CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 settembre 2017, n. 21267
Pubblico impiego – Dispensa dal servizio per inabilità assoluta – Retroattività della decorrenza – Percezione di pensione – Ripetizione retribuzioni ed indennità sostitutiva del preavviso – Legittimità – Indebito oggettivo per sopravvenuta inesistenza del titolo – Sentenza irrevocabile del giudice amministrativo
Rilevato
che con sentenza in data 9.2.2012 la Corte di Appello di Ancona ha parzialmente riformato la pronuncia del Tribunale di Pesaro n. 701 del 2007, che aveva accolto la domanda della ricorrente diretta all’accertamento dell’inesistenza di titolo delle amministrazioni resistenti a ripetere la somma di euro 56.467,56, corrispostale per retribuzioni ed indennità sostitutiva del preavviso nel periodo compreso tra il 16.6.1997 e il 12.3.2003, a seguito del giudicato amministrativo che aveva fissato retroattivamente la decorrenza della dispensa dal servizio di B. A. al giugno 1997;
che avverso tale sentenza B.A. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, al quale hanno opposto difese il Ministero della Economia e delle Finanze e il Ministero della Istruzione, dell’Università e della Ricerca con controricorso;
che è stata depositata memoria ex art. 378 c.p.c. da B.A.;
che in data 12.5.2017 B.A. ha depositato istanza di trattazione in udienza pubblica
Considerato che
1. con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonché la violazione del principio di ultrapetizione (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 112 e 342, 434 c.p.c.) per non avere la Corte d’appello accolto l’eccezione di inammissibilità del gravame per difetto di specificità dei motivi;
2. con il secondo motivo di ricorso, è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., in relazione agli artt. 24, 32 e 36 Cost., nonché agli artt. 2126 c.c. e 2, comma 5, della legge 12 giugno 1984, n. 222). La ricorrente denuncia la falsa applicazione del primo comma dell’art. 2126 c.c., evidenziando che la pronuncia del giudice amministrativo, che ha determinato la decorrenza retroattiva del collocamento in pensione della ricorrente alla data del 16.6.1997, non ha dichiarato nullo, né ha annullato il titolo contrattuale sulla base del quale sono state rese le prestazioni lavorative ed è stata corrisposta la relativa retribuzione;
3. con il terzo motivo di ricorso, si denuncia la omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso nonché la violazione del principio di ultra petizione (Art. 360, primo comma, n. 3 e 5 c.p.c. in relazione all’art. 24 Cost. e agli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.). In particolare la ricorrente lamenta un vizio di motivazione in relazione alla determinazione della somma oggetto di ripetizione e ritiene che i quesiti posti alle parti dalla Corte territoriale durante il giudizio abbiano concretizzato la violazione dell’art. 112 c.p.c.;
1.1. preliminarmente deve respingersi l’istanza di trattazione in udienza pubblica, in quanto le questioni oggetto di giudizio non hanno carattere di novità né di particolare complessità, essendo analoghe fattispecie già state decise da questa Corte;
1.2. il primo motivo è infondato: la Corte territoriale ha disatteso la eccezione di inammissibilità dell’appello, sulla base della interpretazione dell’art. 434 c.p.c. (nella formulazione precedente alle modifiche introdotte dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis) fornita da questa Corte nella sentenza n. 16422 del 2004, ritenendo specificamente individuati nel ricorso in appello gli errori attribuiti dalle parti appellanti al primo giudice. Risultano, pertanto, correttamente applicate le norme di riferimento, né la valutazione fattuale della Corte territoriale viene adeguatamente censurata, in difetto di trascrizione integrale dell’atto di appello e della sentenza del Tribunale cui lo stesso si riferisce. Affinchè questa Corte possa riscontrare, mediante l’esame diretto degli atti, l’intero fascicolo processuale è, infatti, necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi caratterizzanti il fatto processuale di cui si chiede il riesame, nel rispetto delle disposizioni contenute negli artt. 366, primo comma n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. (ex plurimis Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 896 del 2014, S.U. n. 8077 del 2012), il che, nel caso in esame, difetta;
2.1. il secondo motivo è infondato, vertendosi in fattispecie di indebito oggettivo per sopravvenuta inesistenza del titolo: per effetto di sentenza irrevocabile del giudice amministrativo, che ha riconosciuto alla ricorrente la dispensa dal servizio per inabilità assoluta, con conseguente collocamento a riposo e percezione di pensione, è venuto meno retroattivamente (a decorrere dal 16 giugno 1997) il titolo per la percezione di retribuzioni ed altre indennità da parte della A.. Ne consegue che è correttamente motivata la sentenza, nella parte in cui ha ritenuto ripetibili, entro i limiti precisati, le suddette somme, in quanto la fissazione al 16 giugno 1997 della decorrenza della dispensa dal servizio ha determinato ex tunc la risoluzione del rapporto di lavoro. La giurisprudenza di legittimità ha – infatti – più volte affermato che “in materia di lavoro pubblico contrattualizzato, nel caso di domanda di ripetizione dell’indebito proposta da un’amministrazione nei confronti di un proprio dipendente in relazione alle somme corrisposte a titolo di retribuzione, qualora risulti accertato che l’erogazione sia avvenuta sine titulo, è consentita la ripetibilità delle somme ex art. 2033 c.c. e tale ripetibilità non è esclusa per la buona fede dell’ “accipiens“, in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi (ex plurimisCass. n. 8338 del 2010, Cass. n. 24835 del 2015, Cass. n. 4323 del 2017).
Sulla stessa linea è la copiosa giurisprudenza amministrativa in materia di indebito retributivo, secondo cui “il recupero di somme indebitamente corrisposte dalla P.A. ai propri dipendenti ha carattere di doverosità e costituisce esercizio di un vero e proprio diritto soggettivo a carattere patrimoniale, non rinunciabile in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse alle quali sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate” (ex plurimis Cons. Stato, Sez. 4, n. 1154 del 2005). Corretta è, conseguentemente, la sentenza impugnata, nella parte in cui (sia pur con improprio riferimento all’art. 2126 c.c.) ha distinto le retribuzioni relative alle giornate di lavoro effettivamente prestato, in relazione alle quali non ricorrono i presupposti dell’art. 2033 c.c., proprio per la intervenuta utilizzazione, da parte della P.A., delle prestazioni lavorative, dalle indennità di malattia e sostitutiva del preavviso, delle quali ha ritenuto la ripetibilità, in quanto erogate in assenza di titolo.
La pronuncia impugnata è corretta anche nella parte in cui ha ritenuto coerente tale ricostruzione della fattispecie con la pacifica connotazione legittima della percezione, da parte della Albertini, (con riferimento al medesimo periodo oggetto del recupero retributivo) dei ratei pensionistici, considerata I’ incompatibilità tra la percezione della pensione ordinaria di inabilità e i compensi per attività di lavoro, prevista dall’art. 2, comma 5, della legge n. 222 del 1984;
3.1. la censura relativa al vizio di motivazione sulla quantificazione della somma oggetto di ripetizione è inammissibile per difetto di specificità, né può ritenersi che i quesiti rivolti alle parti dalla Corte territoriale nel corso del giudizio di appello abbiano concretizzato la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., essendo tali quesiti stati posti (come correttamente evidenziato dalla difesa delle parti resistenti) nell’esercizio del potere-dovere del giudice di acquisire il maggior numero possibile di elementi per la ricostruzione dei fatti;
4. per le esposte motivazioni, la sentenza impugnata deve essere confermata;
5. non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
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