Corte di Cassazione sentenza n. 30963 depositata il 27 dicembre 2017
Con la presente sentenza la Corte Suprema ha statuito che il condòmino non ha diritto ad alcun risarcimento qualora conosceva (o avrebbe dovuto conoscere) lo stato dei luoghi, in quanto in tali casi si integrano gli estremi del «caso fortuito», che esclude la responsabilità del custode (articolo 2051 del Codice civile), la disattenzione della condòmina danneggiata da una caduta sulle scale.
Rilevato che:
AS conveniva in giudizio il Condominio via – omissis – per sentirlo condannare al pagamento dell’importo di 25.000,00, o nella misura ritenuta di giustizia, a titolo di risarcimento danni per l’infortunio occorsole in data 23 novembre 2003. Sosteneva, più in particolare, che, mentre si accingeva a scendere la rampa di scale esterna per uscire dal Condominio, a causa della chiusura improvvisa e repentina del pesante portone d’ingresso con apertura a molla situato a ridosso del primo gradino del vestibolo dell’edificio, veniva sospinta bruscamente in avanti.
A seguito di ciò, cadeva lungo la predetta rampa di scala procurandosi gravi lesioni personali. Riconduceva la responsabilità dell’accaduto al convenuto condominio per non aver posto rimedio ad una situazione di pericolo dovuto ai difetti progettuali e strutturali dell’edificio. Radicatosi il contraddittorio, il Condominio resisteva alla domanda proposta. Ti Tribunale di Roma con sentenza numero 12183/09, ravvisando la responsabilità del convenuto Condominio ex art. 2051 c.c., condannava quest’ultimo a pagare a titolo risarcitorio l’importo di 104.912,69 oltre spese del giudizio liquidate in 3.000,00. Avverso la predetta pronuncia la AS spiegava appello parziale lamentando la mancata condanna del Condominio al risarcimento del danno morale e delle spese mediche documentate ammontanti ad € 10.130,37.
Il Condominio si costituiva in giudizio proponendo appello incidentale e chiedendo l’integrale riforma della sentenza con conseguente rigetto della domanda proposta e condanna dell’attrice alla restituzione dell’importo incassato in esecuzione della predetta sentenza.
La Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 5368 del 12 settembre 2016, respingeva l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, riformava la sentenza del Tribunale di Roma, condannando AS a restituire le somme incassate in esecuzione della sentenza di primo grado.Secondo i Giudici del gravame la condotta della AS era stata tale da integrare una serie causale autonoma successiva alla situazione di pericolo idonea ad interrompere il nostro causale tra la res e il damnum”.
Avverso tale pronunzia AS propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso il Condominio via S. Erasmo. Le parti hanno depositato memoria. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio con le seguenti precisazioni, di condividere le conclusioni cui perviene la detta proposta.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli art. 2051, 1227, 2697 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.. Censura la sentenza deducendo che il giudice del merito pur ritenendo provato che l’incidente sia dipeso dalle caratteristiche del portone ha poi ritenuto che la ricorrente avrebbe potuto prevedere e scongiurare la caduta tenendo un comportamento cauto in quanto conosceva lo stato dei luoghi.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 132, 112 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.. Denuncia la contraddittorietà della sentenza impugnata dove prima afferma che essendo l’incidente dipeso dalle caratteristiche costruttive del portone [•••] e poi afferma che avrebbe potuto prevedere e scongiurare la caduta con un comportamento cauto.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
La corte territoriale ha ritenuto che la AS fosse a conoscenza della particolare posizione e meccanismo di chiusura del portone, essendo la stessa una condomina che abitava nello stabile da tempo e che ben avrebbe potuto prevedere e scongiurare la caduta con un comportamento ordinariamente cauto, evitando di soffermarsi sulla piattaforma di distribuzione delle scale mentre il portone si richiudeva […].
Pertanto il giudice del merito nel sussumere la fattispecie concreta per come ricostruita sotto la norma del caso fortuito, nella specie rappresentata dalla mancanza della dovuta attenzione della danneggiata, ha compiuto un’operazione di sussunzione corretta, il che esclude che vi sia stata falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e delle altre norme invocate. Difatti, il procedimento di sussunzione della corte di merito è fondato perché ha ritenuto che in una situazione di fatto come quella di cui si discute (particolare meccanismo di chiusura del portone), in mancanza della dimostrazione della sopravvenienza di una situazione ulteriore, la condomina che soffre un danno per la chiusura della porta, lo subisce per una sua disattenzione, dato che si trovava nella condizione di conoscere il funzionamento della porta.
Per quanto riguarda in particolare il secondo motivo, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, come appunto nel caso di specie. Quanto, in particolare, alla dedotta violazione degli artt. 115 C.P.C. valgono, inoltre, le seguenti considerazioni.
La violazione dell’art. 115 C.P.C. può essere imputata al giudice del merito sotto due distinti profili: da un lato, ove, nell’esercizio del suo potere discrezionale quanto alla scelta ed alla valutazione degli elementi probatori – donde la mancanza d’uno specifico dovere d’esame di tutte le risultanze e di confutazione dettagliata delle singole argomentazioni svolte dalle parti, del che meglio in seguito – ometta tuttavia di valutare quelle risultanze delle quali la parte abbia espressamente dedotto la decisività, salvo ad escluderne la rilevanza in concreto indicando, sia pure succintamente, le ragioni del suo convincimento, il difetto della quale indicazione ridonda, peraltro, in vizio della motivazione; dall’altro, ove, in contrasto con i principi della disponibilità e del contraddittorio delle parti sulle prove, ponga a base della decisione o fatti ai quali erroneamente attribuisca il carattere della notorietà o la propria scienza personale, così dando ingresso a prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati ne’ discussi ai quali non può essere riconosciuto, in legittima deroga ai richiamati principi, il carattere dell’universalità della conoscenza e, quindi, dell’autonoma sussumibilità nel materiale probatorio utilizzabile ai fini della decisione.
È, dunque, solo l’esorbitanza da tali limiti ad essere suscettibile di sindacato in sede di legittimità per violazione dell’art. 115 C.P.C., sindacato che, con riferimento a tale norma, non può essere, invece, esteso all’apprezzamento espresso dal giudice del merito in esito alla valutazione delle prove ritualmente acquisite. A tal fine va osservato che è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, lo sono anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua giustificazione del criterio adottato; conseguentemente, ai fini d’una decisione conforme al disposto dell’art. 132 n. 4 C.P.C., il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, ne’ a confutare singolarmente le argomentazioni prospettategli dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi onde pervenire alle assunte conclusioni, per implicito disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata. Pertanto, vizi motivazionali in tema di valutazione delle risultanze istruttorie non possono essere utilmente dedotti ove la censura si limiti alla contestazione d’una valutazione delle prove effettuata in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché proprio a norma dell’art. 116/1^ C.P.C. rientra nel potere discrezionale del giudice di merito l’individuare le fonti del proprio convincimento, il valutare all’uopo le prove, il controllarne l’attendibilità e la concludenza e lo scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti. Come, appunto, ha fatto nel caso di specie.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
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