CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 giugno 2020, n. 11900
Patto relativo alla retribuzione variabile – Lettera di assunzione successiva – Applicazione di un minimo garantito in cifra fissa – Comune intenzione delle parti – Criteri ermeneutici ex art. 1362 c.c. – Metodo letterale delle espressioni adoperate e comportamento tenuto successivamente alla stipula del contratto
Premesso
che G. C. ha agito in giudizio nei confronti di B.E. S.p.A., per la quale aveva svolto attività di direttore commerciale, fino al licenziamento comunicatogli con nota del 30/3/2009, al fine di ottenere il pagamento della retribuzione variabile, con le conseguenti differenze rispetto alla indennità di preavviso e al t.f.r., nonché dell’indennità supplementare prevista dal C.C.N.L. Dirigenti Industriali nella misura massima prevista in ragione della dedotta mancanza di giustificazioni del recesso, oltre al risarcimento del danno biologico e all’indennità di preavviso supplementare per l’immotivato licenziamento;
– che il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso;
– che la decisione di primo grado è stata integralmente confermata dalla sentenza n. 366/2018, pubblicata il 29/3/2018, della Corte di appello di Roma, la quale ha osservato che il patto relativo alla retribuzione variabile, allegato alla lettera di “impegno all’assunzione” del 7/2/2007, era stato concordemente superato dalla lettera di assunzione del 22 marzo successivo, che aveva specificamente previsto, quale unico criterio certo di determinazione della retribuzione, l’applicazione di un “minimo” garantito in cifra fissa (euro 18.000) solo per l’anno 2007, rinviando a un momento successivo (“nota a parte”) ogni ulteriore determinazione circa il piano di incentivi da applicare al contratto sotto forma di retribuzione variabile; ha poi rilevato che il licenziamento doveva ritenersi giustificato, avuto riguardo alla difficile situazione economica e allo stato di crisi finanziaria attraversato dall’azienda, la quale era stata costretta ad avviare una fase di ristrutturazione e a fare ricorso alla CIGS;
– che nei confronti di detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il C., con cinque motivi, cui la società ha resistito con controricorso;
– che entrambe le parti hanno depositato memoria;
rilevato
che con il primo motivo viene dedotta ex art. 360 n. 3 e n. 4 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 437, comma 2°, cod. proc. civ. per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto inammissibile il primo motivo di appello sul rilievo che con esso era stato introdotto “un tema nuovo” assente nel giudizio di primo grado;
– che con il secondo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1324 e 1362, comma 1°, cod. civ. per avere la sentenza erroneamente ritenuto che il contratto del 22 marzo 2007 avesse mutato sostanzialmente i termini della lettera di “impegno all’assunzione” in data 7 febbraio 2007, con riferimento alle modalità di determinazione della retribuzione variabile, senza considerare che nella lettera, come nel contratto, erano state adoperate le stesse parole (“retribuzione variabile: lineare senza limiti predefiniti in funzione del raggiungimento degli obiettivi prefissati dall’azienda”);
– che con il terzo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 1218 e 1362, comma 2°, cod. civ. per avere la sentenza ritenuto che la mancata comunicazione della “nota a parte” individuata nel contratto 22/3/2007 costituiva inadempimento, da parte della datrice di lavoro, da sanzionare con il risarcimento del danno, risarcimento che però il ricorrente non aveva mai richiesto, trascurando in questo modo di valutare che la società, per non essere considerata inadempiente all’obbligo di inviare detta nota, si era riferita alla lettera, già esistente, allegata alla proposta di assunzione del 7/2/2007;
– che con il quarto viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362, comma 1°, cod. civ. per avere la sentenza affermato che il contratto del 22/3/2007 aveva previsto solo per il 2007, per la retribuzione variabile, un minimo garantito in cifra fissa, mentre non aveva quantificato l’esatta retribuzione variabile superiore a tale minimo, rinviando ad un momento successivo ogni ulteriore determinazione al riguardo;
– che con il quinto viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 22 del C.C.N.L. per i Dirigenti Industriali per avere la sentenza ritenuto che il recesso datoriale fosse giustificato, peraltro senza rispettare gli standard valutativi elaborati dal diritto vivente nell’interpretazione della disciplina di fonte collettiva in tema di licenziamento del dirigente; in particolare, contrariamente a quanto affermato nella lettera del 30/3/2009 e poi ritenuto dal giudice di appello, la società non si trovava a tale data in una difficile situazione di crisi, poiché aveva chiuso l’esercizio 2008 con ricavi ampiamente in crescita, insieme con altri dati nettamente positivi, e tale andamento era proseguito nel primo semestre dell’anno successivo, come anche negli anni 2010 e 2011;
osservato
che il primo motivo è inammissibile, sia perché la Corte ha ritenuto il primo motivo di appello non solo inammissibile, per avere introdotto un tema di indagine nuovo, ma anche infondato nel merito (cfr. sentenza impugnata, pp. 3-4); sia perché la questione, rilevante anche sul piano risarcitorio, descritta in sentenza al par. 5.4. e dalla Corte ritenuta anch’essa nuova, per non essere stata “neppure accennata dalla difesa nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado”, non risulta presente tra i passi stralciati di tale atto (cfr. ricorso, pp. 8-10);
