Consiglio di Stato sezione III sentenza n. 1977 depositata il 16 maggio 2016
N. 01977/2016REG.PROV.COLL.
N. 09673/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9673 del 2015, proposto dalla S. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Luigi Maria D’Angiolella, con domicilio eletto presso l’avvocato Sergio Como in Roma, via G. Antonelli, n. 49;
contro
L’U.T.G. – Prefettura di Caserta ed il Ministero dell’Interno, il Ministero della Giustizia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’U.T.G. – Prefettura di Latina, il Ministero della Difesa e Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
il Comune di Ravenna, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Baldrati, Giorgia Donati e Patrizia Giulianini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Maria Teresa Barbantini in Roma, via Caio Mario, n. 7;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sez. I, n. 3796/2015, resa tra le parti, concernente una informativa interdittiva antimafia;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni statali appellate e del Comune di Ravenna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 aprile 2016 il Cons. Carlo Deodato e uditi per le parti l’avvocato Luigi Maria D’Angiolella, l’avvocato Maria Teresa Barbantini, su delega dell’avvocato Enrico Baldrati, e l’avvocato dello Stato Marco La Greca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania respingeva il ricorso n. 6753 del 2014, proposto al TAR per la Campania dalla S. s.r.l. avverso l’informativa interdittiva antimafia emessa nei suoi confronti dalla Prefettura di Caserta in data 28 maggio 2014, la relativa annotazione nel casellario informatico dell’ANAC e la conseguente esclusione, disposta dal Comune di Ravenna, da una procedura per l’affidamento di un appalto di lavori.
2. Avverso la predetta decisione proponeva appello la S., contestando la correttezza della statuizione reiettiva gravata e domandandone la riforma, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati dinanzi al TAR.
Resistevano in giudizio le Amministrazioni statali e il Comune di Ravenna, che contestavano la fondatezza dell’appello, domandandone la reiezione, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
3. L’appello veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 28 aprile 2016.
DIRITTO
1.- E’ controversa la legittimità dell’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Caserta in data 28 maggio 2014 nei confronti della s.r.l. S., nonché dei provvedimenti ad essa conseguenti e, segnatamente, della segnalazione all’ANAC e dell’esclusione della ricorrente da una procedura indetta dal Comune di Ravenna per l’affidamento di un appalto di lavori pubblici.
Il TAR per la Campania ha respinto le censure proposte nei confronti dell’interdittiva, sulla base della valorizzazione del ruolo assunto dal sig. Ca. Ama., in quanto coniuge della sig.ra El. Dia. (socia e unica amministratrice della s.r.l. S.) e amministratore della ICEM (a sua volta colpita da un’interdittiva antimafia e legata da cointeressenze economiche con la società interessata), nella gestione (inquinata, perciò, da condizionamenti mafiosi) della società odierna ricorrente.
L’appellante s.r.l. S. contesta la correttezza del giudizio impugnato, sulla base di articolate e dettagliate argomentazioni, riassumibili nell’assunto dell’estraneità del sig. Ca. Ama., in quanto da anni separato (prima di fatto e poi di diritto) dalla sig.ra El. Dia., all’amministrazione dell’impresa e, quindi, dell’assoluta ininfluenza della sua posizione, ai fini della valutazione del pericolo di infiltrazione mafiosa nella stessa.
2.- L’appello è infondato, alla stregua delle considerazioni di seguito esposte, e va respinto.
3.- Deve premettersi che la misura dell’interdittiva antimafia può essere emessa dalla Amministrazione in una logica di anticipazione della soglia di difesa dell’ordine pubblico economico e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso (Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743; sez. III, 15 settembre 2014, n. 4693), potendo, perciò, basarsi anche sul solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’attività imprenditoriale (Cons. St., sez. III, 1° settembre 2014, n. 4441).
4.- In considerazione dei principi già affermati da questa Sezione (cfr. sent. 3 maggio 2016, n. 1743), rileva il Collegio che l’interdittiva controversa risulta emanata in conformità ai relativi parametri valutativi e deve intendersi immune dai vizi ad essa ascritti dalla società appellante.
5.- Come già rilevato, la tesi che attraversa tutte le censure svolte nell’atto di appello può essere sintetizzata nella deduzione della totale irrilevanza, ai fini del giudizio di pericolo di inquinamento mafioso della s.r.l. S., della posizione del sig. Ama., sia perché separato da anni dalla sig.ra Dia., sia perché privo di qualsivoglia incarico di gestione nell’impresa colpita dall’interdittiva in esame, sia, infine, per l’assenza di significative relazioni economiche tra quest’ultima e quella da lui amministrata (la ICEM).
Sostiene, in altri termini, la s.r.l. S. l’assenza di qualsivoglia addebito diretto nei suoi confronti di condizionamenti mafiosi e la non riferibilità ad essa di quelli rivolti (solo) contro il sig. Ama. e la ICEM, quali soggetti del tutto estranei alla propria amministrazione.
5.1- La tesi difensiva, così come riassunta, non risulta accoglibile.
