CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10047 depositata il 16 maggio 2016
TRIBUTI – ACCERTAMENTO- APPLICAZIONE COEFFICIENTI PRESUNTIVI DI REDDITO – OMESSA PREVENTIVA INSTAURAZIONE DEL CONTRADDITTORIO PREPROCESSUALE DA PARTE DELL’UFFICIO – NULLITA’ DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO
Osserva
La CTR di Roma ha respinto l’appello di C.R. – appello proposto contro la sentenza n. 188/03/2007 della CTP di Latina che aveva già respinto il ricorso della predetta contribuente – ed ha così confermato l’avviso di accertamento per IRPEF – relativa al periodo di imposta 2003, fondato sulla applicazione dei coefficienti presuntivi di reddito di cui all’art. 3 legge n. 549/1995 e DPCM 29.1.1996, come modificato dal DPCM 27.3.1997.
La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che l’appello non fosse fondato perché – al di là delle indicate eccezioni concernenti la violazione dell’art. 38, comma 4 del DPR n. 600/1973 – la parte contribuente non aveva neppure in sede di appello fornito elementi di sorta né documentazione a sostengo dell’impugnazione, nel mentre il ricorso al metodo di determinazione sintetica del reddito risultava legittimo essendo stati riscontrati indici di capacità contributiva valutabili in applicazione dei citati decreti.
La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia non si è difesa se non con atto finalizzato alla mera partecipazione all’udienza di discussione.
Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..
Ed invero, con il motivo di ricorso (incentrato sulla violazione dell’art. 38, commi 4 e 6, del DPR n. 600/1973) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudicante abbia omesso di pronunciarsi sull’eccezione di omessa preventiva instaurazione del contraddittorio preprocessuale, in difetto del quale il provvedimento di accertamento (inquadrabile nella categoria degli accertamenti standardizzati) doveva considerarsi nullo, a mente delle dianzi indicate disposizioni di legge.
Il motivo appare fondato ed accoglibile.
Ai fini di causa occorre muovere dall’insegnamento contenuto nella nota pronuncia di Cass. Sez. U, Sentenza n. 26635 del 18/12/2009 (poi ribadita da numerose altre successive) secondo il quale: “La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte.
In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito”.
Alla luce di questi principi, il giudicante avrebbe dovuto previamente esaminare l’eccezione pregiudiziale posta dal contribuente, in ordine alla quale si è risoluto ad un rigetto sulla scorta di una mera affermazione apodittica e priva di giustificazione alcuna.
D’altronde, la modalità autosufficienza di conformazione del ricorso per cassazione (in ordine alla pacifica circostanza che il contraddittorio preprocessuale non fu affatto attivato dall’Agenzia) consentirà alla Corte di risolvere anche nel merito la controversia (accogliendo l’impugnazione e dichiarando la nullità dell’accertamento) non ravvisandosi l’esigenza di accertamento di nuovi fatti, anche alla luce dell’atteggiamento silente della parte intimata.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.
ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio (preso atto della pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 24823/2015 nell’attesa della quale l’udienza di discussione era stata differita e che non adduce alcuna ragione di novità rispetto agli argomenti sviluppati a sostegno della proposta del relatore), condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto in relazione al primo motivo, con assorbimento del secondo;
che consegue da ciò l’opportunità di restituire la lite al giudice del merito, onde faccia applicazione dei principi dianzi richiamati, al fine di risolvere la controversia anche a riguardo di eventuali aspetti che in questa sede non sono valutabili;
che le spese di lite vanno regolate dal medesimo giudice del rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR Lazio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.
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