CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10806 depositata il 25 maggio 2016
IMPOSTA PUBBLICITA’ – STRISCIONE PUBBLICITARIO – ACCERTAMENTO DI SUPERFICIE SUPERIORE A QUELLA DICHIARATA – PROVA FOTOGRAFICA – VALIDITA’ – COMPUTO INTERA FIGURA GEOMETRICA DEL MANUFATTO, INCLUSA PARTE NON COPERTA DA MARCHIO O SCRITTA PUBBLICITARIA – OBBLIGO DI CONTRADDITTORIO EXTRAPROCESSUALE – ESCLUSIONE
FATTO
Con l’impugnata sentenza n. 205/44/09 depositata il 17 dicembre 2009 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia accoglieva l’appello di A. S.p.A. concessionario del Comune di Talamona (SO) per la riscossione dell’imposta di pubblicità e – in riforma della decisione n. 33/01/08 della Commissione Tributaria Provinciale di Sondrio – respingeva il ricorso della contribuente N. Sport 7 S.a.s. di P. M. G. & C. avverso l’avviso n. 000239/1 2006 con il quale venivano recuperate a tassazione “maggiori dimensioni” di uno “striscione”.
Per quanto rimasto d’interesse la CTR respingeva preliminarmente l’eccezione formulata dalla contribuente “relativa alla pretesa decadenza dell’A. di domande nuove e/o di produzione fotografica in sede d’appello, attesa la mancata costituzione in giudizio dell’attuale appellante in primo grado” spiegando che l’eccezione poteva solo riguardare l’inammissibilità della documentazione fotografica non potendo esserci alcuna domanda nuova “essendo questo il motivo stesso dell’accertamento”. La CTR ancora preliminarmente respingeva l’eccezione formulata dalla contribuente di difetto di motivazione dell’impugnato avviso, perché era “di tutta evidenza” che la rettifica della dichiarazione della contribuente era stata “per aver rilevato l’esposizione di uno striscione di superficie superiore”. La CTR sempre preliminarmente riteneva inoltre che “nessuna norma” prevedesse un obbligo di contraddittorio amministrativo. Infine nel merito la CTR statuiva che “mentre l’A. aveva fornito documentazione fotografica da cui risultano evidenti le dimensioni del manufatto pubblicitario, pur senza consentire una esatta misurazione in termini di superficie occupata, nessuna contestazione concreta era mai stata fornita per dimostrare la corrispondenza delle misure esposte con quella delle misura denunciate e sulle quali era stata pagata l’imposta, cioè per contestare nella sostanza l’accertamento” e con la conseguenza che “la difesa della contribuente non era pertanto sufficiente a far accogliere l’originario ricorso”.
Contro la sentenza della CTR, la contribuente proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il concessionario resisteva con controricorso.
DIRITTO
1. Con il primo complesso motivo di ricorso la contribuente censurava la sentenza denunciando in rubrica “Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. degli artt. 57 e 58 d.lgs. 546/1992”. A riguardo la contribuente deduceva che in violazione dell’art. 57 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 soltanto in appello il concessionario aveva eccepito sia “la misurazione (avvenuta all’insaputa della contribuente, non si sa se in loco o in base a una mera documentazione fotografica) e la relativa determinazione di imposta del manufatto accertato” e sia che “per “intera figura geometrica” era da intendersi quella non coperta da marchio o scritta pubblicitaria”. Pertanto secondo la contribuente “i chiarimenti e la documentazione introdotti dall’A. per la prima volta in appello, essendo eccezioni nuove non rilevabili d’ufficio, avrebbero dovuto essere dichiarate inammissibili ex art. 57 d.lgs. 546/1992”.
Solo in disparte deve esser osservato che la contribuente ha denunciato una violazione di legge processuale, cosicché il vizio lamentato andava più propriamente censurato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. Il motivo è comunque infondato.