5.2- Se è vero, infatti, che l’interdittiva non si basa su indici di contiguità mafiosa ascrivibili in via immediata alla S. e o alla sig.ra Dia., è anche vero che il ruolo del sig. Ama. non può essere sminuito e derubricato a quello di un soggetto del tutto estraneo alla sfera di operatività della società attinta dall’informativa contestata.
Per un verso, a ben vedere, la separazione del sig. Ama. vi è stata e comunque risulta formalizzata solo dopo l’adozione della nota interdittiva, mentre la dedotta anteriorità della separazione di fatto non risulta comprovata da univoci e affidabili indizi, idonei, come tali, ad attestare l’anticipata e definitiva interruzione della convivenza e della comunione di vita tra i coniugi (tale non potendosi, in particolare, intendere la mera circostanza della mancanza di controlli, in quanto del tutto neutri, ai fini che qui rilevano, a carico del sig. Ama. nel comune di San Cipriano d’Aversa), per un altro la s.r.l. S. e la ICEM (quale impresa, va rimarcato, amministrata dal sig. Ama.) si sono costituite in ATI, insieme ad altre imprese, per partecipare ad una procedura selettiva finalizzata all’erogazione di fondi strutturali e, per un altro ancora, risulta che il sig. Ama. si è occupato, per conto della s.r.l. S., di taluni adempimenti amministrativi presso l’autorità portuale di Civitavecchia.
Ne emerge, come si vede, un quadro indiziario significativo di una partecipazione attiva del sig. Ama. all’attività della S., sia per mezzo di accordi imprenditoriali con essa tramite la ‘sua’ ICEM, sia per mezzo della rappresentanza della stessa (ancorchè di fatto) presso autorità amministrative (proprio a significare un coinvolgimento personale nella gestione dell’impresa).
Il rapporto coniugale con l’amministratrice della S., peraltro, ancorchè, di per sé, neutro, avvalora, in ogni caso, l’ipotesi del pericolo di inquinamento mafioso, in considerazione della comunanza di vita e di interessi tra essa e il sig. Ama., che, come tale, avvalora viepiù il predetto rischio, nella misura in cui il secondo, in quanto imputato del reato di turbativa d’asta e colpito, a sua volta, da una interdittiva, espone senz’altro la S. a una situazione di permeabilità alle influenze della criminalità organizzata (in ragione delle medesime controindicazioni antimafia già riscontrate a suo carico).
5.3- Così ricostruito il robusto quadro istruttorio posto a fondamento dell’interdittiva controversa, si deve rilevare l’infondatezza dei motivi di appello (e, segnatamente, il primo, il secondo, il quarto, il sesto e il settimo), intesi a ridimensionare la rilevanza degli elementi indiziari, per come sopra esaminati, sulla base dei quali è stato formulato il contestato giudizio di pericolo di infiltrazione mafiosa nella s.r.l. S..
In sintesi, il mero, temporaneo allontanamento del sig. Ama. dalla casa coniugale non vale, di per sé, a significare l’interruzione del rapporto coniugale (che, in ogni caso, non riveste una valenza decisiva nell’economia motivazionale dell’interdittiva) ed inoltre la partecipazione delle due imprese (la s.r.l. S. e la ICEM) alla medesima associazione temporanea d’imprese, pur se rivelatasi inutile e risalente al 2010, appare, in ogni caso, significativa di sinergie imprenditoriali tra le due società (di cui la seconda è stata già destinataria di un’interdittiva, i cui effetti sono rimasti fermi malgrado la relativa impugnazione in sede giurisdizionale), ed anche l’attività di collaborazione del sig. Ama. con la S., per come attestata dall’autorità portuale di Civitavecchia, dimostrano una partecipazione operativa del primo all’attività di gestione della seconda, ancorchè svolta di fatto e senza il conferimento di alcun incarico formale.
5.4- Quanto ai residui motivi di appello, il terzo contesta una questione (il ruolo dei sigg.ri Lu. e Da. Ama.) di cui, tuttavia, non è dato rintracciare alcun cenno nell’interdittiva impugnata e che si rivela, peraltro, del tutto irrilevante, mentre il quinto adduce, quale prova “a discarico”, la mancata adozione di un’interdittiva antimafia nei riguardi di altra società partecipante alla suddetta ATI (la COGEMA s.r.l.).
Tale ultima circostanza , nondimeno, si appalesa del tutto ininfluente, ai fini della presente decisione, nella misura in cui l’interdittiva in esame risulta fondata anche su indici diversi ed ulteriori (rispetto alla partecipazione in ATI con la ICEM), sicchè il confronto tra le due situazioni resta logicamente inconfigurabile e, comunque, del tutto ininfluente (ai fini di una prospettata disparità di trattamento).
6.- Alle considerazioni che precedono conseguono, in definitiva, il rigetto dell’appello e la conferma della decisione impugnata.
7.- Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello n. 9673 del 2015, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna la società appellante a rifondere le spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori di legge, se dovuti, in favore delle Amministrazioni statali costituite e in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori di legge, se dovuti, in favore del Comune di Ravenna.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2016, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
Stefania Santoleri, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/05/2016
IL SEGRETARIO
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