CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 febbraio 2020, n. 2607
Tributi – ICI – Parcheggi realizzati in autosilos – Classificazione nella categoria catastale E/3 – Esclusione – Attribuzione categoria D/8
Ritenuto in fatto
1. Con tre separati ricorsi proposti davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Parma G. spa impugnava: 1) il provvedimento di diniego di revisione della rendita catastale di cinque parcheggi, realizzati in autosilos, ubicati nel territorio del Comune di Parma, emesso in data 11/12/2008 dall’Agenzia del Territorio, la quale aveva confermato la categoria catastale D/8 degli immobili in oggetto; 2) I’ avviso di accertamento ICI per l’anno 2007, emesso da Parma Gestione Entrate spa (di seguito indicata per brevità PGE), concessionaria per l’accerta mento, liquidazione e riscossione di tutte le entrate tributarie del Comune di Parma, in relazione ai medesimi immobili adibiti a parcheggio ; 3) avviso di accertamento ICI per l’anno 2008, anch’esso emesso da PGE in relazione ai predetti immobili. La ricorrente deduceva l’illegittimità sia dell’atto emesso dall’Agenzia del Territorio di Parma con attribuzione della rendita catastale, sia degli atti di accertamento emessi da PGE, per conto del Comune di Parma, fondati sul passaggio della categoria catastale dal E/3 a quella D/8.
2. La CTP, riuniti i ricorsi, li accoglieva ritenendo che gli immobili adibiti a parcheggi dovessero essere ricompresi nella categoria E/3 con riconoscimento della deroga contributiva ai fini ICI ai sensi dell’art. 7, lett. b) del d.lvo nr. 504 del 1992.
3. La sentenza veniva impugnata sia da PGE che dall’Amministrazione finanziaria: erano incardinati due giudizi di appello il nr. 1319/13 RG e il nr. 1061/13 RG che non venivano riuniti; la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, nel procedimento nr 1319/13 RG, con sentenza nr. 884/2014 accoglieva sia l’appello principale, ritenendo che gli autosilos oggetto di causa dovessero essere inquadrati nella categoria D/8, sia l’appello incidentale condizionato proposto dalla contribuente per l’applicazione delle sanzioni, rilevando che all’epoca dei fatti i fabbricati erano già iscritti sotto la categoria D/8 e già muniti di rendita catastale, sicché non sussisteva l’obbligo di presentare la dichiarazione ICI.
4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per Cassazione la parte privata affidandosi a sette motivi. Si è costituita PGE, depositando controricorso mentre l’Agenzia delle Entrate si è costituita oltre i termini ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
Con ordinanza del 23.1.2019 veniva disposta la trattazione del ricorso alla pubblica udienza.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per error in procedendo, in relazione all’art. 360 1° comma nr 4 cpc, non avendo la CTR provveduto all’integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di Parma al quale era stato notificato dalla contribuente il ricorso originario ma non l’atto di appello proposto da PGE.
1.1 Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 1° comma nr. 4 cpc, per non avere il giudice di seconde cure rilevato l’improcedibilità dell’autonomo appello proposto da PGE. In particolare si sostiene che la concessionaria, destinataria dell’appello alla sentenza di primo grado da parte dell’Agenzia delle Entrate, invece che costituirsi in giudizio proponendo appello incidentale, ha proposto autonomo gravame; i due giudizi che ne sono conseguiti non sono stati riuniti in violazione degli artt. 333 e 335 cpc.
1.2 Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza per error in procedendo per violazione degli artt. 24 Cost. e 81 cpc in relazione all’art. 360 1° comma nr. 4 cpc non essendo stato dichiarato inammissibile l’appello di PGE proposto non per motivi attinenti all’avviso di accertamento ma per regioni inerenti al merito del classa mento.
1.3 Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 346, 329 cpc e 56 d.lvo 546/1992 per non aver la CTR omesso di rilevare il giudicato interno formatosi su un serie di eccezioni relative all’annullamento degli avvisi non decise dal giudice di primo grado in quanto assorbite e non oggetto di specifica censura da parte dell’appellante.
