CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 luglio 2017, n. 17486
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Assenza di adeguata replica alla deduzioni del contribuente in sede di contraddittorio – Assenza di grave incongruenza tra i ricavi dichiarati ed i maggiori ricavi accertati – Nullità
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate nell’anno 2007 notificava a D.L. un avviso di accertamento, per l’anno di imposta 2004, con il quale, facendo applicazione degli studi di settore, accertava maggiori ricavi non dichiarati per un importo di euro 46.000, con determinazione del corrispondente maggior reddito di impresa ai fini Irpeg ed Irap ed una maggiore imposta a debito ai fini Iva.
Il contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Bari che lo accoglieva con sentenza del 5.11.2010.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello, rigettato dalla Commissione tributaria regionale con sentenza del 5.12.2011. Il giudice di appello riteneva imprescindibile, ai fini della legittima utilizzazione ed applicazione delle “metodologie settoriali di accertamento” che l’Ufficio dovesse preliminarmente “esperire quelle indagini a cui è facultato dagli artt. 32 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e 51 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 dalle quali devono emergere differenze sostanziali tra i dati raccolti e quelli contabilizzati e dichiarati dal contribuente”; riteneva la nullità dell’avviso di accertamento perché “non conteneva un adeguata replica alle deduzioni avanzate in sede di contraddittorio dal contribuente”, e per mancanza del presupposto della “grave incongruenza” tra i ricavi dichiarati ed i maggiori ricavi accertati dall’Ufficio, corrispondenti nel caso di specie all’importo di euro 46.000 pari ad una percentuale di solo il 4,23% dei ricavi dichiarati ( euro 1.089.996).
L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione formulando due motivi di impugnazione.
Il contribuente non resiste.
Considerato in diritto
1. Primo motivo: “violazione e falsa applicazione dell’art. 62 sexies del d.l. 331 del 1993 richiamato dall’art. 10 della legge n. 146 del 1998”, nella parte in cui ha ritenuto che l’Ufficio, prima di ricorrere all’impiego degli studi di settore, debba accertare l’esistenza di “irregolarità” nella situazione contabile del contribuente.
2. Secondo motivo: “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, nella parte in cui ha ritenuto che l’Ufficio abbia omesso di indicare le ragioni per le quali non ha accolto interamente le giustificazioni fornite dal contribuente in sede di contraddittorio, e nella parte in cui ha non ha ritenuto rilevante qualsiasi scostamento ma solo quello indicativo di una “grave incongruenza “, non ravvisato nel caso di specie in quanto la differenza tra ricavi dichiarati dal contribuente e quelli quantificati dall’Ufficio era solo del 4,23%.
3. I motivi, da esaminare congiuntamente, devono essere in parte rigettati ed in parte dichiarati inammissibili nei termini di seguito indicati.
Preliminarmente si rileva che la sentenza impugnata contiene una triplice “ratio decidendi”: mancato svolgimento di attività istruttorie diretta ad accertare irregolarità contabili, ritenute (erroneamente) presupposto indispensabile per l’applicazione della metodologia di accertamento a mezzo degli studi di settore; mancata motivazione dell’avviso di accertamento con l’esposizione delle ragioni per le quali non sono state accolte le giustificazioni addotte dal contribuente; mancanza del requisito delle “gravi incongruenze” tra ricavi dichiarati e quelli determinati mediante gli studi di settore in quanto lo scostamento era pari soltanto ad una percentuale del 4,23%.
Ciò premesso, deve essere applicato il principio secondo cui, qualora la pronuncia impugnata sia sorretta da una pluralità distinta ed autonoma di ragioni, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle doglianze relative ad una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, poiché anche se ipoteticamente fondate, non potrebbero in nessun caso produrre la cassazione della sentenza, legittimamente fondata sulla restante ratio decidendi ritenuta immune da vizi deducibili con il ricorso per cassazione. (Sez. 3, Sentenza n. 13956 del 30/06/2005, Rv. 582567-01).
Nel caso in esame risulta infondata la denuncia di “insufficiente e contraddittoria” motivazione (seconda parte del secondo motivo) della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la ricorrenza del requisito delle “gravi incongruenze”. L’assunto del giudice di appello, in ordine alla insufficienza di un “qualsiasi scostamento” tra ricavi dichiarati e ricavi determinati con gli studi di settore, è corretto. Ai fini della legittima adozione del metodo di accertamento del reddito di impresa (e di lavoro autonomo) mediante applicazione degli studi di settore, questa Corte ha affermato il principio della permanente necessità della esistenza del requisito delle “gravi incongruenze” tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore, previsto dall’art 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331 convertito nella legge 29 ottobre 1993, n. 427, requisito da ritenersi implicitamente confermato e non abrogato dall’art. 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, pur in assenza di un esplicito richiamo (Sez. U, Sentenza n. 26635 del 18/12/2009, Rv. 610692 – 01).
La motivazione non denota alcun vizio di “insufficienza o contraddittorietà”, laddove il giudice di appello esclude la sussistenza del presupposto delle “gravi incongruenze” ritenendo la natura lieve o comunque non grave di uno scostamento del 4,23%, matematicamente corrisponde al divario tra importo dei ricavi dichiarati (euro 1.089.000) ed i maggiori ricavi accertati dall’Ufficio nella misura di euro 46.000.
La rilevata legittimità della ratio decidendi che ha escluso la sussistenza del presupposto delle gravi incongruenze, legittimante il ricorso all’accertamento standardizzato mediante gli studi di settore, rende inammissibili, per carenza del requisito della decisività, l’esame dei motivi di censura (primo motivo e prima parte del secondo motivo) riferiti alle restanti rationes decidendi.
Spese regolate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate al rimborso delle spese in favore di parte resistente, liquidate in euro tremiladuecento, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
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