CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 gennaio 2018, n. 2259
Tributi – IVA – Operazioni non imponibili – Cessioni all’esportazione – Prova dell’esportazione – Indisponibilità della dichiarazione di esportazione – Ammissibilità di documenti dotati dei requisiti di certezza e incontrovertibilità, provenienti da pubbliche amministrazioni. – Imposte sui redditi – Sopravvenienze passive – Perdita di crediti – Fallimento del debitore – Deduzione – Periodo di competenza – Chiusura del fallimento
Motivi in fatto ed in diritto
Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Vercelli la “S.P.I.” s.p.a. (ora “A.” s.p.a.) impugnava l’avviso con cui, relativamente all’anno d’imposta 2003, si era accertato un maggior reddito ai fini I.R.P.E.G. di euro 43.252,40 con maggiorazione d’imposta per euro 14.706,00, un maggior imponibile ai fini I.R.A.P. di euro 23.186,74 con maggiorazione d’imposta per euro 985,00, una maggiorazione di I.V.A. per euro 46.788,00 derivante dall’asserita mancata prova dell’avvenuta esportazione di cui all’art. 8, 1° co., del d.p.r. n. 633/1972.
Resisteva l’ufficio di Vercelli dell’Agenzia delle Entrate.
Con sentenza n. 16/04/09 l’adita c.t.p. accoglieva parzialmente il ricorso e compensava le spese di lite.
Proponeva appello l’ufficio di Vercelli.
Resisteva la “A.” s.p.a. (già “S.P.I.” s.p.a.).
Con sentenza n. 43/34/10 del 17.6.2010 la commissione tributaria regionale del Piemonte accoglieva parzialmente l’appello e compensava le spese.
Con riferimento al motivo di gravame con cui l’ufficio aveva censurato il primo dictum nella parte in cui la c.t.p. aveva ritenuto corretta la contabilizzazione ad opera della “A.” nell’anno 2003 della perdita sul credito di euro 20.065,66 vantato nei confronti della fallita “A.” s.p.a., reputava la c.t.r. che, quantunque l’art. 101, 5° co., T.U.I.R. non fissi ai fini della detrazione un limite massimo temporale, doveva escludersi nella fattispecie che la perdita sul credito potesse essere detratta nell’anno 2003; che oltretutto la “A.” era a conoscenza dello stato di insolvenza della “A.” s.p.a. sin dall’8.2.2001, avendo in tale data ricevuto comunicazione a mezzo mail.
La c.t.r. dunque opinava per la correttezza della “ripresa dell’Ufficio per violazione del principio della competenza” (così sentenza impugnata, pag. 5).
Con riferimento al motivo di gravame con cui l’ufficio aveva censurato il primo dictum per erronea applicazione del regime di non imponibilità di cui all’art. 8 del d.p.r. n. 633/1972, nella parte in cui la c.t.p. aveva, ai fini del riscontro di operazioni di esportazione di cui a trentatre fatture per euro 231.394,61, ritenuto idonea la documentazione allegata dalla “A.” ed annullato la maggiorazione di i.v.a. per euro 46.278,93, reputava la c.t.r. che, nel quadro della disciplina di cui all’art. 346 del d.p.r. n. 43/1973 (“legge doganale”) e di talune circolari del Ministero delle Finanze, le fatture esibite dalla società appellata inidonee a dar riscontro dell’uscita di merci dal territorio doganale erano le undici “con allegati solamente i documenti bancari per pagamenti provenienti dall’estero” (così sentenza impugnata, pag. 7).
La c.t.r. dunque opinava nel senso che “la ripresa dell’Ufficio a titolo di i.v.a. di € 46.278,93 [anda]va rettificata a € 5.158,79” (così sentenza impugnata, pag. 7).
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.
La “A.” s.p.a. (già “S.P.I.” s.p.a.) ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale articolato in un unico motivo; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso ed in accoglimento del ricorso incidentale ha chiesto cassarsi la sentenza della c.t.r. nella parte in cui ha recuperato a tassazione l’importo di euro 20.065,66; in ogni caso con il favore delle spese.
Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.
Con l’unico motivo la ricorrente principale denuncia la violazione dell’art. 8, 1° co., del d.p.r. n. 633/1972.
Deduce che è tassativa l’elencazione dei documenti sulla cui scorta, ai sensi dell’art. 8, 1° co., d.p.r. n. 633/1972, è possibile dar prova dell’esportazione di beni destinati al consumo al di fuori della Comunità europea; che invero il legislatore non ha ammesso alcuna possibilità di deroga pur nell’evenienza in cui il contribuente abbia avuto oggettiva difficoltà a munirsi di adeguata prova dell’avvenuta esportazione.
Deduce pertanto che illegittimamente la c.t.r. ha riconosciuto valenza probatoria ai documenti ex adverso prodotti, allorché ha inteso rettificare la ripresa dell’ufficio a titolo d’i.v.a. per il minor importo di euro 5.158,79.
Il motivo è destituito di fondamento.
Contrariamente all’assunto dell’ “Agenzia delle Entrate” la c.t.r., ai fini del riscontro delle operazioni di esportazione in regime di non imponibilità di cui all’art. 8 del d.p.r. n. 633/1972, ha vagliato adeguatamente i documenti prodotti, in particolare ha legittimamente considerato idonee le fatture – in numero di dodici – munite del visto doganale, le fatture – in numero di cinque – con allegati i documenti di trasporto internazionale, le fatture – in numero di cinque – con allegati i manifesti di carico della nave per la quale la merce esportata costituiva dotazione di bordo.