1.4 Con il quinto motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione dell’art. 132 nr. 4 cpc e dell’art. 36 d.lvo 546/92 in relazione all’art. 360 nr 4 cpc in quanto la motivazione sarebbe apparentemente idonea a giustificare la decisione assunta.
1.5 Con il sesto motivo si lamenta la violazione dell’art. 143 d.lvo nr. 163/2006 in relazione all’art. 360 1° comma nr. 3 cpc in quanto la CTR, ritenendo che la gestione imprenditoriale di tipo privato escluda i connotati del servizio pubblico , ai fini dell’inquadramento sotto la categoria E/3 esente da ICI, non avrebbe correttamente applicato la disposizione di cui all’art. 143 codice degli appalti che ammette la realizzazione da parte di privati di opere pubbliche gestite in regime di concessione.
1.6 Con il settimo motivo la sentenza viene criticata per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 cpc in relazione all’art. 360 1° comma nr 4 cpc non essendosi la CTR pronunciata sulla domanda di ripetibilità delle somme corrisposte a titolo di definizione agevolata.
2. Va preliminarmente disattesa l’istanza di inammissibilità del ricorso e/o cessazione della materia del contendere avanzata dalla resistente sulla scorta di asseriti accordi, mai perfezionatisi, che in ogni caso riguardano anni di imposta successivi a quelli per cui è causa.
3. Il primo motivo è infondato
3.1 Risulta accertato, in punto di fatto, che i ricorsi con i quali G. spa ha impugnato gli avvisi di accertamento nr. 13 del 2007 e nr. 4 del 2008 e che hanno dato origine ai procedimenti nr. 562/09 RGR e nr 1064/10 RGR sono stati notificati, oltre che a PGE, in qualità del servizio di gestione, accertamento e riscossione delle entrate comunali, anche al Comune di Parma il quale è rimasto contumace per tutto il giudizio svoltosi davanti alla Commissione Tributaria Provinciale. E’, altresì, pacifico che l’atto di appello non è stato notificato dal concessionario all’Ente territoriale che, quindi, è stato parte nel giudizio di primo grado ma non in quello di secondo grado.
3.2 Sussisterebbero, quindi, i presupposti per disporre l’integrazione del contraddittorio davanti alla Commissione Tributaria Regionale.
3.3 Va, tuttavia segnalato un orientamento giurisprudenziale di questa Corte, dal quale questo Collegio non ha motivo di discostarsi, secondo il quale il rispetto del principio fondamentale della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’infondatezza dei motivi del ricorso (vedasi successivi paragrafi), di definire con immediatezza il procedimento, senza che rilevi ogni questione sull’integrazione dei contraddittorio nei confronti di eventuali litisconsorti necessari, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizi (cfr. Cass. nn. 12995 e 15106 del 2013 nr 690, 1032 19317/2012, 6826/2010).
3.4 Nel caso di specie il soggetto pretermesso è il Comune di Parma nel cui interesse fiscale ha agito il concessionario con l’emissione degli avvisi di accertamento e, pertanto, il rinvio alla CTR per l’integrazione del contraddittorio appare superfluo atteso che l’estensione del contraddittorio si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue che comportano un allungamento dei termini per la definizione del giudizio senza alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parte.
4. Il secondo motivo è destituito di fondamento.
4.1 L’appello di PGE alla sentenza della CTP, depositata in data 31.10.2012, e sì successivo all’appello di Agenzia delle Entrate ma risulta tempestivo sia come appello principale che come appello incidentale.
4.2 L’art. 335 cpc norma di chiusura della disciplina destinata ad assicurare l’unità del procedimento di impugnazione prevede che <<tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza debbono essere riunite, anche d’ufficio, in un solo processo>>.
4.3 Nel fattispecie in esame i due appelli, pur non essendo stati riuniti sono stati trattati, discussi e decisi contemporaneamente con identiche motivazioni e t dispositivi.
