CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 febbraio 2018, n. 4613
Tributi locali – ICI – Accertamento – Terreni agricoli – Determinazione della base imponibile – Rendita catastale
Ritenuto che
Par. 2.1. Il comune di Carinola notificava ad A. M. L. avviso di accertamento per maggiore Ici per l’anno 2007, pari ad euro 6613,86, oltre sanzioni ed interessi, relativamente a terreni agricoli siti nel territorio del predetto comune.
Da tale atto risultava una nuova rendita attribuita dall’Agenzia del territorio, di talché l’erede della L. (A. M.) impugnava l’avviso da cui risultava un classamento diverso dei terreni quali seminativi irrigui di prima classe, sostenendo l’omessa notifica della variazione catastale, l’errata determinazione della base imponibile e delle rendite catastali.
Sosteneva il ricorrente che, sulla scorta dell’art. 5 d.lgs 504 del 1992, la base imponibile doveva essere determinata con riferimento alla rendita catastale risultante in catasto al primo gennaio dell’anno di riferimento, mentre la variazione della rendita era stata operata solo nel marzo del 2007.
Si costituivano l’amministrazione comunale e l’Agenzia del Territorio chiedendo il rigetto del ricorso.
La CTP di Carinola accoglieva il ricorso proposto dal M. avverso l’avviso di accertamento notificato dall’amministrazione comunale nel giudizio in cui era intervenuta anche l’Agenzia del territorio.
Il Comune di Carinola impugnava la sentenza dinanzi alla CTR di Napoli che accoglieva il ricorso.
In particolare i giudici di appello sostenevano che la circostanza che il M. avesse richiesto le concessioni di contributi all’Agenzia dimostrava la sua consapevolezza dell’obbligo di provvedere a dichiarare le variazioni intervenute sui fondi.
Avverso la sentenza n. 228/46/12 depositata il 17.01.2012, il contribuente proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi
L’amministrazione comunale resisteva con controricorso.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 7 D.lgs 504/1992, nonché dell’art 74, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342, in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., error in judicando, in ragione della illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato, essendo stato emesso in violazione della previsione di cui agli artt. 74 e 5 cit.
In via preliminare, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per carenza del mandato alle liti in calce alla copia notificata, sollevata dal Comune e comunque rilevabile d’ufficio.
Detta eccezione è infondata.
Come affermato dalle pronunce 636/2007, 4619/2002, 5932/2010, 2013/16751 ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, qualora l’originale dell’atto rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione, ad opera del medesimo, della sottoscrizione della parte che la procura ha conferito, la mancanza di tale firma e dell’autenticazione nella copia notificata non determinano l’invalidità del ricorso, purché la copia stessa contenga elementi, quali l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica è stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente, idonei ad evidenziare la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato speciale, mentre la mancanza di tale attestazione, non consentendo di accertare l’identità della persona che ha richiesto la notifica, determina l’inammissibilità del ricorso.
Nella specie, risulta nell’originale del ricorso il mandato alle liti al difensore e risulta altresì che l’avv. A. M., autorizzato dal C.d.O. degli avvocati di S. M. CVT ex lege 1994/53, ha provveduto alla notifica a mezzo posta, secondo la richiesta di detto difensore, così risultando la provenienza dell’atto notificato dal difensore munito di procura speciale.
Con riferimento al primo motivo del ricorso, osserva il Collegio che nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Non necessariamente l’assenza di rubricazione comporta assenza di illustrazione dei motivi, ma nel caso di specie, indicata la violazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è mancata l’illustrazione del relativo motivo, non emergendo esso in alcun modo dall’esposizione del ricorso.
In particolare, come precisa una giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice, la chiara indicazione del fatto controverso richiede che:
– allorché nel ricorso per Cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito a un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto, ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente – deve essere adempiuto illustrando il relativo motivo di ricorso che consenta al giudice di valutare immediatamente la ammissibilità del ricorso (in termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897; Cass. 2009 n. 18421; Cass. 2014 n. 15478).
