consorzio stabile è caratterizzato dal c.d. elemento teleologico, che gli consente di operare con un’autonoma struttura di impresa, capace di eseguire anche in proprio, e cioè senza l’ausilio necessario delle imprese consorziate, le prestazioni previste nel contratto.

In sostanza, i consorzi stabili, ai sensi dell’art. 47, comma 2, del d.lgs. 50/2016, hanno una propria qualificazione, diversa ed autonoma dalle imprese consorziate, che consente ai medesimi di partecipare alle gare pubbliche, con la conseguenza che essi assumono su di sé, e con le qualificazioni possedute, l’onere della esecuzione delle prestazioni contrattuali; la presenza di un’autonoma struttura di impresa, distinta da quella delle consorziate e che sia in grado di eseguire anche in proprio le prestazioni previste nel contratto, rende imputabile l’attività compiuta al solo consorzio stabile (cfr. Cons. Stato, V, n. 276/2018).

E dunque, dall’espunzione della consorziata risultata non in possesso delle qualificazioni necessarie, consegue che la prestazione ricade in toto sul medesimo consorzio stabile.

D’altra parte, deve ritenersi che l’obbligo per il consorzio stabile di indicare in sede di offerta i consorziati designati per l’esecuzione sia principalmente finalizzato a precludere che questi si giovino della copertura dell’ente collettivo, eludendo i controlli demandati alle Stazioni appaltanti in ragione dell’obbligo di comprovare il possesso dei requisiti di ordine generale”.

13.2. Né a conclusioni diverse può addivenirsi avendo riguardo a quanto incidenter tantum indicato nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 18 marzo 2021 n. 5, laddove afferma che “Solo le consorziate designate per l’esecuzione dei lavori partecipano alla gara e concordano l’offerta, assumendo una responsabilità in solido con il consorzio stabile nei confronti della stazione appaltante (art. 47 comma 2 del codice dei contratti)”.

Ed invero detta affermazione non esclude affatto che, proprio in forza del vincolo di solidarietà, la prestazione finisca per ricadere in toto sul consorzio stabile, ove l’impresa esecutrice sia priva dei prescritti requisiti, senza che detta esecuzione in proprio possa considerarsi elusiva del disposto dell’art. 48 comma 19 bis del Codice, laddove prevede che “Le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione anche con riferimento ai soggetti di cui all’articolo 45, comma 2, lettere b), c) ed e)” (da leggersi peraltro alla luce del recente arresto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2/2022), dovendosi i limiti alla modifica soggettiva in corso di gara, richiamati negli indicati commi, intendersi riferiti, in relazione ai consorzi stabili, all’ipotesi di sostituzione della consorziata esecutrice con altra consorziata, quand’anche già indicata come esecutrice (con modifica in riduzione), e non anche ai rapporti fra impresa consorziata indicata come esecutrice e consorzio che abbia in proprio i requisiti, essendo il Consorzio ab initio parte sostanziale del contratto con la stazione appaltante, chiamato a rispondere in solido della totalità dell’esecuzione della commessa.

Peraltro lo stesso provvedimento di ritiro dell’aggiudicazione gravato in prime cure ha considerato elusiva del controllo sul possesso dei requisiti che devono sussistere al momento della presentazione dell’offerta la sostituzione in corso di gara dell’impresa consorziata indicata come esecutrice con altra consorziata (“visto che, ai sensi dell’art. 48, comma 7-bis del D.Lgs. 50/2016, è consentito designare una consorziata diversa da quella indicata in sede di gara solo a condizione che la modifica soggettiva non sia finalizzata ad eludere in tale sede la mancanza di un requisito di partecipazione in capo all’impresa consorziata”), nulla precisando in ordine alla possibilità di esecuzione dell’appalto dal Consorzio in proprio.