4.4 Secondo il condivisibile orientamento di questa Corte «l’inosservanza, da parte del giudice di appello, dell’obbligo di riunire, in un unico procedimento, i gravami separatamente proposti contro la medesima sentenza non spiega effetti quando, malgrado la formale mancanza di un provvedimento di riunione, dette impugnazioni abbiano sostanzialmente avuto uno svolgimento unitario, in quanto – come nella specie – chiamate alla stessa udienza, nonché contestualmente discusse e decise dallo stesso collegio con il medesimo relatore, così restandosi nell’ambito della mera redazione separata di due pronunce per una decisione di tipo unitario (salva, poi, la facoltà di riunione dei ricorsi che siano stati proposti contro di esse). La decisione di una delle impugnazioni non precedentemente riunite, inoltre, non determina l’improcedibilità delle altre, sempre che non si venga a formare il giudicato sulle questioni investite da queste ultime, dovendosi attribuire prevalenza – in difetto di previsioni sanzionatone da parte dell’art. 335 c.p.c. – alle esigenze di tutela del soggetto che, ha proposto l’impugnazione rispetto a quelle della economia processuale e della teorica armonia dei giudicati». (Cass. n. 10696/2019 e 20514/2016).
5. Il terzo motivo non coglie nel segno.
5.1 Fatto costitutivo per l’esigibilità dell’ICI è l’inquadramento dell’immobile in una determinata categoria catastale (nella fattispecie D/8 piuttosto che E/3); è, quindi, del tutto legittimo che l’attività difensiva del concessionario per difendere la fondatezza dell’accertamento fiscale possa essere mirata a sostenere la validità dell’accertamento catastale compiuto dall’Agenzia delle Entrate.
5.2 La giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio secondo il quale in una causa concernente un avviso di rettifica di classamento per l’attribuzione di rendita catastale, dovendo la rendita catastale stabilita dal giudice di merito nella controversia tra l’Agenzia del Territorio e il contribuente essere recepita dal Comune, nel cui territorio è ubicato il cespite, e posta a base per la determinazione dell’ICI, sussiste l’interesse giuridico del Comune impositore a intervenire nel giudizio destinato a quantificare la base imponibile del tributo alla stregua di un “destinatario indiretto e mediato” dell’atto di classamento, al fine di tutelare la propria situazione soggettiva di fronte alla eventualità che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi le conseguenze dannose derivanti dagli effetti riflessi o indiretti del giudicato formatosi in ordine al classamento dell’immobile (cfr. Cass. nr 14000/2012).
6. Manifestamente infondato è il quarto motivo.
6.1 L’art. 56 d.lvo 546/1992 stabilisce che <<le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della Commissione tributaria provinciale che non sono state specificamente riproposte in appello si intendono rinunciate>>.
6.2 Avuto riguardo alla struttura del processo tributario tutti i motivi di impugnazione dell’avviso di accertamento fatti valere dalla G. spa nel ricorso introduttivo del giudizio incardinato presso la Commissione Tributaria Provinciale, (nella fattispecie le censure relative alla motivazione dell’avviso, alla mancata soggettività passiva ai fini ICI le obiettive condizioni di incertezza di cui all’art. 10 comma 3 l. 212/2000) non accolti o assorbiti dalla sentenza ,avrebbero dovuto essere riproposti non dall’ente impositore appellante, resistente nel giudizio di primo grado, ma, attraverso l’appello incidentale condizionato, dal contribuente appellato, ricorrente nel giudizio di primo grado. Le suesposte considerazioni trovano convalida giurisprudenziale nel seguente principio enunciato dalla Suprema Corte «in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento – come il corrispondente art. 346 cod. proc. civ. – all’appellato, e non all’appellante; pertanto, avuto riguardo al carattere impugnatorio del giudizio, alla qualità di attore in senso sostanziale rivestita dall’Ufficio ed all’indisponibilità della pretesa, alla quale l’Amministrazione non può rinunciare se non nei limiti di esercizio di autotutela, qualora l’Amministrazione sia soccombente in primo grado per un profilo preliminare di legittimità formale dell’atto, dalla circostanza che l’appello proposto abbia per oggetto solo la suddetta statuizione non può desumersi la rinuncia a far valere la pretesa tributaria (cfr. Cass. n. 10906/2016, 13695/2009).