Il ricorrente ha omesso di illustrare il motivo di ricorso sotto il profilo dell’art. 360 n. 5, limitandosi alla mera enunciazione della norma ed omettendo sia l’esplicazione della ragione del ricorso nella rubrica sia la sua illustrazione, di talché, sotto detto profilo, il motivo è inammissibile, non potendosi inferire la riferibilità dell’esposizione all’ipotesi di cui all’art. 360 n. 5.
Sotto il profilo della violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c., parte ricorrente argomenta che, erroneamente, i giudici di appello hanno ritenuto che l’omessa denuncia da parte sua di eventuali variazioni nella consistenza dei fondi aveva legittimato l’Agenzia del Territorio alla rideterminazione della rendita nel marzo del 2007 ed il Comune alla variazione in aumento dell’ICI nel 2009, sulla scorta delle nuove rendite, benché l’atto modificativo della rendita non fosse stato notificato al contribuente e nonostante esso fosse intervenuto successivamente al primo gennaio dell’anno di riferimento per il calcolo della base imponibile.
Deduce, ancora, il ricorrente, che l’istanza di erogazione dei contributi o finanziamento (destinata ad altre finalità non meglio specificate), indirizzata all’Agenzia, non comportava l’obbligo dello stesso di richiedere l’attribuzione di una nuova rendita catastale, né questa poteva operare retroattivamente in assenza di notifica.
Con riferimento alla violazione di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., occorre premettere che, nella più recente giurisprudenza di questa Corte, prevale l’affermazione per cui la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta (così, S.U. 2017/2731; Cass. 2017/276; Cass. n. 28663/13; 8622/12; Cass. n. 23989/14).
Di qui la possibilità d’integrare la motivazione della sentenza impugnata, ove lacunosa, nei termini che seguono.
La giurisprudenza di legittimità ha statuito (con riguardo a diversa fattispecie ma con enunciazioni di principi applicabili anche al caso di specie) che “in tema d’ICI, l’art. 74 della I. n. 342 del 2000, nel disporre che gli atti attributivi o modificativi della rendita sono efficaci a partire dalla loro notifica da parte dell’Agenzia del territorio, si interpreta nel senso che dalla notifica decorre il termine per l’impugnazione, ma ciò non esclude affatto ¡’utilizzabilità della rendita medesima, una volta notificata, a fini impositivi anche per annualità d’imposta “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso, stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell’atto attributivo della rendita” (Cass. 2017 n. 14402; Cass. 2016 n. 18056; 2016 n. 12330; Cass. 2012 n. 12753; Sez. U, Sentenza n. 3160/11; Cass.23600/11).
La notificazione della rendita attribuita, in definitiva, costituisce il presupposto (oltre che per l’impugnazione da parte del contribuente) per l’utilizzo della stessa da parte dell’amministrazione comunale che agisca per il pagamento dell’Ici; e ciò con riguardo anche alle annualità pregresse (ed a maggior ragione per quella ancora in corso al momento della notificazione) in ordine alle quali la posizione lei non risulti essere stata definita proprio in attesa dell’attribuzione della rendita notificata: “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini del computo della base imponibile, Il provvedimento di modifica della rendita catastale, emesso dopo il primo gennaio 2000 a seguito della denuncia di variazione dell’immobile presentata dal contribuente, è utilizzabile, a norma dell’art. 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, anche con riferimento ai periodi di imposta anteriori a quello in cui ha avuto luogo la notificazione del provvedimento, purché successivi alla denuncia di variazione. Stabilendo, infatti, con il citato art. 74, che dal primo gennaio 2000 gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, il legislatore non ha voluto restringere il potere di accertamento tributario al periodo successivo alla notificazione del classamento, ma piuttosto segnare il momento a partire dal quale l’amministrazione comunale può richiedere l’applicazione della nuova rendita ed il contribuente può tutelare le sue ragioni contro di essa, non potendosi confondere l’efficacia della modifica della rendita catastale – coincidente con la notificazione dell’atto
– con la sua applicabilità, che va riferita invece all’epoca della variazione materiale che ha portato alla modifica” (Cass. 13443/12; così Cass. 20775/05).
