CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 novembre 2017, n. 28740
Tributi – Imposte sui redditi – Accertamento induttivo puro – Ricostruzione dei ricavi – Computo di corrispondente percentuale dei costi
Rilevato che
1. Con sentenza n. 118 del 14 settembre 2009 la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato gli avvisi di accertamento con i quali l’Amministrazione finanziaria aveva proceduto, ai sensi dell’art. 39, secondo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, alla rettifica induttiva del reddito d’impresa dichiarato dalla N. R. & C. s.a.s., svolgente attività di ristorazione, ai fini IRPEF, IVA ed IRAP per l’anno di imposta 2003, con conseguente rettifica del reddito dei soci ex art. 5 TUIR (d.P.R. 917 del 1986).
1.1. I giudici di appello, ritenuto legittimo il ricorso dell’Ufficio all’accertamento di tipo induttivo di cui al citato art. 39, stante le numerose irregolarità accertate, quali la mancata emissione di ricevute fiscali, la sussistenza di numerose contraddizioni nelle dichiarazioni periodiche e l’inattendibilità dei prezzi esposti al pubblico, ritenevano che avevano errato i giudici di primo grado nell’annullare gli atti impositivi sul presupposto che l’Agenzia delle Entrate non aveva considerato i componenti negativi di reddito, gravando sulla contribuente il relativo onere probatorio.
2. Avverso tale statuizione ricorrono per cassazione la società contribuente ed il socio R. N. sulla base di due motivi illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ., cui replica l’intimata con controricorso.
3. Il giudizio perviene alla decisione di questa Corte all’esito dell’integrazione del contraddittorio disposta con ordinanza interlocutoria del 22.12.2016, nei confronti di M. R. T., altro socio della s.n.c., regolarmente e tempestivamente effettuato dai ricorrenti.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, sotto un primo profilo (sub “A” di pag. 8 del ricorso), ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione dell’impugnata sentenza in merito alla contestata modalità induttiva di accertamento utilizzata dall’Ufficio in assenza dei relativi presupposti, e, sotto un secondo profilo (sub “B” di pag. 12 del ricorso), ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, per non avere l’Ufficio tenuto conto dei componenti negativi di reddito da detrarre dai maggiori ricavi accertati e per avere i giudici di appello reso sul punto una motivazione carente e contraddittoria.
2. Con il secondo motivo viene dedotta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione dell’impugnata sentenza in merito alla nullità degli avvisi di accertamento per mancanza di adeguata motivazione e la violazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 (sub “A” di pag. 13 del ricorso), nonché l’omessa motivazione in merito all’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12 della legge n. 212 del 2000 (sub “B” di pag. 14 del ricorso).
3. La prima censura del primo motivo di ricorso, diretta a censurare la sentenza impugnata per difetto di motivazione in ordine alla dedotta illegittima applicazione del metodo induttivo, è inammissibile perché i ricorrenti non indicano alcun “fatto”, dedotto e non adeguatamente valutato dalla CTR, idoneo a giustificare una decisione diversa da quella assunta, ma censurano la complessiva valutazione compiuta dai giudici d’appello delle risultanze processuali, proponendone una diversa, così ponendosi in evidente contrasto con il principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui «Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti» (ex multis, Cass. n. 25332 del 2014; v. anche Cass. n. 5024 del 2012 e n. 91 del 2014). Costituisce, infatti, principio del tutto pacifico (ex plurimis: Cass., sez. un., n. 13045 del 1997; conf. Cass. n. conf. Cass. n. 17477 del 2007 e n. 19547 del 2017) quello secondo cui «la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione – sotto il profilo della omissione, dell’insufficienza e della contraddittorietà – può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione».
4. La seconda censura del primo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, per non avere l’Ufficio tenuto conto dei componenti negativi di reddito da detrarre dai maggiori ricavi accertati è, invece, fondata.