13.3. La sentenza appellata è pertanto viziata laddove ha ritenuto che il Consorzio non potesse eseguire l’appalto in proprio, per avere indicato una singola impresa consorziata come esecutrice in sede di gara – priva dei prescritti requisiti di partecipazione – sulla base del rilievo dell’avvenuta abolizione del cumulo alla rinfusa.

13.3.1. Infatti in vigenza dell’art. 36 del d.lgs. 163/2006, è stato delineato il criterio del c.d. cumulo alla rinfusa, per descrivere la possibilità per il consorzio stabile di fruire, alternativamente o in aggiunta ai requisiti propri, dei requisiti delle consorziate. Ciò, alla luce della ratio stessa del consorzio stabile, “volta a dare maggiori possibilità di sviluppo alle imprese sprovviste di sufficienti requisiti per accedere a determinate gare (…) attraverso l’accrescimento delle facoltà operative, ottenibile non imponendo al consorzio di avere i requisiti in proprio (…) né prescrivendo quote minime in capo alle consorziate (…) anche perché, altrimenti, si riprodurrebbe inutilmente il modulo organizzativo delle a.t.i., già, peraltro, replicato con l’aggregazione cui dà luogo il consorzio ordinario” (cfr. Cons. Stato, VI, n. 2563/2013; Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6433/2019).

Detto principio pertanto, come evidenziato da parte appellante, alcun rilievo assume rispetto alla fattispecie di cui è causa, in cui il Consorzio appellante possedeva in proprio i richiesti requisiti di qualificazione, senza necessità di ricorrere al cumulo dei requisiti delle imprese consorziate.

L’art. 47, comma 1 del Codice (non interessato dalle recenti modifiche normative) prevede infatti che, per i soggetti di cui all’articolo 45, comma 2, lettere b) e c) – e, dunque, anche per i “consorzi stabili” – “i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure di affidamento” debbano essere, come d’ordinario, “posseduti” dagli stessi e, all’uopo, “comprovati”, fatta eccezione per quelli relativi “alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo”, i quali – “ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate” – sono suscettibili di computo cumulativo.

Per quanto esposto, la circostanza che la consorziata esecutrice non possegga la certificazione non poteva incidere sulla possibilità del Consorzio, rappresentata in sede di verifica dei requisiti, di eseguire in proprio la commessa.

13.4. Peraltro che la previsione di cui al punto III.1.3 del bando di gara che onera i consorziati per i quali il consorzio stabile concorre alla gara del possesso dei requisiti di partecipazione, non potesse escludere la possibilità del consorzio di eseguire in proprio la commessa, si evince anche dal punto VII.3 del Disciplinare di Gara che, nel regolamentare la fase di aggiudicazione, prescrive, ai punti sub 5, 6 e 7 (pagg. 22 e 23 disciplinare) che le 17 certificazioni di qualità da comprovarsi, ivi comprese quelle prescritte come requisiti di partecipazione, dovevano essere quelle dell’aggiudicatario (ovvero il Consorzio Stabile I.).

13.4.1. Fermo restando l’ineliminabile contrasto tra i due disposti della lex specialis, pertanto, la prescrizione del bando di gara, quandanche prevalente su quella del disciplinare, non poteva in ogni caso essere interpretata nel senso ritenuto da T., ovvero nel senso di escludere la possibilità di esecuzione dell’appalto da parte del Consorzio in proprio.

13.4.2. Tali conclusioni sono avvalorate dalla necessità del rispetto dei due principi, di massima partecipazione alle gare e di tassatività delle clausole di esclusione.

Il primo impone che venga privilegiata l’interpretazione che soddisfi l’esigenza della massima partecipazione alla procedura di gara, qualora questa sia compatibile, come nel caso di specie, con quella di selezionare un imprenditore qualificato, da identificarsi, nella presente fattispecie, nel consorzio stabile nel suo complesso.