La contribuente sostiene che l’appello del concessionario conteneva una “domanda nuova” in violazione dell’art. 57 d.lgs. cit., in quanto fondata su ragioni non dedotte e su documenti non prodotti davanti alla CTP a causa della contumacia di A. S.p.A. in primo grado. E che, pertanto, erroneamente la CTR non aveva dichiarato inammissibile l’appello. Sennonché, come si è avuto cura di trascrivere nella narrativa del presente, la CTR ha messo in evidenza come dalla contumacia in prime cure di A. .S.p.A. non poteva farsi derivare alcuna violazione dell’art. 57 d.lgs. n. 546 cit, atteso che la pretesa tributaria dedotta in appello era in realtà esattamente quella contenuta nel “motivo stesso dell’accertamento”. Trattasi di una ratio decidendi – quella per cui dall’identità della pretesa tributaria mai poteva farsi derivare la violazione dell’art. 57 d.lgs. n. 546 cit. – che dalla contribuente non è stata in fatto contestata atteso che l’accertamento compiuto dalla CTR circa la coincidenza tra contenuto dell’impugnato avviso e res litigiosa dedotta in appello non è stata in alcun modo criticata. E trattasi di una ratio decidendi che appare corretta in diritto, perché non può darsi violazione del divieto dei nova quando in appello non mutano l’oggetto e la causa petendi e cioè quando non mutano l’imposta e le ragioni poste a sostegno del recupero originariamente contenute nell’atto di accertamento.
Peraltro in un paio di passi della censura all’esame – passi peraltro extravaganti in quanto in parte incoerenti con la censura di violazione processuale dell’art. 57 d.lgs. n. 546 cit. – la contribuente ha espresso la considerazione che l’impugnato avviso fosse “carente nel modo più assoluto di motivazioni, stando a quanto eccepito dall’A. in sede di appello”. La censura non è chiara perché non si comprende se con la stessa si intenda eccepire la nullità dell’avviso per difetto di motivazione oppure l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 57 d.lgs. n. 546 cit., cosicché la doglianza sarebbe sotto questo profilo di per sé stessa inammissibile (Cass. sez. Il n. 3248 del 2012; Cass. sez. lav. 22797 del 2012; Cass. sez. IlI n. 7610 del 2006; Cass. sez. IlI n. 11530 del 2002). Comunque la mancata produzione dell’impugnato avviso con la conseguente violazione dell’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c. – e la mancanza riproduzione del testo dello stesso nei corpo del ricorso, con il conseguente difetto di autosufficienza in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c. – comportano ulteriori ipotesi di inammissibilità del motivo (Cass. sez. trib. n. 3427 del 2010; Cass. sez. IlI n. 7610 del 2006).
2. Con il secondo motivo dì ricorso la contribuente censurava la sentenza denunciando in rubrica “Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. dell’art. 10 d.lgs. 507/1993, dell’art. 7 I. 212/2000 e dell’art. Ili Cost. “. A riguardo la contribuente – dopo aver osservato in generale che “il principio del contraddittorio (tra cui rientra il diritto della contribuente a partecipare alla fase di misurazione delle scritte pubblicitarie) e le condizioni di parità tra le parti (tra cui rientra innegabilmente il diritto del contribuente di conoscere le risultanze delle misurazioni nonché di apporre proprie osservazioni al verbale di verifica) costituiscono principi cardine del giusto processo di cui all’art. Ili Cost.” – affermava che il concessionario “derogando da tali principi, con l’impugnato avviso aveva indicato una superficie diversa (superiore) per lo striscione temporaneo (mq. 52) rispetto a quella dichiarata dal contribuente” e che dagli artt. 10 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e 7 I. 27 luglio 2007, n. 212 sì doveva “evincere l’obbligo di allegare all’avviso di accertamento i documenti non conosciuti dal contribuente (o di trascriverne nell’atto il contenuto essenziale);”.
