CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 febbraio 2017, n. 6262

Fallimento – Bancorotta fraudolenta – Delitto di riciclaggio – Fattispecie

Ritenuto in fatto

Ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, A.E. avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trento che in data 29.10.2014 ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale che il 18.7.2013, all’esito del giudizio abbreviato, l’aveva condannata per il delitto di riciclaggio per avere trasferito la somma di euro 69.312,19, proveniente dal delitto di bancarotta fraudolenta commessa dal fratello e dalla cognata con riferimento al fallimento della loro società, così da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di tale somma, versando il corrispondente importo in dollari americani con bonifici provenienti dal Costarica (paese in cui i predetti congiunti avevano trasferito i loro interessi e con cui l’imputata non aveva mai intrattenuto rapporti) per l’acquisto a proprio nome di un immobile in comune di Siror.

Deduce la ricorrente:

1. violazione dell’articolo 192 codice procedura penale e vizio della motivazione. Lamenta che la pronuncia di responsabilità si fonda su una prova indiziaria che non presenta i caratteri di gravità precisione e concordanza richiesti dall’articolo 192 codice di procedura penale. Sostiene che la Corte d’appello di Trento ha dato credito alla tesi d’accusa senza tenere in considerazione la tesi difensiva secondo la quale il denaro investito dall’imputata era di provenienza del tutto lecita e non collegato alle vicende del dissesto della società riconducibile al fratello e alla cognata. Evidenzia che non vi sono indagini bancarie da cui emerga il trasferimento del denaro in Costarica da parte dei congiunti della ricorrente. Sostiene che nessuna rilevanza assume nei confronti dell’imputata il fatto storico giuridico rappresentato dalla sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti del fratello. Lamenta la illogicità della motivazione laddove si sostiene l’assenza di qualunque interesse da parte dell’imputata nel luogo dove è stato acquistato l’immobile considerato che non può certo ritenersi che la presenza in detto il luogo dei genitori anziani non possa costituire per un figlio un interesse sufficiente da giustificare l’acquisto di una casa. Rileva che le ulteriori circostanze indiziarie indicate in sentenza (l’attestata presenza in Costarica del fratello cui sono stati sequestrati fogli attinenti ad attività di pesca sportiva svolta in tale luogo, la circostanza che in sede di acquisto dell’immobile la ricorrente abbia nominato procuratore speciale la cognata) non assumono valenza dimostrativa del fatto contestato.

2. Violazione dell’art. 648 quater c.p.p.. erronea individuazione dei beni sottoponibili a confisca. Lamenta che la corte d’appello ha ritenuto di confermare la confisca dell’intero immobile, per un valore di molto superiore a quello contestato quale profitto del reato ipotizzato senza fornire motivazione alle censure sollevate in sede di gravame. Sostiene che nel caso di specie si versa in un’ipotesi di confisca per equivalente e quindi con riguardo all’entità della somma da confiscare non può che farsi riferimento all’importo indicato nel capo d’imputazione. Ritiene illogica e contra jus l’affermazione della corte d’appello che rileva che l’acquisizione dell’intero immobile sottoposto a confisca non è sufficiente a compensare la grande sottrazione di beni contestata nella bancarotta e che avrebbero dovuto essere appresi dal fallimento, dimenticando come in nessun modo e in nessuna misura l’apprensione dell’immobile può diminuire o anche parzialmente compensare le distrazioni societarie, perché è evidente che tale bene non potrà mai confluire nella massa fallimentare ma, se confiscato, andrà all’erario.

3. Violazione di legge (art. 189 c.p.p.) e vizio della motivazione rileva che nei motivi d’appello aveva lamentato la ingiustificata svalutazione che il primo giudice aveva effettuato di una prova rilevante e cioè la dichiarazione notarile a firma C.M.R.J. del 2 novembre 2012. Sostiene che non si tratta di prova testimoniale ma di prova documentale essendo stata resa avanti ad un pubblico ufficiale.

Considerato in diritto

Quanto al primo motivo di ricorso appare opportuno precisare, sul piano dei principi, che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici, con l’ulteriore conseguenza, costantemente affermata da questa Corte, che ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorché altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo). Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacché volte le medesime, a fronte di un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata.

