CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 agosto 2017, n. 20259
ICI – Aree demaniali portuali scoperte – Ogni area è suscettibile di costituire un’autonoma unità immobiliare, potenzialmente produttiva di reddito
Con ricorso in Cassazione affidato a due motivi illustrati da memoria, che possono essere esaminati congiuntamente perché connessi, nei cui confronti la parte contribuente ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato da memoria, il Comune di Genova impugnava la sentenza della CTR della Liguria, in tema di pagamento dell’ICI per l’anno 2007, relativamente ad aree demaniali portuali scoperte, lamentando la violazione dell’art. 2 commi 40 e ss del D.L. n. 262/06, dell’art. 5 del d.lgs. n. 504/92 e dell’art. 2 del DM n. 28 del 1998, nonché dell’art. 5 del R.D.L. n. 652/39 e dell’art. 40 del DPR n. 1142 del 1949, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto, erroneamente, i giudici d’appello, avrebbero ritenuto che le aree portuali “scoperte” oggetto d’imposizione, in quanto demaniali, ancorché date in concessione, dovevano considerarsi come aree doganali, che erano utilizzate per la movimentazione e il deposito delle merci (ancorché a pagamento), e ciò ne configurerebbe un utilizzo a fini di pubblica utilità, che secondo l’assunto della CTR le esonerava dall’assoggettabilità al tributo, ex art. 7 comma 1 lett. b) del d.lgs. n. 504/92, mentre, secondo la ricorrente, gli operatori quali la società contribuente sono concessionari e, quindi, titolari di un diritto d’uso a titolo esclusivo, di beni demaniali e non affidatari di servizi pubblici, né, l’attività privata di gestione e trasporto merci a scopo lucrativo può essere equiparata a un pubblico servizio; mentre col secondo motivo, il Comune ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 1, 2 e 5 del d.lgs. n. 504/92, degli artt. 3, 53 e 119 Cost., nonché la violazione dei principi regolanti i presupposti oggettivi dell’ICI e la correlata potestà impositiva del comune, in quanto, erroneamente, i giudici d’appello, avevano ritenuto che in mancanza dell’accatastamento definitivo, non fosse possibile per il comune impositore richiedere (sempre in via provvisoria) somme superiori rispetto a quelle oggetto dell’accordo tra Autorità portuale e autorità civica e ciò in violazione dell’autonomia impositiva del comune stesso (che non richiede, un’attribuzione definitiva di rendita catastale). In subordine sollevava questione di legittimità costituzionale delle norme sopra rubricate e dell’art. 1 comma 173 della legge n. 296 del 2006.
Il Collegio ha deliberato di adottare la presente ordinanza in forma semplificata.
Il primo motivo di censura è fondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte “Al riguardo, la L. 28 gennaio 1994, n. 84, eliminando la riserva, a favore delle compagnie portuali e dei gruppi portuali, delle operazioni di sbarco, di imbarco e di maneggio delle merci, in attuazione sia del principio della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., comma 1, sia del principio comunitario di libera concorrenza, ha imposto la trasformazione in società delle compagnie e dei gruppi portuali “per l’esercizio in condizioni di concorrenza delle operazioni portuali” (L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 21, comma 1, lett. a).(…)” (Cass. n. 7651/06).
Secondo l’insegnamento di questa Corte, appare evidente, pertanto, la natura privata, esercitata in forma concorrenziale dell’attività dei concessionari dei beni demaniali portuali, per la quale essi sono assoggettabili al pagamento dei tributi anche in tema di ICI, per l’utilizzo delle aree scoperte senza le quali non potrebbero svolgere la propria attività commerciale. Pertanto, la sentenza impugnata, pone un’erronea ed immotivata equiparazione tra impresa esercente attività portuale (quindi, lucrativa) e svolgimento di un servizio pubblico che è proprio, nell’attuale fase, dell’autorità di vigilanza del settore (Cass. ordd. nn. 10031 e 10032/17).
Inoltre, questa Corte ha già stabilito che non possono essere classificati in categoria E e, quindi, esenti da ICI, gli immobili destinati ad un uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale, è, infatti, insegnamento di questa Corte, quello secondo cui “In tema di classamento, ai sensi dell’art. 2, comma 40, del d.l. n. 262 del 2006, convertito, con modificazioni, nella legge n. 286 del 2006, nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale, e, cioè, alla luce del combinato disposto degli artt. 5 del r.d.l. n. 652 del 1939 e 40 del d.P.R. n. 1142 del 1949, immobili per se stessi utili o atti a produrre un reddito proprio, anche se utilizzati per le finalità istituzionali dell’ente titolare” (Cass. n. 20026/15).
Nel caso di specie, le aree cd. “scoperte” risultano indispensabili al concessionario del bene demaniale per svolgere la propria attività imprenditoriale; infatti, ciò che conta ai fini ICI è che ogni area sia suscettibile di costituire un’autonoma unità immobiliare, potenzialmente produttiva di reddito.
Anche il secondo motivo è fondato.
Infatti, secondo l’orientamento di questa Corte, “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), in caso di omessa presentazione della dichiarazione relativamente a fabbricato non iscritto in catasto, il Comune può procedere ad accertamento senza dover preventivamente chiedere l’atto di classamento all’Agenzia del Territorio, non essendo tale richiesta prevista dall’art. 11, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, e riferendosi il precedente comma 1, che invece la prevede, alla diversa ipotesi in cui sia stata presentata una dichiarazione relativa a fabbricati non iscritti in catasto, ai sensi dell’art. 5, comma 4 e, quindi, sulla base della rendita di fabbricati similari” (Cass. nn. 15534/10, 1704/16, 19196/06).
Nel caso di specie, il ritardo dell’Agenzia del Territorio nel concludere il procedimento di classamento, non poteva inibire al comune impositore l’esercizio della propria potestà impositiva, con la rideterminazione della base imponibile delle aree oggetto di controversia e, quindi, dell’importo dovuto, sia pure in via provvisoria, mancando l’attribuzione definitiva della rendita.
La sentenza va, pertanto, cassata e la causa va rinviata nuovamente alla Commissione tributaria regionale della Liguria, affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione.
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