CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 settembre 2017, n. 20736
Lavoro subordinato – Nullità del termine – Domanda fondata su normativa non applicabile ratione temporis – Rigetto
Rilevato
che la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 27 ottobre 2010, confermò la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda avanzata da S.N. nei confronti di P.I. s.p.a., diretta alla declaratoria di nullità del termine <per esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi comprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonché all’attuazione di previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002>, apposto al contratto di lavoro a tempo determinato intercorso tra le parti dal 18/5/2002 al 30/6/2002, motivato, secondo la prospettazione del lavoratore, sulla base della previsione dell’art. 25 CCNL 2001;
che la Corte territoriale, attenendosi alla prospettazione, rilevò che la previsione di cui all’art. 25 del CCNL del 2001 trovava la sua fonte nel dettato dell’art. 23 della I. n. 56/1987, norma che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di termine alla durata del rapporto di lavoro, configurando una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, e che tale delega era stata in concreto esercitata mediante gli accordi richiamati nel contratto;
che il S. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi;
che P.I. s.p.a. resiste con controricorso;
Considerato
che con il primo motivo di ricorso il S. ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale di cui al R.D. n. 262/42 (art. 360 n. 3 c.p.c.), osservando che la decisione viola il principio iura novit curia nel ritenere non suscettibile di valutazione l’eventuale applicabilità nel caso di specie del D.lgs. 368/2001, in ragione della prospettazione dell’illegittimità del termine alla luce della previsione contrattuale dell’art. 25 CCNL 2001;
che con il secondo motivo il ricorrente censura la decisione per violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del Dlgs. 368/2001 (art. 360 c.p.c.), rilevando che il CCNL del 2001 è scaduto il 31/12/2001, talché non opera la delega prevista dalla I. 56/1987 e la materia risulta disciplinata unicamente dal D.lgs. 368/2001;
che i motivi attengono entrambi all’applicabilità della disciplina di cui al Dlgs. 368/2001 in luogo di quella di cui alla I. 56/87 invocata dal ricorrente;
che gli stessi sono infondati alla luce del principio enunciato da Cass. n. 12943 del 24/07/2012, secondo cui <In materia di procedimento civile, l’applicazione del principio “iura novit curia”, di cui all’art. 113, comma primo, cod. proc. civ., fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. Tale regola deve essere, peraltro, coordinata con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., che viene violato quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato; resta, in particolare, preclusa al giudice la decisione basata non già sulla diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva ritenuto che la domanda attorea, in quanto basata esclusivamente sulla disciplina di cui alle leggi n. 230 del 1962 e n. 56 del 1987, e sulle disposizioni contrattuali introdotte dall’autonomia collettiva, non potesse essere esaminata, alla stregua della disciplina, applicabile “ratione temporis” alla fattispecie, di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, attesa la notevole diversità fra le medesime, implicante non una questione di mera qualificazione giuridica, ma la valutazione di una diversa “causa petendi”)>;
che, pertanto, la domanda fondata esclusivamente sulla normativa di cui alla L. n. 230 del 1962 e alla L. n. 56 del 1987, art. 23 e in concreto sulle disposizioni contrattuali introdotte dall’autonomia collettiva non poteva essere esaminata alla stregua della disciplina applicabile ratione temporis alla fattispecie, e cioè quella di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, atteso che la diversità fra le suddette discipline non implicava una questione di mera qualificazione giuridica ma imponeva la valutazione di una diversa causa petendi, tenuto conto che l’abbandono, da parte del D.Lgs. n. 368 del 2001, del ruolo che la L. n. 56 del 1987, art. 23 aveva attribuito alla contrattazione collettiva e il rilievo che il legislatore del 2001 ha attribuito, in funzione di garanzia del lavoratore, alla specificità della clausola giustificatrice del termine, con connessi poteri di controllo riservati al giudice in relazione alla verifica del requisito della specificità della suddetta clausola, nonché alla valutazione delle prove sulla sussistenza dei presupposti che legittimano l’apposizione del termine, implicano una valutazione di circostanze di fatto sostanzialmente diverse, talché all’erronea invocazione della disciplina previgente si accompagna la mancata allegazione di fatti rilevanti ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001 che, pertanto, il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 3.500,00, di cui € 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
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