4.1. Al riguardo deve premettersi che, così com’è reso evidente dal contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento, riprodotto a pag. 2 del controricorso, nella specie l’amministrazione finanziaria ha proceduto ad accertamento con metodo induttivo puro, determinando «ai sensi dell’art. 39, 2° Comma, DPR 600/73 i maggiori ricavi ed il reddito d’impresa inerenti alla Snc per l’anno 2003», che si differenzia dall’accertamento condotto con metodo c.d. analitico-extracontabile (di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), d. P.R. n. 600 del 1973) per la inattendibilità assoluta dei dati risultanti dalle scritture contabili, che nel secondo caso è solo parziale, nel senso che: nel primo caso (accertamento induttivo puro), poiché “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” risultano tali da inficiare la attendibilità – e dunque la utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli “altri” dati contabili (apparentemente regolari), l’Ufficio accertatore può “prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” e può «determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziati anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 cod. civ.; nel secondo caso, poiché la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da non consentire di prescindere dalle scritture contabili, l’Ufficio accertatore può soltanto “completare” le lacune riscontrate utilizzando ai fini della dimostrazione della esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati ovvero della inesistenza di componenti negativi dichiarati anche presunzioni semplici (praesumptio hominis) rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c. (cfr., ex multis, Cass. n. 20132 del 2016, n. 11942 del 2016, n. 1951 del 2015, n. 17952 del 2013).
4.2. Ciò posto, va ribadito il consolidato orientamento di questa Corte, cui non si è attenuta la CTR, secondo cui in ipotesi di accertamento induttivo, ai fini delle imposte sui redditi l’ufficio deve tener conto anche delle componenti negative di reddito, dato che, diversamente, si assoggetterebbe a imposta il profitto lordo, anziché quello netto, in violazione dell’art. 53 Cost. Né a ciò è di ostacolo l’articolo 109 del TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986), in base al quale i costi sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano imputati al conto economico. Questa Corte ha, infatti, ripetutamente statuito che la norma non è applicabile in caso di rettifica induttiva, in cui alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un’incidenza percentuale dei costi (Cass. n. 1166/2012, n. 3995/2009, n. 28028/2008, n. 640/2001, n. 3317/1996 e, più recentemente, Cass. n. 3567 del 2017; v. anche circolare dell’Agenzia delle entrate 32/E/2006).
5. La prima censura del secondo motivo, con cui viene dedotta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione dell’impugnata sentenza in merito alla nullità degli avvisi di accertamento per mancanza di adeguata motivazione, è inammissibile per le medesime ragioni già esposte esaminando la prima censura del primo motivo, nonché per vizio di autosufficienza, avendo i ricorrenti trascurato di riprodurre nel ricorso il contenuto motivazionale dell’atto impositivo che assumono essere carente.
6. Anche la seconda censura del secondo motivo di ricorso, incentrato sull’omessa motivazione in merito all’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12 della legge n. 212 del 2000, è inammissibile alla stregua di Cass., Sez. U., n. 24823 del 2015, in quanto, in relazione ai tributi “non armonizzati” (ovvero a quelli relativi alle imposte sui redditi) non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, che sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito, mentre, con riferimento ai tributi c.d. armonizzati (nella specie, l’imposta sul valore aggiunto), i ricorrenti non hanno assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio endoprocedimentale, per dimostrare che l’opposizione proposta non è meramente pretestuosa.
7. Conclusivamente, quindi, va accolta la seconda censura del primo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il secondo articolato motivo di ricorso, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR, in diversa composizione, che regolamenterà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, in relazione al motivo accolto, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, che regolamenterà anche le spese del giudizio di legittimità.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione, ordinanza n. 5586 depositata il 23 febbraio 2023 - In caso di accertamento induttivo in senso stretto (o “puro”), l’impossibilità di una ricostruzione complessiva della contabilità (o, comunque, la generalizzata inattendibilità…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 18231 depositata il 26 giugno 2023 - Sia ove il metodo di accertamento sia analitico-induttivo, sia ove venga utilizzato il metodo di accertamento induttivo cosiddetto "puro", potrebbe effettivamente violare i…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 10712 depositata il 4 aprile 2022 - In tema di imposte sui redditi, l'Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento…
- Corte di Cassazione, ordinanza n. 18965 depositata il 5 luglio 2021 - In tema di imposte sui redditi, l'Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di…
- Corte di Cassazione sentenza n. 23384 depositata il 26 luglio 2022 - In tema di imposte sui redditi, l'Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 2444 depositata il 24 gennaio 2024 - Nell'ipotesi di accertamento induttivo "puro", deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria ed ove…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Autoriciclaggio: in tema di sequestro preventivo s
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 10663 depositata il 1…
- La prova rigorosa del pagamento della retribuzione
La prova rigorosa del pagamento della retribuzione spetta al datore di lavoro, i…
- Imposta di registro: non va applicata sulle clauso
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 3466 depositata i…
- Le perdite su crediti derivanti da accordi transat
Le perdite su crediti derivanti da accordi transattivi sono deducibili anche se…
- L’art. 7 L. n. 604/1966 consente al datore d
L’art. 7 L. n. 604/1966 consente al datore di lavoro di comunicare il licenziame…