CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 gennaio 2018, n. 98
Pubblico impiego privatizzato – Mobilità del personale – Modificazione soggettiva del rapporto medesimo assimilabile alla cessione del contratto – Diritto ad inquadramento equivalente presso l’Ente di destinazione – Autonomia dell’Ente nella determinazione dell’esatto inquadramento e della concreta disciplina del rapporto di lavoro
Fatto e Motivi
1. Il Tribunale di Napoli aveva respinto il ricorso proposto nei confronti dell’INPDAP da M.M. per ottenere il riconoscimento del diritto ad essere inquadrato nell’ Area C-posizione 1, profilo gestore di processo, ovvero, in subordine, nell’ Area B – posizione 1, profilo operatore di processo, ai sensi del CCNL Comparto Enti Pubblici non Economici, a percepire le relative differenze economiche e la condanna dell’Istituto al risarcimento dei danni conseguiti alla esclusione dalla partecipazione alla selezione indetta dal Consiglio di Amministrazione con la deliberazione n. 140 del 29.12.1999.
2. Il ricorrente, dipendente dell’Ente P.I. (successivamente trasformato in P.I. s.p.a), transitato alle dipendenze dell’Istituto, dopo un primo periodo di comando presso lo stesso Istituto ai sensi dell’art. 17 c. 18 della L. n. 127 del 1997, aveva contestato l’inquadramento operato dall’ente di destinazione, in quanto non corrispondente alla professionalità posseduta ed aveva dedotto l’illegittimità della mancata ammissione alla procedura selettiva.
3. Con la sentenza n. 3374 in data 27.5.2011 la Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado e, per quanto oggi rileva, ha ritenuto che: in applicazione dei principi affermati nelle sentenze di questa Corte n. Cass. 15931 del 2006 e n. 10721 del 2008, ai fini dell’inquadramento doveva ritenersi vincolante il DPCM 18 ottobre 1999; il Balestra non aveva prospettato l’illegittimità del richiamato DPCM in punto di non corrispondenza della qualifica attribuita presso l’ente di destinazione rispetto alle mansioni pregresse e tanto impediva la verifica giudiziale delle disposizioni ivi contenute; il lavoratore non aveva indicato le mansioni pregresse e non aveva non aveva censurato in modo specifico la statuizione di primo grado nella parte in cui aveva rilevato che l’inquadramento era stato accettato con la sottoscrizione del contratto individuale di lavoro.
4. Avverso tale sentenza M.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso l’INPDAP.
Sintesi del motivo
5. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione: dell’art. 52 del Dlgs. N. 165 del 2001 in relazione all’art. 2103 c.c. e all’art. 53 della L. n. 449 del 1997; dell’art. 43 del CCNL del 26.11.1994 per i Dipendenti delle P.I. in relazione al CCNL del 16.2.1999 Comparto Enti Pubblici non Economici All. 2 CCNL 1998/2001; dell’art. 199 c. 2 del D.P.R. n. 3 del 1957; dell’ art. 4 c. 2 della L. n. 273 del 1995; dell’art. 1362 c.c. in relazione ai contratti collettivi prima richiamati; dell’art. 4 delle disposizioni della legge in generale; violazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c.e dell’art. 63 del DPR (recte D. Lgs.) n. 165 del 2001.
6. Il ricorrente addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto corretto l’inquadramento effettuato dall’INPDAP senza ammettere la prova testimoniale già invano richiesta in primo grado e di avere errato nel considerare vincolante il DPCM 18 ottobre 1999. Assume che il suddetto DPCM sarebbe illegittimo perché contrario alla normativa di fonte legale e contrattuale di riferimento e che la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare l’effettiva corrispondenza fra la qualifica riconosciuta presso l’ente di provenienza e quella attribuita dall’ Istituto di destinazione e individuare il profilo professionale dell’ordinamento statale più omogeneo ed affine a quello dell’ordinamento postale senza arrestarsi al mero dato formale. Il ricorrente richiama, quindi, l’art. 43 del CCNL P.I., per sostenere che, tenuto conto dei profili di inquadramento di cui al C.C.N.L. Comparto Enti Pubblici non Economici, esso ricorrente, già inquadrato nell’ex IV livello nell’ambito del rapporto intercorso con l’Ente Poste, aveva diritto ad essere inquadrato nella categoria C1 (“gestore di processo”). Sostiene, inoltre, che la clausola del contratto individuale di lavoro che aveva attribuito il deteriore inquadramento avrebbe dovuto essere disapplicata ovvero essere considerata nulla.
In via preliminare vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate nel controricorso.
7. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità per pretesa violazione dell’art. 360-bis c.p.c.
8. Va al riguardo osservato che, anche dopo il mutamento di indirizzo, ad opera della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 7155 del 2017, secondo cui lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., da svolgere relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone la declaratoria d’inammissibilità e non il rigetto per manifesta infondatezza (come era stato affermato da Cass. SU 16 settembre 2010, n. 19051), l’art. 360 bis c.p.c. si applica soltanto laddove la giurisprudenza della Corte di cassazione già abbia giudicato nello stesso modo della sentenza di merito la specifica fattispecie proposta dal ricorrente oppure quando il caso concreto non sia stato ancora deciso ma, tuttavia, si presti palesemente ad essere facilmente ricondotto, secondo i principi applicati da detta giurisprudenza, a casi assolutamente consimili, e comunque in base alla logica pacificamente affermata con riguardo all’esegesi di un istituto nell’ambito del quale la vicenda particolare pacificamente si iscriva. Evenienze, queste, che non ricorrono nella fattispecie in esame perché, con riguardo alla questione controversa, costituita dal valore da attribuire alle indicazioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri relativamente all’inquadramento dei lavoratori trasferiti, l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte applicato dalla sentenza impugnata è stato superato, come di seguito si osserva, dai principi affermati nella decisione delle Sezioni Unite di questa Corte n. 503 del 2011 e ribaditi in numerose successive pronunce della Sezione Lavoro.
9. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità proposta con riguardo alla denuncia formulata nel ricorso di violazione e falsa applicazione delle norme contenute nel CCNL Enti Pubblici non Economici per mancata indicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale.
10. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, al quale il Collegio ritiene di dare continuità, nell’ambito del pubblico impiego privatizzato la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., come modificato dall’art. 2 del D. Lgs. n. 40 del 2006, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché, anch’essa comporta, in sede di legittimità, la riconducibilità del motivo di impugnazione all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione, senza che sia necessario indicare, a pena di inammissibilità, il criterio ermeneutico violato (Cass. 14449/2017, 21371/2016, 10060/2016, 18946/2014, 6335/2014).
11. E’infondata l’eccezione di inammissibilità formulata sul rilievo della mancata trascrizione del testo integrale del contratto collettivo comparto Enti Pubblici non Economici perché l’esigenza di certezza e di conoscenza da parte del giudice è assolta, in maniera autonoma, mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale a differenza dai contratti collettivi di diritto privato (Cass. SSUU 23329/2009; Cass. 4274/2017, 10841/2017, 1709/2017, 8231/2011).
12. E’infondata l’eccezione formulata per mancata indicazione dei mezzi istruttori non ammessi dalla Corte territoriale perché il ricorrente ha riprodotto nel ricorso (pgg. 13-14) le richieste istruttorie formulate nel ricorso di primo grado e nell’atto di appello, spiegando altrettanto puntualmente le ragioni della dedotta decisività delle prove richieste.
13. E’ infondata l’eccezione di improcedibilità formulata in relazione agli oneri imposti dall’art. 369 c. 2 n. 4 c.p.c., perché detta sanzione può operare solo nella ipotesi in cui la decisione della controversia dipenda direttamente dall’esame e dalla interpretazione delle clausole contrattuali, non già qualora il richiamo a queste ultime non abbia carattere decisivo, venendo in rilievo in via prioritaria la violazione di norme di legge, di atti regolamentari o di contratti collettivi per il settore pubblico (Cass. 24794/2016).
14. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità formulata sul rilievo della avvenuta riproposizione da parte del ricorrente delle argomentazioni spese nei giudizi di merito. Il ricorrente, infatti, non si è limitato alla mera indicazione delle norme di legge e di contrattazione collettiva che assume violate, ma ha svolto specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, con le quali si è confrontato in maniera critica e puntuale, debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie (Cass. SSUU. 17931/2011; Cass. 24298/2016, 5337/2007).
Esame del motivo del ricorso
15. Il ricorso è fondato.
16. Le Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 503 del 2011 hanno affermato che “in tema di mobilità del personale, con riferimento al trasferimento del lavoratore dipendente dell’Ente P.I. all’INPDAP, presso il quale si trovava già in posizione di comando, effettuato ai sensi dell’art. 4, comma 2, d.l. 12 maggio 1995 n. 163, del 1995, convertito nella legge 11 luglio 1995, n. 273, verificandosi solo un fenomeno di modificazione soggettiva del rapporto medesimo assimilabile alla cessione del contratto, compete all’ente di destinazione l’esatto inquadramento e la concreta disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti trasferiti, senza che su tali profili possa operare autoritativamente la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il cui DPCM 7 novembre 2000 – atto avente natura amministrativa, in quanto proveniente da una autorità esterna al rapporto di lavoro – non assolve alla funzione di determinare la concreta disciplina del rapporto di lavoro, mancando un fondamento normativo all’esercizio di un siffatto potere, ma solamente a quella di dare attuazione alla mobilità (volontaria) tra pubbliche amministrazioni”. In senso analogo si sono espresse numerose sentenze della Sezione lavoro di questa Corte anche con riguardo al DPCM del 18.10.1999 (ex multis Cass. 24794/2016, 21371/2016, 21036/2016, 20554/2016, 13695/2015, 18416/2014, 1044/2014, 596/2014, 14458/2012, 22696/2011).
17. E’ stato altresì affermato che laddove con DPCM sia stato, di autorità, disposto l’inquadramento nell’ente “ad quem”, il successivo contratto individuale non può certamente configurarsi, in assenza di specifiche allegazioni e prove da parte dell’Amministrazione, come un atto di rinuncia e transazione – che soltanto potrebbe avere rilievo ex art. 2113 c.c., e quindi la sua sottoscrizione non può, di per sé, comportare l’accettazione di un’erronea collocazione professionale, stante il suddetto diritto dei lavoratori ad essere assunti in un inquadramento equivalente a quello di provenienza e l’obbligo delle Amministrazioni di destinazione di procedere all’assunzione nelle corrispondenti qualifiche (Cass. 20554/2016).
18. Il Collegio ritiene di dare continuità ai principi indicati innanzi che la Corte territoriale ha disatteso perché ha attribuito al DPCM 18.10.1999 valore vincolante, non ha verificato, attraverso il confronto delle declaratorie contrattuali, il rispetto del diritto dell’odierno controricorrente all’equivalenza fra l’inquadramento riservato nell’ente di provenienza e quello spettategli presso l’amministrazione di destinazione, ha ritenuto che sul diritto al corretto inquadramento potesse avere incidenza la avvenuta stipulazione del contratto individuale di lavoro.
19. La sentenza impugnata va, pertanto cassata e la causa va rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che dovrà attenersi ai principi di diritto sopra richiamati.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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