In continuità con tale orientamento, si è specificato che da detta interpretazione consegue che “la determinazione della base imponibile, tanto per i fabbricati non iscritti in catasto, quanto per quelli in relazione ai quali siano intervenute variazioni permanenti, va sempre effettuata, anche per le annualità pregresse, in base alla rendita catastale, a prescindere dall’epoca di notificazione o di definitiva attribuzione” , e ciò in quanto gli atti attributivi della rendita sono privi di forza costitutiva, ma hanno funzione meramente accertativa della concreta situazione catastale dell’immobile (cfr. 12029 del 25 maggio 2009; n. 16031/2009; Cass. n. 4335 del 2015 Cass. ord. n. 14773 del 2011; Cass. n. 23600 del 2011; 12753 del 2014; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 23600 del 11/11/2011; Cass. S.U. n. 3160/2011; Cass. n. 18056/2016; n. 12320/2016; n. 12753/2014; n. 9203/2007; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18056 del 14/09/2016; Cass. n. 14402 del 2017).
Tornando alla vicenda in esame, dalla pronuncia oggetto di ricorso per cassazione risulta evidente che il contribuente non ha provveduto ad impugnare la nuova rendita catastale attribuita dall’Agenzia del Territorio, dolendosi il predetto dell’omessa notifica della rendita al solo fine di ottenere l’annullamento dell’avviso di accertamento emesso dall’amministrazione comunale; con la conseguenza che l’attribuzione della rendita catastale è divenuta definitiva. La disciplina prevista dall’art. 74, comma 3, della legge 21 novembre 2000, n. 342, in particolare, dispone che la notifica dell’atto impositivo ai fini ICI vale anche come atto di notificazione della rendita attribuita, comportando l’obbligo di impugnazione autonoma dell’atto modificativo della rendita catastale nei 60 giorni dalla data della notifica, stante l’autonomia tra i giudizi di impugnazione dell’atto di attribuzione della rendita catastale e dell’atto impositivo emanato dall’ente locale (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25550 del 2014; Cass. 2010, n. 10571 e Cass. 2007, n. 9203).
Ne deriva che pur sussistendo il potere di accertamento anche per i periodi precedenti alla notifica, esso non può essere esercitato relativamente agli anni antecedenti la rettifica, non potendosi confondere l’efficacia della modifica con la sua applicabilità.
Difatti, alla luce della regola generale ricavabile dal D.Lgs. 30 dicembre 1997, n. 504, art.5, comma 2, le risultanze catastali divenute definitive per mancata impugnazione hanno efficacia a decorrere dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali (cosiddetta messa in atti).
Si è in proposito affermato che “in tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), la regola generale prevista dall’art. 5, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, secondo cui le variazioni delle risultanze catastali hanno efficacia, ai fini della determinazione della base imponibile, a decorrere dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali, si applica anche quando il contribuente si avvalga della procedura DOCFA ai fini della determinazione della rendita catastale, ai sensi del d.m. finanze 19 aprile 1994 n. 701, non avendo tale procedura caratteristiche dissimili da qualsiasi altra istanza di attribuzione di rendita ed essendo il termine di efficacia, previsto dall’art. 5, comma 2, cit., ispirato a ragioni di uniformità delle dichiarazioni e degli accertamenti. Tale interpretazione non solo non comporta alcuna violazione dell’art. 53 Cost., in quanto l’esigenza di tener conto della capacità contributiva non esclude il potere discrezionale del legislatore di fissare un termine di efficacia uguale per tutti i contribuenti, ma è essa stessa espressione del principio di uguaglianza, in quanto l’applicazione di un termine differenziato nell’ipotesi di ricorso alla procedura DOCFA, comporterebbe una discriminazione fra contribuenti”. (Cass. 21310/10; in termini Cass. 3168/15; Cass. n. 17824 del 2017; Cass. n. 11846/2017).
