CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 settembre 2017, n. 21276
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Dichiarazione di fallimento – Successiva rinuncia del creditore – Revoca della sentenza di fallimento – Esclusione – Situazione economico-patrimoniale disastrosa – Gravissimo passivo che non consente di soddisfare i crediti
Ragioni della decisione
Con sentenza n. 17/2013 il Tribunale di Isernia ha dichiarato il fallimento di A. s.r.l. in liquidazione.
La Corte d’appello di Campobasso, investita del reclamo proposto dalla società, con sentenza n. 32/2014 ha rigettato integralmente il gravame, confermando per l’effetto la sentenza dichiarativa di fallimento.
A sostegno della decisione la Corte territoriale ha rilevato che la rinuncia del creditore istante non produce effetti, in quanto l’estinzione del debito dopo la pronuncia di fallimento rileva ai fini della chiusura della procedura, ma non incide sulla revoca della sentenza di fallimento. Non può pertanto essere pronunciata la dichiarazione d’estinzione del giudizio. L’insolvenza deriva da una disastrosa situazione patrimoniale e da confusione gestionale e contabile. Inoltre, poiché la società è in liquidazione, l’indagine deve essere diretta soltanto ad accertare se gli elementi attivi consentano all’impresa di soddisfare i crediti non se possa rimanere sul mercato. I bilanci prodotti evidenziano chiaramente un gravissimo passivo.
Avverso suddetta pronuncia ricorre per cassazione la società A. s.r.l. in liquidazione sulla base di quattro motivi, accompagnati da memoria ex art. 380 bis, c.p.c. Non svolge difese l’intimata curatela.
Con il primo motivo viene lamentata la violazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 6, l.f., e 306, c.p.c., perché, stante la mancata partecipazione del P.M., il procedimento ha carattere privatistico, con la conseguenza che la rinuncia, fatta dall’unico creditore istante, determina la carenza di legittimazione del creditore medesimo e la revoca della sentenza di fallimento, anche se la rinuncia è stata depositata solo in sede di reclamo.
Con il secondo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 15, comma 10, l.f., per avere la Corte d’appello ritenuto erroneamente sussistente il presupposto per la proponibilità dell’istanza di fallimento di cui all’art. 15, l.f., basandosi unicamente sull’esistenza di un’esposizione debitoria complessiva iscritta in bilancio superiore a € 30.000.
Con il terzo motivo viene censurata la violazione dell’art. 5, l.f., relativamente all’errata valutazione dello stato di insolvenza sotto il profilo dell’esiguità del debito inadempiuto.
Con il quarto motivo viene censurata la violazione dell’art. 5, l.f., ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., per difetto di motivazione relativo alla ricostruzione dei dati di bilancio effettuata dalla A. s.r.l.
Il primo motivo è manifestamente infondato, giacché la desistenza o rinuncia dell’unico creditore istante rilasciata in data successiva alla dichiarazione di fallimento non è idonea a determinare l’accoglimento del reclamo e, conseguentemente, la revoca della sentenza di fallimento (Cass. 8980 del 2016). Il precedente citato nel ricorso e richiamato in memoria dalla parte ricorrente (Cass. 21748 del 2013) è inconferente, riguardando una rinuncia intervenuta prima della pubblicazione della sentenza.
Il secondo e terzo motivo, che possono trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono entrambi inammissibili, avendo la Corte d’appello eseguito un rigoroso ed insindacabile accertamento della situazione economico-patrimoniale della società, alla luce del quale sono emerse passività tali da dimostrare che la A. non è in grado di soddisfare i propri creditori. La Corte territoriale ha, invero, rilevato che la società è in costante perdita di esercitò fin dal 2008, con un ingente deficit patrimoniale. E’ stata inoltre accertata l’impossibilità di far fronte alle obbligazioni contratte, anche alla luce dell’assemblea del 21/06/2012, che incaricò l’amministratore di avviare le pratiche per il ricorso al concordato preventivo o ad altra procedura concorsuale. D’altra parte, trattandosi di società in liquidazione, la valutazione del giudice ai fini dell’applicazione dell’art. 5, l. fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto — non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci — non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (Cass. 25167/2016).
Il quarto e ultimo motivo è parimenti inammissibile perché non evidenzia alcun “fatto decisivo” ex art. 360, n. 5, c.p.c., il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte d’appello. Invero, nel prospettare un vizio motivazionale il ricorrente suppone come ancora esistente il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza, essendo invece oggi denunciabile, in seguito alla modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. apportata dall’art. 54, d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012, soltanto l’omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti (Cass., sez. un., n. 8053/2014, n. 8054/2014).
Ne consegue il rigetto del ricorso. In mancanza della parte resistente non vi è statuizione in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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