CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 maggio 2017, n. 11900
Contratto a tempo determinato – Illegittimità del termine – Accertamento – Indennità risarcitoria
Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Roma ha parzialmente riformato la sentenza del tribunale di Latina, confermando la declaratoria di illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra A. e la S. srl nel gennaio 2004 e la statuizione di ripristino del rapporto, solo accogliendo il motivo formulato dalla società appellante di applicazione dello jus superveniens di cui all’art. 32 della legge n. 183/2010, così condannando la società al pagamento di un’indennità risarcitoria di 6 mensilità di retribuzione globale di fatto.
La corte ha ritenuto che non vi fosse il giudicato sulla questione relativa alle conseguenze economiche della conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. In particolare la Corte territoriale ha richiamato l’orientamento di questa Corte secondo cui la nuova normativa di cui alla legge n. 183 citata configura, anche alla luce dell’interpretazione adeguatrice della corte cost. n. 303/2011, una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto un termine nullo, avente natura di indennità forfetizzata. Avverso la sentenza ha proposto appello A. affidato ad un unico articolato motivo. Ha resistito S. srl con controricorso.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso A. ha lamentato la violazione dell’art. 360 n. 1 comma 3 in relazione all’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. ed anche la nullità della sentenza in relazione agli artt. 112 e 360 n. 4 c.p.c., oltre che la violazione dell’art. 360 c. 1 n. 5 per omessa motivazione rispetto ad un fatto controverso, decisivo per il giudizio.
Secondo il ricorrente la società si sarebbe limitata a chiedere lo ius superveniens e non si sarebbe lamentata della mancata applicazione da parte del primo giudice come affermato dalla sentenza impugnata, non potendolo fare in quanto la norma modificata risalirebbe alla legge n. 113 dell’agosto 2009, mentre la sentenza è del marzo 2008.
Comunque l’eccezione di giudicato sarebbe stata tempestivamente sollevata con la memoria di costituzione. Secondo il ricorrente ci sarebbe giudicato perché la domanda di risarcimento di cui all’art. 32 avrebbe un carattere di autonomia e di individualità rispetto alla domanda di nullità del termine , così da dover essere espressamente oggetto di impugnazione. Nel caso in esame non vi sarebbe stata alcuna impugnazione su tale punto della decisione e dunque la sentenza di primo grado sarebbe passata in giudicato.
L’appello è infondato.
Nell’atto di gravame la società, sia pure in maniera sintetica, ha precisato che la legge n. 113/2008 all’art. 21 prevede un limite all’accoglimento della domanda nella misura di un’indennità variabile tra 2,5 a 6 mensilità di retribuzione e che tale norma è applicabile ai giudizi pendenti, norma poi riprodotta nell’art. 32 commi 5 e 7 della legge n. 183 del 2010.
L’atto di appello della società risulta depositato nel marzo 2009, quando ancora non era in vigore la legge n. 183/2010, ma il giudizio era pendente e, peraltro, nelle conclusioni la società ha formulato espressamente la domanda di determinazione del risarcimento del danno in un’indennità variabile tra le 2,5 e 6 mensilità.
L’assenza del giudicato consente l’applicazione dello jus superveniens, come ritenuto dalle SS.UU. nella sentenza n. 21601/2016 che ha statuito che la violazione di legge di cui all’art. 360 c. 1 n. 3 può riguardare anche norme di diritto emanate dopo la pubblicazione della sentenza oggetto di impugnativa, qualora si tratti di norme retroattive, con l’unico limite appunto del giudicato, che tuttavia non si verifica nelle ipotesi in cui la sentenza si compone di più parti connesse tra loro, tali per cui l’accoglimento dell’impugnazione della domanda principale determina anche la caducazione della domanda dipendente.
Le SS.UU. quindi precisano che è domanda dipendente non autonoma quella risarcitoria connessa con la domanda di accertamento della nullità del termine.
Il ricorso va, pertanto, respinto, con conseguente condanna della parte ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi , euro 3000,00 per compensi professionali,oltre spese al 15% ed oneri di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002 , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso , a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.
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