Corte di Cassazione, ordinanza n. 25980 depositata il 17 ottobre 2018
Cessazione dalla carica di amministratore – Opponibilità – Effetti sulla responsabilità e sul decorso della prescrizione – Formalità
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Il tribunale di Salerno, in riforma della sentenza del giudice di pace della medesima città, ha annullato l’ordinanza-ingiunzione con cui il sig. Luigi A. era stato condannato al pagamento della somma di € 226,00 – in solido con la società V.E.PR.A.L. s.p.a. in liquidazione, della quale era stato amministratore – a titolo di sanzione amministrativa per la detenzione e l’uso di un convertitore di volumi di gas con verifica periodica scaduta al novembre 2010, in violazione dell’articolo 2 del D.M. n. 182 del 2000.
A fondamento della decisione il tribunale ha rilevato che al momento di commissione dell’illecito (novembre 2010) l’A. non rivestiva la carica di amministratore della società, essendo cessato dalla stessa con le dimissioni, decorrenti dal 31.12.08, da lui comunicate agli altri due amministratori della società e confermate con raccomandata al presidente del collegio sindacale con raccomandata del 5.8.09, regolarmente ricevuta. Donde l’illegittimità della pretesa sanzionatoria nei suoi confronti.
Per la cassazione della predetta sentenza la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Salerno ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di due motivi.
Il sig. A. ha depositato controricorso.
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 26 giugno 2018 per la quale la ricorrente ha depositato una memoria.
Con il primo motivo di ricorso si denuncia l’omesso esame del fatto decisivo che nel Registro delle Imprese la cessazione dalla carica di amministratore del signor A. risultava decorrente a far data dal giorno 28 luglio 2011.
Il motivo va disatteso per difetto di decisività del fatto di cui si lamenta l’omesso esame, ossia che in data 2 settembre 2011 era stato iscritto nel registro delle imprese un atto datato 28 luglio 2011 di cessazione dalla carica dell’A. (e degli altri amministratori). La mancanza di decisività di tale fatto discende dal rilievo che l’iscrizione nel registro delle imprese costituisce pubblicità dichiarativa, i cui effetti sono esclusivamente quelli fissati dall’articolo 2193 c.c., vale a dire la opponibilità alla società. Il difetto di iscrizione nel registro delle imprese delle dimissioni dell’amministratore rende quindi le stesse inopponibili alla società ma non al dimissionario, che a tutti gli effetti deve considerarsi cessato dalla carica dal momento in cui egli ha rassegnato le proprie dimissioni nel rispetto delle forma prescritte dall’articolo 2385 cod. civ.; in termini, Cass. 8516;09: “Non appare peraltro condivisibile l’estensione della responsabilità – che è in ogni caso per fatto proprio, anche quando consista in omessa vigilanza (culpa in vigilando) – a comportamenti messi in atto da altri amministratori in epoca successiva, sol perché la società, attraverso il competente organo – e non l’amministratore dimissionario – abbia omesso di adempiere agli obblighi di pubblicità. Sul punto, è appena il caso di notare che la legge non impone alcuna prescrizione all’amministratore cessante, ponendo la pubblicità a carico del collegio sindacale: alla cui inerzia non si vede come possa supplire lo stesso ex amministratore (che potrebbe perfino ignorare l’inadempienza), privo di legittimazione a richiedere l’iscrizione„ essendo ormai estraneo all’organizzazione societaria. Non sembra dunque esatto che l’amministratore rinunziante che abbia rispettato le prescrizioni poste dall’art. 2385 cod. civ., (comunicazione scritta al consiglio di amministrazione e al presidente del collegio sindacale, se esistente) vada incontro a responsabilità postuma per fatto di terzi”.
Quanto ai rilievo, sviluppato nella memoria del ricorrente, che la decisività dei fatto che il 2.9.11 era stato iscritto nel registro delle imprese un atto datato 28.7.11 di cessazione dell’A. dalla carica dì amministratore consisterebbe nella idoneità di tale fatto a dimostrare che quella data l’A. era ancora amministratore (nonostante le dimissioni rassegnate nel 2009), è sufficiente considerare che quest’ultima circostanza non è di per sé dimostrativa dell’inefficacia delle dimissioni del 5.8.09, ben potendo l’A. essersi dimesso nell’agosto 2009 ed aver nuovamente assunto la carica di amministratore della società in epoca compresa tra l’agosto 2009 e il luglio 2011. Pertanto, poiché nel ricorso non si deduce né che l’A. abbia revocato le dimissioni da lui rassegnate nell’agosto 2009, né che egli abbia nuovamente assunto la carica di amministratore in epoca successiva alla sue dimissioni ma anteriore al novembre 2010 (epoca dell’illecito) la circostanza che egli risulti cessato dalla carica nel luglio 2011 risulta priva del carattere della decisività postulato dal disposto dell’articolo 360, n. 5, c.p.c,
Con il secondo motivo di ricorso si impugna, per violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ., la statuizione con cui il tribunale ha condannato la Camera di Commercio di Salerno al rimborso dei € 354,51 – versati dal sig. A. in esecuzione dell’impugnata ordinanza ingiunzione, a seguito della sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione – in assenza di domanda restitutoria avanzata dal medesimo sig. A..
Anche il secondo motivo va disatteso, perché – all’esito dell’esame degli atti del giudizio di merito, consentito a questa Corte in ragione della natura processuale del vizio denunciato – si rileva che la domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione dell’ordinanza ingiunzione opposta era stata avanzata dall’A. nelle conclusioni della nota autorizzata da lui depositata telematicamente 1’11 gennaio 2017, per l’udienza del 16 febbraio 2017, nel giudizio di secondo grado (conclusioni, peraltro, trascritte nell’epigrafe dell’impugnata sentenza). Irrilevante, ai fini del presente giudizio di legittimità, è poi la questione della tempestività di tale domanda, giacché nel mezzo di impugnazione si censura la sentenza impugnata per essersi pronunciata su una domanda non proposta e non per essersi pronunciata nel merito di una domanda che si sarebbe dovuta giudicare inammissibile perché tardiva.
In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Deve darsi atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ex art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/02.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere al contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 400, oltre € 100 per esborsi ed oltre accessori di legge.
Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ex art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/02.
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