6.3 Il giudicato interno si è, quindi, formato non sulle pretesa di PGE di applicazione del tributo ICI ma sulla decadenza di G. spa, derivante da una presunzione di rinuncia del diritto al riesame dei profili di censura dell’avviso di accertamento non esaminati dal giudice di primo grado.
7. Va rigettato anche il sesto motivo.
7.1 E’ ormai noto come Le Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) abbiano fornito una chiave di lettura della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, nel senso di una riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, con conseguente denunciabilità in cassazione della sola “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico,nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione”.
7.2 Nel caso in esame la sentenza non è connotata da tali deficienze in quanto la CTR, sia pur con motivazione stringata, ha dato conto degli elementi e delle ragioni dell’inquadramento in categoria D/8 anziché E/3 dell’area adibita a parcheggio con conseguente inapplicabilità del regime di esonero dall’ICI ai sensi dell’art. 7, lett. b) del d.lvo nr 504 del 1992.
7.3 In particolare i giudici di seconde cure, uniformandosi al consolidato indirizzo di questa Corte (cfr. Cass. nr. 20026/15, 7868/2016, 4223/2019) e facendo riferimento all’art. 2 comma 40 del d.l. 262/2006, hanno attribuito valenza decisiva all’ autonomia funzionale e reddituale degli autosilos e all’attività di natura commerciale della società pur essendo la stessa svolta in manufatti eretti su suolo pubblico dato in concessione ed pur in presenza di vincoli tariffari approvati dall’ente pubblico.
8. Il sesto motivo è infondato in quanto la CTR ha in ogni caso correttamente ritenuto ininfluente, ai fini dell’inquadramento catastale dell’area di parcheggio in D/8, la destinazione dell’attività, gestita dalla G. spa in forma imprenditoriale, anche ad pubblico servizio.
9. Infondato è, infine, l’ultimo motivo con il quale la ricorrente fa valere il vizio di omessa pronuncia sulla domanda di restituzione degli importi versati a titolo di definizione agevolata delle sanzioni.
9.1 La sentenza non si è in effetti pronunciata sulla domanda di restituzione delle sanzioni proposta in primo grado e reiterata in appello né può ritenersi che la CTR decidendo, sulle non sussistenza dell’esonero dal pagamento dell’imposta invocato dal contribuente, abbia implicitamente statuito sulla domanda di restituzione delle somme corrisposte a titolo di definizione agevolata delle sanzioni.
9.2 Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., non essendo necessaria alcun accertamento in fatto ma dovendosi risolvere solo questioni in diritto, la domanda proposta dal contribuente ben può essere esaminata da questa Corte di cassazione, la quale ha una funzione non più soltanto rescindente, ma anche rescissoria, sicché la perdita del grado di merito resta compensata con la realizzazione del principio di speditezza (cfr Cass. 31134/2017).
9.3 La domanda è infondata in quanto secondo il principio affermato da questa Corte (cfr Cass. nr 25493/2013), applicabile anche agli artt. 16 e 17 D.Lgs. n. 472 del 1997, il versamento da parte del contribuente della minor somma costituisce una facoltà concessa al contribuente per definire, con il versamento di una somma notevolmente inferiore a quella concretamente irrogabile come sanzione, l’aspetto sanzionatone del rapporto tributario in contestazione, e, con effetti, per un verso, preclusivi per l’Ufficio dell’irrogazione della pena nei limiti edittali, e d’altra parte, ostativi per il contribuente della ripetizione di quanto pagato.
10. In conclusione il ricorso va rigettato.
11. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore del solo concessionario in quanto l’Agenzia delle Entrate sia pur costituita non ha svolto alcuna attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in favore della parte costituita in € 7.500 oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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