– che il secondo, il terzo e il quarto motivo possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi;
– che al riguardo si deve premettere che la Corte territoriale ha disatteso la lettura della vicenda negoziale proposta dalla parte appellante sul rilievo che “una siffatta interpretazione, che vorrebbe qualificare il contratto del 22 marzo 2007 come mero adempimento della precedente proposta irrevocabile, contrasta con il dato letterale del richiamato contratto definitivo, che muta sostanzialmente i termini della proposta iniziale relativamente alle modalità di determinazione della retribuzione variabile, non più ancorata semplicemente ad una provvigione sul fatturato o sul margine lordo ma ad una preventiva definizione, “in funzione del raggiungimento degli obiettivi prefissati dall’azienda”, di un piano incentivi da comunicarsi “con nota a parte” (cfr. sentenza, paragrafo 5.1.); ed inoltre sul rilievo che “la pattuizione sulla retribuzione variabile che parte appellante invoca ai fini del corretto ed esatto adempimento delle obbligazioni assunte dalla società con la stipula del contratto definitivo è stata palesemente e concordemente superata da quella successiva di cui alla lettera di assunzione del 22 marzo 2007 che specificamente ha previsto pure, quale unico criterio certo di determinazione della retribuzione, l’applicazione di un “minimo” garantito in cifra fissa (di euro 18.000) solo per l’anno 2007, rinviando ad un momento successivo ogni ulteriore determinazione circa il piano incentivi da applicare al contratto sotto forma di retribuzione variabile” (par. 5.2.): momento poi effettivamente realizzatosi con la nota in data 6 febbraio 2008, con cui la società ha formalizzato la propria decisione di adottare, per l’anno 2008, il sistema incentivante, anch’esso collegato al raggiungimento di obiettivi prefissati dall’azienda, di tipo MBO (Management by objectiyes);
– che, pertanto, la sentenza impugnata, nel ricostruire la comune intenzione delle parti, ha applicato sia il metodo letterale, valorizzando le espressioni adoperate, sia il comportamento tenuto successivamente alla stipula del contratto (tra cui il fatto che “il ricorrente non aveva spiegato alcuna azione in relazione al dedotto inadempimento della società datrice in relazione a quanto oggetto della proposta di assunzione”: par. 5.3.), e cioè proprio i criteri ermeneutici di cui è stata denunciata la violazione (art. 1362, commi 1° e 2°, cod. civ.), traendo dall’indagine così svolta elementi convergenti a sostegno della propria interpretazione;
– che, su tali premesse, deve ribadirsi il principio, per il quale “La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. n. 28319/2017; conforme n. 16987/2018); in tal senso anche, fra altre, Cass. n. 11254/2018: “L’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicché quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra”;
– che, d’altra parte, il ricorrente, pur essendone onerato ex art. 366, comma 1°, n. 6 cod. proc. civ., non ha riportato il testo del contratto definitivo, che il giudice di appello avrebbe erroneamente interpretato, né di alcuno dei documenti rilevanti in causa, nonostante la chiara rilevanza attribuita al rinvio, presente nella lettera di assunzione del 22 marzo 2007, ad una successiva e separata “nota a parte” per la determinazione del sistema incentivante da applicare al rapporto;
– che, pertanto, i motivi in esame non possono trovare accoglimento;
– che lo stesso è a dirsi per il quinto motivo, con il quale il ricorrente, dietro il velo della denuncia del vizio di cui all’art. 360 n. 3 con riferimento a norme del contratto collettivo, critica in realtà la ricostruzione dei fatti svolta nella sentenza impugnata, formulando sostanziali censure di ordine motivazionale, inammissibili in presenza – come nella specie – di c.d. “doppia conforme” ex art. 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ., e comunque sollecitando un nuovo apprezzamento di merito, come tale estraneo alle funzioni della Corte di legittimità;
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 28 gennaio 2020.
ritenuto
conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 36461 depositata il 13 dicembre 2022 - La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 marzo 2019, n. 6946 - Il ricorso per cassazione con cui si intenda denunciare un errore di diritto nell'interpretazione della clausola di un contratto, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 ss. cod.…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 gennaio 2019, n. 23 - La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell'interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 18 dicembre 2020, n. 29087 - La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell'interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 febbraio 2022, n. 4569 - Il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod.civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 11075 depositata il 27 aprile 2023 - L'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione,…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Antiriciclaggio: i nuovi 34 indicatori di anomalia
L’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) con il provvedimento del 12 maggio 202…
- La non vincolatività del precedente deve essere ar
La non vincolatività del precedente deve essere armonizzata con l’esigenza di ga…
- Decreto Lavoro: le principali novità
Il decreto lavoro (decreto legge n. 48 del 4 maggio 2023 “Misure urgenti p…
- Contenuto dei contratti di lavoro dipendenti ed ob
L’articolo 26 del decreto legge n. 48 del 4 maggio 2023 ha introdotti impo…
- Contratto di lavoro a tempo determinato e prestazi
L’articolo 24 del decreto legge n. 48 del 4 maggio 2023 ha modificato la d…