CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 maggio 2017, n. 26930
Imposte indirette – IVA – Omesso versamento – Dichiarazione fiscale – Amministratore di fatto
Ritenuto in fatto
1. Con decreto in data 18/07/2016 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Velletri aveva disposto, nei confronti di M.D.A. e di P.D.B., il sequestro preventivo per equivalente fino alla concorrenza di € 329.550,00 ai sensi degli artt. 321 cod. proc. pen., 322-ter cod. pen.e 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 10-ter del D.lgs. n. 74/00, per avere omesso il versamento dell’IVA dovuta in forza della dichiarazione presentata il 27/09/2013 per conto della S. s.c. A.r.l..
2. Con ordinanza in data 20/09/2016, il Tribunale del riesame di Roma rigettò il gravame proposto dall’indagato, avente ad oggetto la riferibilità dell’omissione allo stesso D.A., il quale era cessato dalla carica di amministratore il 16/09/2013, ravvisando la piena legittimità del provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria.
3. Avverso la predetta ordinanza propone ricorso per cassazione lo stesso D.A., a mezzo del difensore di fiducia, affidando l’impugnazione a un solo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza della legge penale per avere configurato il fumus del delitto contestato nonostante che egli non potesse più considerarsi obbligato alla presentazione della dichiarazione fiscale per essere ormai cessato dalla carica di amministratore. Sotto altro profilo, il provvedimento genetico non avrebbe in alcun modo indicato specifici elementi alla stregua dei quali ritenere che D.A. potesse avere concorso, ai sensi dell’art. 110 cod. pen., nel delitto in contestazione, unitamente all’amministratore della società, P.D.B.; fermo restando che la presentazione della dichiarazione IVA non potrebbe comunque assumere alcuna valenza concorsuale rispetto alla successiva condotta omissiva tipica. Né il decreto genetico avrebbe indicato i concreti elementi di fatto sulla base dei quali potesse attribuirsi, in capo all’odierno ricorrente, la qualifica di “amministratore di fatto”.
4. Con requisitoria scritta depositata il 18/12/2016, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Preliminarmente giova rilevare come l’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., consenta la proposizione del ricorso per cassazione avverso le misure cautelare reali soltanto per il vizio di violazione di legge.
Ne consegue che i vizi della motivazione possono essere dedotti soltanto in caso di omissione totale della motivazione ovvero di motivazione apparente, perché la stessa sia sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, dep. 11/02/2013, Gabriele, Rv. 254893).
Sempre in premessa, occorre rilevare che in tema di sequestro preventivo, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del tribunale del riesame o della corte di cassazione non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (Sez. Un., n. 7 del 23/02/2000, dep. 4/05/2000, Mariano, Rv. 215840).
Ed ancora, va sottolineato che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione”: così Sez. 4, n. 18826 del 9/02/2012, dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849; v. anche Sez. 3, n. 31939 del 16/04/2015, dep. 22/07/2015, Falasca, in motivazione).
3. Poste tali premesse, osserva il Collegio che il ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità.
3.1. Sotto un primo profilo, infatti, il ricorrente ripropone sostanzialmente una serie di censure già formulate in sede di impugnazione davanti al Tribunale del riesame; doglianze che attengono, essenzialmente, al merito della configurabilità del fumus commissi delicti e, dunque, non sarebbero state deducibili in sede cautelare, né tantomeno lo sono in questa sede e rispetto alle quali, in ogni caso, i giudici del riesame hanno offerto compiuta ed esauriente risposta.
3.1.2. A quest’ultimo riguardo giova rilevare che l’ordinanza impugnata ha correttamente ricostruito la struttura complessa del delitto contestato, il quale si configura come fattispecie “a condotta mista”, consistente innanzitutto in una condotta commissiva, rappresentata dalla presentazione, da parte del soggetto obbligato, della dichiarazione annuale IVA; nonché in una condotta omissiva, costituita, invece, dal mancato versamento, nei termini di legge, dell’imposta dovuta, così come indicata nella predetta dichiarazione (cfr. Sez. 3, n. 12248 del 22/01/2014, dep. 14/03/2014, P.M. in proc. Faotto e altri, Rv. 259808).
Ne consegue, come puntualmente posto in luce dai giudici del riesame, che non risponde del reato di omesso versamento di IVA, chi, pur avendo presentato la dichiarazione annuale, non è poi tenuto al pagamento dell’imposta nel termine previsto dall’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, quando, ad esempio egli abbia successivamente dismesso la carica formale cui era connessa la presentazione della dichiarazione in questione, salvo-che si dimostri, comunque, che il soggetto abbia inequivocabilmente preordinato la condotta rispetto all’omissione del versamento (ad esempio, dismettendo artatamente la carica di amministratore della persona giuridica soggetto IVA) ovvero abbia fornito un contributo causale, materiale o morale, da valutarsi a norma dell’art. 110 cod. pen., all’omissione della persona obbligata, al momento della scadenza, al versamento dell’imposta dichiarata (in termini Sez. 3, n. 53158 del 2/07/2014, dep. 22/12/2014, Lombardi, Rv. 261569; Sez. 3, n. 12248 del 22/01/2014, dep. 14/03/2014, citata).
Nel caso di specie, tuttavia, pur non potendo dubitarsi che il reato sia stato portato a consumazione, a seguito dell’omesso versamento delle somme dovute alla scadenza del termine il 27/12/2013, quando D.A. aveva formalmente dismesso la carica di amministratore, nondimeno il compimento, da parte dell’indagato, di un atto gestorio (quale la presentazione della dichiarazione fiscale) anche dopo la cessazione dalla carica e prima della nomina del nuovo amministratore ha fondato, come logicamente sottolineato dall’ordinanza impugnata, un rilevante elemento indiziario non contraddetto da acquisizioni di contrario significato.
In questa prospettiva, la circostanza che la condotta descritta fosse stata necessitata dalla mancata nomina del nuovo amministratore configura, all’evidenza, una questione di merito, non scrutinatile in questa sede, così come il tema, ad essa collegato, della natura dei rapporti esistenti tra D.A. ed il nuovo amministratore, il quale non aveva provveduto, successivamente alla nomina, al versamento dell’imposta dovuta.
3.2. Sotto un secondo profilo, strettamente legato al primo, deve escludersi che l’ordinanza possa ritenersi, sul punto evocato nel ricorso, priva di motivazione o sostenuta da una motivazione apparente, sicché anche sotto tale ulteriore aspetto il ricorso, non limitandosi alla mera deduzione di una vizio di violazione di legge, ma sollecitando sostanzialmente una rivalutazione del materiale indiziario già valutato, deve ritenersi inammissibile.
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000 (duemila) in favore della Cassa delle Ammende.
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