Al riguardo, anche il ministero, richiamando la regola generale prevista dalla normativa Imu, impone di fare riferimento alla rendita catastale vigente al 1° gennaio dell’anno di imposizione; pertanto le variazioni di rendita catastale intervenute nel corso dell’anno avranno efficacia solo a partire dall’anno successivo (Cass. 2017, n. 20463).
Detto principio patisce eccezione per la sola ipotesi in cui le variazioni costituiscano correzioni di errori materiali di fatto (come tali riconosciuti dalla stessa Amministrazione) incorsi nel classamento che sostituiscono; ovvero conseguano a modificazioni della consistenza o della destinazione dell’immobile denunciate dallo stesso contribuente, dovendo allora esse trovare applicazione dalla data della denuncia, in quanto il fatto che la situazione materiale denunciata risalga a data anteriore non ne giustifica un’applicazione retroattiva rispetto alla comunicazione effettuata all’Amministrazione; ciò in quanto il riesame delle caratteristiche dell’immobile da parte del medesimo ufficio comporta, previa correzione degli errori materiali, l’attribuzione di una diversa rendita con decorrenza dall’originario classamento rivelatosi erroneo o illegittimo ( Cass. n. 21310 del 2010; Cass. n. 13018/2012; Cass. 3168 del 2015 Cass. n. 11844 del 2017; Cass. n. 27024 del 2017).
Nella fattispecie la nuova rendita non risulta dalla correzione di un errore materiale o da errata autoliquidazione dell’imposta quanto piuttosto dall’attribuzione di una nuova rendita da parte dell’Ufficio che pertanto non può che decorrere dall’anno successivo all’annotazione nel catasto, e dunque dal 2008 (Cass.2014/2667)
Al riguardo, la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto che la nuova rendita avesse effetto retroattivo dall’epoca della variazione colturale e dalle migliorie (effettuate già prima dell’anno 2007, secondo la tesi dell’Agenzia) e tale affermazione, risulta, oltre che del tutto apodittica, in quanto non supportata da alcun ancoraggio alle risultanze processuali e, in particolare, da alcun esame della documentazione allegata dalle parti , è giuridicamente errata, in quanto non conforme al principio sopra esposto.
Quando il legislatore ha voluto attribuire effetti immediati a fini ICI ad una modifica lo ha espressamente previsto come nel caso di cui all’art. 10 D.Igs 504/92, nel caso di frazionamento del tributo a fronte della mutamento nella titolarità del bene o in base all’art. 2, n. 1 lett. a D.Igs 534/92 se l’area viene edificata nel periodo d’imposta. Invece la variazione del suolo – in questa ipotesi non accertata – non assume immediata rilevanza ai fini impositivi non essendo previsto il frazionamento a fini ICI con applicazione per alcuni mesi secondo certe caratteristiche e per i successivi secondo altre, in quanto l’art. 5 D.Igs 504/92 prevede la valutazione dell’area alla data del 1 gennaio dell’anno di riferimento ( Cass. 2017/2901).
In tale ipotesi, peraltro, il fatto (contestato) che la situazione materiale nemmeno denunciata risale, secondo la CTR, a data anteriore non ne giustifica una applicazione retroattiva rispetto alla denuncia (così Cass. 17863/10, in motivazione; conf. Cass. 18023/04, 20854/04, 20734/06).
Il ricorso va dunque accolto con riferimento al secondo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, atteso che la nuova rendita catastale poteva essere attribuita con riferimento al primo gennaio del 2008, ex art. 5 del D.Lgs. 30 dicembre 1997, n. 504.
Sussistono i presupposti per compensare le spese dell’intero giudizio, considerata la controvertibilità delle questioni sottoposte al vaglio della Corte.
P.Q.M.
– Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente;
– dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso;
– Compensa le spese dell’intero giudizio.
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