La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede, infatti, una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità, avendo la Corte territoriale analiticamente spiegato, con valutazioni di fatto non sindacabili in questa sede, come dalle risultanze processuali siano emersi con certezza: l’appropriazione della somma di oltre 2 milioni di euro, sottratta alla società poi fallita, da parte di A.M. e della di lui moglie Z.G. e il trasferimento temporaneo degli stessi, resisi irreperibili prima del fallimento, in Costarica; la fissazione del proprio domicilio da parte dell’A.M. nel dicembre 2010 presso l’appartamento in argomento, condotto in locazione dalla madre che, provenendo da Arzachena, nel 2011 vi aveva trasferito e fissato la sede dell’impresa individuale di fatto esercitata dall’A. e dalla moglie; il certo trasferimento dell’A. e della moglie nell’appartamento nel 2011, come dimostrato dalla deposizione del tecnico comunale in ordine a lavori abusivi e dal fatto che il predetto fu lì arrestato il 7.10.2011 e dal fatto che lui stesso in sede di interrogatorio di garanzia ha dichiarato di risiedervi; la circostanza certa che la ricorrente non si è mai trasferita in Costarica essendo stata residente dapprima in Mornago (Va) poi in Vergiate (Va) da dove nell’ottobre 2011 si è trasferita ad Arzachena dove svolge attività lavorativa.

La corte territoriale diversamente da quanto indicato dalla ricorrente nel terzo motivo di ricorso si è confrontata con la produzione documentale della dichiarazione notarile a firma C.M.R.J. del 2 novembre 2012 che, secondo la difesa, dimostrerebbe che la provenienza delle disponibilità delle somme utilizzate per acquistare l’immobile deriverebbe dalla compagnia la Focacceria MA… prodotto del lavoro realizzato legalmente in Costarica, sottolineando come il fatto puramente formale che la ricorrente è indicata come rappresentante procuratore generale della società non toglie valore a quanto accertato considerato che lo stresso A. in sede di interrogatorio di garanzia non aveva fatto il minimo cenno alla legittima attività della sorella in Costarica affermando invece che il denaro necessario all’acquisto del bene proveniva da parenti e che comunque era inspiegabile – anche se si volesse accedere alla tesi difensiva – la circostanza che l’imputata non solo non aveva mai risieduto in Siror dove non aveva mai indicato il suo domicilio, ma soprattutto aveva utilizzato le significative disponibilità provenienti dal Costarica per acquistare un immobile in Siror dove era andato ad abitare il fratello, mentre la sua casa di Mornago il 17 marzo 2010 veniva messa all’asta ed aggiudicata a terzi.

Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta dunque formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti la responsabilità della ricorrente per il reato contestato .

I motivi sub 1 e 3 del ricorso sono pertanto inammissibili.

Con riguardo al secondo motivo deve osservarsi che trattasi di confisca obbligatoria disposta ai sensi dell’art. 648 quater co 1 c.p. che prevede che nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter.1, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persone estranee al reato.

Nel caso in esame l’immobile acquistato con le somme distratte è stato confiscato in quanto profitto del reato di riciclaggio.

Nella nozione di profitto del reato vanno infatti ricompresi anche gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa, in quanto simili trasformazioni o impieghi non possono impedire che venga sottratto ciò che rappresenta l’obiettivo stesso del reato posto in essere. Questa Corte, ha avuto modo di ribadire che la trasformazione del denaro, quale profitto del reato, in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è di ostacolo prima al sequestro preventivo e poi alla confisca, che può riguardare anche il bene di investimento oggetto di acquisto. E’ stato infatti affermato che costituisce profitto del reato anche il bene immobile acquistato con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l’impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo (Cass. SSUU n. N. 10280 del 2008 Rv. 238700; Sez. II n. 45389 del 2008; Sez. VI n 11918 del 2014). Correttamente pertanto è stata disposta la confisca dell’immobile.

Il ricorso è pertanto inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro millecinquecento alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento euro alla Cassa delle Ammende.