Difatti, in tema di recupero di i.v.a. per esportazioni al di fuori dei confini comunitari, la prova della destinazione della merce all’esportazione, nelle cessioni di cui all’art. 8, 1° co., lett. a), del d.p.r. n. 633/1972, il cui onere incombe sul primo cedente in caso di operazioni triangolari, deve essere fornita tramite la documentazione doganale e, quindi, se la dichiarazione di esportazione è effettuata sulla base del Documento Unico Amministrativo (D.A.U.), a mezzo dell’esemplare 3 DAU, munito di timbro e visto dell’ufficio doganale di uscita, ai sensi degli artt. 792, 793 e 795 del Regolamento CEE 2.7.1993, n. 2454, applicabile “ratione temporis” tuttavia, in assenza di tale documentazione, non potendosi addebitare all’esportatore la mancata esibizione di un documento di cui egli non ha la disponibilità, la prova può essere fornita con ogni mezzo che abbia il requisito della certezza ed incontrovertibilità, quale l’attestazione di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana, mentre sono inidonei documenti di origine privata, quali le fatture o la documentazione bancaria attestante il pagamento (cfr. Cass. 18.2.2015, n. 3193; Cass. 6.9.2013, n. 20487).
In questi termini si evidenzia che, al di là delle (dodici) fatture “munite del visto doganale” – senza dubbio idonee – sono parimenti idonee, siccome suffragate da documentazione assistita dai requisiti della certezza e della incontrovertibilità, le cinque fatture supportate dai documenti di trasporto internazionale e le cinque fatture supportate dai manifesti di carico sulla nave cui le merci esportate erano destinate.
Con l’unico motivo la ricorrente incidentale denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 101, 5° co., t.u.i.r.; l’omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo.
Deduce che non ha a tempo debito avuto alcuna notizia della dichiarazione di fallimento della “A.” s.p.a.; che infatti, così come aveva con fax del 12.7.2007 riferito il curatore del fallimento della medesima s.p.a., al momento della dichiarazione di fallimento non erano state reperite le scritture contabili, sicché non era stato possibile inviare alcuna comunicazione ai creditori della società fallita.
Deduce che ha avuto notizia della dichiarazione di fallimento della “A.” soltanto in data 23.5.2003, allorché il legale incaricato per la proposizione di istanza di fallimento in danno della “A.” ebbe a riferire che tal ultima s.p.a. era stata dichiarata fallita il 16.11.2000 e che il fallimento era stato chiuso per mancanza di attivo il 17.1.2002.
Deduce dunque che ha provveduto alla detrazione del credito nell’esercizio 2003 anziché nell’esercizio 2002 non già per ragioni di opportunità o convenienza, sibbene giacché unicamente nel 2003 ha avuto cognizione della perdita sul credito.
Il motivo analogamente è destituito di fondamento.
Ed invero, in tema di imposte sui redditi d’impresa, l’art. 66 (ora 101) del d.p.r. 22.12.1986, n. 917, che prevede la deduzione delle sopravvenienze passive, quali componenti negative del reddito d’impresa, se risultano da elementi certi e precisi e, in ogni caso, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, va interpretato nel senso che l’anno di competenza per operare la deduzione stessa deve coincidere con quello in cui si acquista certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perché in quel momento si materializzano gli elementi <certi e precisi> della sua irrecuperabilità, in quanto, diversamente, si rimetterebbe all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta più vantaggioso per operare la deduzione, snaturando la regola espressa dal principio di competenza, che è criterio inderogabile ed oggettivo per determinare il reddito d’impresa (cfr. Cass. 23.12.2014, n. 27296; Cass. 6.10.2017, n. 23330).
Nei termini testé enunciati, onde, evidentemente, prestare pieno ossequio al principio di competenza, criterio inderogabile e oggettivo per determinare il reddito d’impresa, la proiezione che imprescindibilmente si impone, è, appunto, rigorosamente “oggettiva”.
Ed in siffatta proiezione si osserva quanto segue.
In primo luogo, che va condivisa e recepita l’affermazione della c.t.r., secondo cui, “se può ammettersi che la detrazione possa essere posticipata alla chiusura del fallimento, per ragioni di certezza e di obiettiva determinabilità, si deve escludere che essa possa essere detratta in anni successivi” (così sentenza impugnata, pag. 5); cosicché la ricorrente incidentale avrebbe senz’altro dovuto imputare la perdita correlata al fallimento della debitrice “A.” s.p.a. al conto economico dell’esercizio 2002, ossia al conto economico dell’anno in cui il fallimento della “A.” è stato chiuso per mancanza di attivo.
In secondo luogo, che per nulla si giustifica l’assunto della stessa “A.” secondo cui “nessuna normativa prevede un obbligo di diligenza a carico del creditore consistente nel monitoraggio delle vicende di un’impresa, soprattutto, nella fase patologica della procedura concorsuale” (così controricorso, pag. 20).
In terzo luogo, che la surriferita proiezione “oggettiva” esplica significato al di là dell’aggiuntivo rilievo (“oltretutto”) della c.t.r. secondo cui la incidentale ricorrente era a conoscenza dello stato di insolvenza della “A.” s.p.a. sin dall’8.2.2001; cosicché non riveste valenza il vizio motivazionale che, a giudizio della “A.”, pur inficerebbe, in parte qua, il dictum in questa sede impugnato.
La reciproca soccombenza, correlata al rigetto e del ricorso principale e del ricorso incidentale, giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.