La giurisprudenza amministrativa ha infatti chiaramente affermato che in caso di clausole o disposizioni normative di dubbia e/o incerta interpretazione deve essere privilegiato il principio del favor partecipationis al fine di consentire la più ampia partecipazione alle procedure di gara (Cons. St., Sez. V, 15.01.2018, n. 187).

Tale principio si pone in continuità con la giurisprudenza del Consiglio di Stato a mente del quale “l’interpretazione delle clausole della lex specialis di gara che presentino margini di opinabilità deve essere improntata al principio eurounitario della massima partecipazione. È stato condivisibilmente osservato al riguardo che a fronte di più possibili interpretazioni di una clausola della lex specialis di gara (una avente quale effetto l’esclusione dalla gara e l’altra tale da consentire la permanenza del concorrente), non può legittimamente aderirsi all’opzione che, ove condivisa, comporterebbe l’esclusione dalla gara, dovendo essere favorita l’ammissione del più elevato numero di concorrenti, in nome del principio del favor partecipationis e dell’interesse pubblico al più ampio confronto concorrenziale” (ex multis, cfr. Cons. St., Sez. V, 5.10.2017, n. 4644; Cons. St., Sez. V, 5.07.2017, n. 3302).

Il secondo principio impone di non escludere il concorrente in base a una disposizione di non univoca interpretazione.

Nelle gare pubbliche, a fronte di più possibili interpretazioni di una clausola della lex specialis (una avente quale effetto l’esclusione dalla gara e una tale da consentire la permanenza del concorrente), non può legittimamente aderirsi all’opzione che comporti l’esclusione dalla gara in contrasto con le dinamiche competitive e pro-concorrenziali; ed infatti una siffatta lettura della problematica figura delle cc.dd. “clausole ambigue” si porrebbe evidentemente in contrasto con il principio della tassatività delle cause di esclusione, determinando ex art. 83 comma 8 d.lgs. 50/2016, la sanzione della nullità a carico della clausola in parola, laddove la stessa, come nel caso di specie, si ponga in contrasto con la corretta interpretazione dell’art. 47 del Codice dei contratti, secondo quanto in precedenza indicato (cfr al riguardo Adunanza Plenaria n. 22 del 2020 secondo la quale “la nullità della clausola ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d. lgs. n. 50 del 2016 configura un’ipotesi di nullità parziale limitata alla clausola, da considerare non apposta, che non si estende all’intero provvedimento, il quale conserva natura autoritativa”).

14. Nonostante il carattere assorbente delle indicate doglianze, per esigenze di completezza si evidenzia che parimenti da accogliere è il secondo motivo di appello, fondato sull’omessa pronuncia ad opera del giudice di prime cure della doglianza del difetto di motivazione del provvedimento di ritiro dell’aggiudicazione; ciò in considerazione del rilievo che il Consorzio aveva espressamente richiesto in sede di verifica del possesso dei requisiti di potere eseguire l’appalto in proprio o per il tramite di altre consorziate e che l’atto gravato nulla ha motivato in ordine alla richiesta di esecuzione in proprio, disattendendo expressis verbis solo quella di sostituzione dell’impresa indicata come esecutrice con altra impresa consorziata.

14.1. La doglianza formulata al riguardo in prime cure non poteva invero ritenersi assorbita dalle motivazioni di rigetto del ricorso, fondate sul mero richiamo alla previsione della lex specialis di gara e sulla impossibilità di esecuzione in proprio, stante l’abolizione del cumulo alla rinfusa, in considerazione del rilievo che la motivazione del provvedimento gravato tanto più si imponeva avendo la stazione appaltante agito in autotutela (in questo senso la richiamata sentenza C.G.A.R.S. n. 49 del 2021).

15. L’appello va pertanto accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata va accolto il ricorso di prime cure.

16. Sussistono peraltro eccezionali e gravi ragioni in considerazione della sussistenza di una pronuncia di questa Sezione di segno diverso (Cons. Stato, sez. V, 22.8.2022, n. 7360) per compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.