CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 17669 depositata il 6 settembre 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – DIPENDENTE POSTALE – CONTRATTO A TERMINE – NULLITA’ – SUSSISTENZA DI UN RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio.
2. La Corte di appello di Bari, confermata la decisione del primo giudice che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato, stipulato dall’attuale parte intimata con P.I. s.p.a., nel periodo 2 ottobre 2000-31 gennaio 2001, ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26/11/94 e dei successivi accordi integrativi, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso in parziale accoglimento del gravame, in applicazione dell’art. 32, comma 5, L. n. 183 del 2010, condanna la società alla corresponsione di una somma pari a 3 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita.
3. Avverso questa sentenza P.I. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui la lavoratrice ha resistito con controricorso.
4. I motivi proposti dalla società concernono: violazione degli artt. 1372, co. 1°, 1175, 1375, 1427, 1431, 2697 c.c.e 100 c.p.c. (art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c.), avendo il giudice del gravame rigettato l’eccezione di definitivo scioglimento del rapporto per tacito mutuo consenso dei contraenti senza valorizzare la prolungata inerzia tenuta dal lavoratore a fronte della quale quest’ultimo avrebbe dovuto provare il permanere di un suo interesse alla instaurazione del rapporto (primo motivo); violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 8 del c.c.n.l. 26/11/94 e dell’accordo integrativo 25/9/97, nonché degli accordi successivi 16/1/98, 27/4/98, 2/7/98, 24/5/99 e 18/1/01, in connessione con l’art. 1362 cod. civ. (secondo motivo); omesso esame di un fatto decisivo quanto alla volontà collettiva di fissare il termine finale di efficacia dell’accordo integrativo del 1997 (terzo motivo).
5. Il primo motivo è manifestamente infondato.
6. Questa Corte ha più volte affermato che: “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v., ex multis, Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché più di recente, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932).
7. La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è “insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. Cass. 15- 11- 2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre, Cass. 1-2-2010 n. 2279).
8. Si aggiunga che, come precisato da Cass. 12 aprile 2012, n. 5782, “quanto al decorso del tempo, si tratta di dato di per sé neutro, come sopra chiarito (per un’ipotesi analoga a quella oggi in esame, v., da ultimo, Cass. n. 16287/2011).
9. In ordine, poi, alla percezione del T.F.R,, questa S.C. ha più volte avuto modo di rilevare che non sono indicative di un intento risolutorio né l’accettazione del t.f.r. né la mancata offerta della prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine (cfr., Cass., n. 15628/2001, in motivazione).
10. Lo stesso dicasi della condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni (cfr. Cass. n. 839/2010, in motivazione, nonché, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005, in motivazione)”.
11. In ogni caso, la valutazione del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative di una consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.
12. Orbene, nel caso in esame, la Corte di appello ha respinto l’eccezione di scioglimento del vincolo contrattuale sul rilievo che fosse mancata ogni allegazione e prova di condotte concludenti utili a rappresentare la disaffezione della lavoratrice (tali non potendo ritenersi l’accettazione senza riserve del t.f.r. e il ritiro del libretto di lavoro all’atto della cessazione del rapporto), essendo rimasta detta eccezione meramente fondata sul decorso del tempo (che non è di per sé espressione di una tacita rinuncia a coltivare il diritto a far accertare l’illegittimità del termine apposto al contratto).
13. Trattasi di considerazioni di merito corrette sul piano giuridico e congruamente motivate, come tali non censurabili sul piano logico.
14. Anche le censure svolte con gli altri due mezzi sono destituite di fondamento alla luce della giurisprudenza costante della Cassazione, la quale ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, nonché dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. Cass. Sez, Un. 2 marzo 2006, n. 4588).
15. Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25/9/97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici che, con riferimento al distinto accordo attuativo, sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo del 16/1/98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31/1/98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30/4/98), della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo.
16. Consegue che, per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione, l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo e che l’esistenza di dette esigenze costituisse presupposto essenziale della pattuizione negoziale; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo.
17. In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31/1/98 e successivamente al 30/4/98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto scada in data non successiva al 30/4/98 (v., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006, n. 18378).
18. Nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, correttamente si è ritenuto irrilevante l’accordo 18/1/01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.
19. Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25/9/97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula juris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004, n. 5141).
20. In conclusione il ricorso dev’essere respinto.
21. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
22. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del d.P.R. n. 115/2002, art. 13, comma 1 – quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228/2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi).
23. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da rigettarsi integralmente, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità. Liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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