Il motivo è inammissibile per difetto radicale di autosufficienza in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c. In effetti non solo la contribuente non trascrive nel corpo del ricorso il testo del l’impugnato avviso, impedendo con ciò alla Corte di verificare il contenuto dello stesso e quindi la corrispondenza a quanto affermato dalla contribuente (Cass. sez. trib. n. 15138 del 2009; Cass, sez. Ili n. 7610 del 2006), ma altresì in violazione dell’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c. nemmeno deposita il documento richiamato (Cass. sez. Ili n. 3248 del 2012; Cass. sez. lav. 22797 del 2012). Inoltre, sempre in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c. neanche vengono indicati i documenti non conosciuti e non allegati che sarebbero stati richiamati nell’impugnato avviso d’accertamento (Cass. sez, III n. 5411 del 2014; Cass. sez. III n. 8569 del 2013). Ancora, non risulta che la CTR abbia pronunciato sull’eccezione di mancata allegazione e pertanto la sentenza della CTR andava semmai sul punto impugnata per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.
Va infine comunque rilevato, nel merito, che non esiste normativa ordinaria che a pena di nullità imponga di far partecipare II contribuente al sopralluogo e deve essere altresì sottolineato che l’art. IlI Cost. è posto a tutela del contraddittorio processuale e non extraprocessuale e come del resto così è anche per l’art. 24 Cost. In realtà – anche se è indubbiamente vero che nel settore tributario la più moderna tendenza legislativa è nel senso di accrescere quantitativamente la regola del preventivo contraddittorio amministrativo, come per esempio è dimostrato per gli accertamenti cosiddetti standardizzati dall’art. 10, comma 1 e 3 bis, I. 8 maggio 1998, n. 146 – deve essere rilevato che non esiste un generale obbligo positivamente sanzionato all’instaurazione del contradditorio preventivo di che trattasi. In effetti, in attualità, il preventivo contraddittorio amministrativo è piuttosto ancora confinato all’interno di una elastica indicazione dì buona prassi amministrativa ex art. 97 Cost. senza carattere immediatamente precettivo. Nemmeno una tale regola, almeno al di fuori dei tributi cosiddetti armonizzati, emerge dalla giurisprudenza comunitaria (Corte giust. UE n. 349 del 2008). E, da questo punto di vista, Cass. sez. un. n. 19668 del 2014 rimane quindi e allo stato confinata al concreto caso in cui il provvedimento attinga direttamente il contribuente e per cut in tali specifiche ipotesi occorre gioco forza recuperare uno spazio difensivo “amministrativo” anteriore a quello processuale vero e proprio (conforme, v. Cass. sez. un, 24823 del 2015).
3. Con il terzo motivo di ricorso la contribuente censurava la sentenza denunciando in rubrica “Omessa e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. A riguardo la contribuente – con riferimento alle produzioni documentali che il concessionario, contumace in primo grado, aveva fatto solo in appello – lamentava che la CTR avesse contraddittoriamente o apparentemente motivato che la documentazione fotografica depositata da A. S.p.A. “pur senza consentire una esatta misurazione in termini di superficie occupata;” costituiva però idonea prova della metratura dello striscione pubblicitario.
Il motivo è inammissibile perché non coglie l’esatta ratio deciderteli dell’impugnata sentenza, che non è stata affatto quella di ritenere fondata la misura dello striscione pubblicitario indicata nell’impugnato avviso di accertamento in ragione delle produzioni fotografiche. E bensì è stata quella diversa per cui dalla contribuente “nessuna contestazione concreta era mai stata fornita per dimostrare la corrispondenza delle misure esposte con quella delle misura denunciate e sulle quali era stata pagata l’imposta, cioè per contestare nella sostanza l’accertamento”. Cosicché – con sostanziale inversione della regola della soccombenza probatoria di cui all’art. 2697 c.c. – la CTR ha concluso nel senso che “la difesa della contribuente non era pertanto sufficiente a far accogliere l’originario ricorso” (Cass. sez. Ili n. 10864 dei 2012; Cass. sez. trib. n. 23946 del 2011).
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo con distrazione a favore del difensore che ne ha fatto richiesta.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla resistente le spese processuali che si liquidano in € 892,00 a titolo di compenso, oltre a spese forfetarie e ad accessori di legge, con distrazione a favore del difensore che ne fatto richiesta.
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