CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 4883 depositata il 11 marzo 2016
TRIBUTI – IRPEF – ACCERTAMENTO – REDDITO DA PARTECIPAZIONE DERIVANTE DA ACCERTAMENTO SULLA SOCIETA’ – PREGRESSA PRONUNCIA DI ANNULLAMENTO ADOTTATA DALLA MEDESIMA CTR DEL PROVVEDIMENTO EMESSO NEI CONFRONTI DELLA SOCIETA’ – CONSEGUENTE ANNULLAMENTO DELL’ATTO DI ACCERTAMENTO DEL SOCIO – ESCLUSIONE
Osserva
La CTR di Roma ha respinto sia l’appello principale di C.C. che l’appello incidentale dell’Agenzia – appelli proposti contro la sentenza n. 351/10/2009 della CTP di Frosinone che aveva solo parzialmente accolto il ricorso di C.C., confermando il solo recupero di € 32.779,00 relativo a “redditi diversi” – ed ha così parzialmente annullato l’avviso di accertamento per IRPEF per l’anno 2002 a mezzo del quale era stato recuperato a tassazione, oltre ai menzionati “redditi diversi”, anche reddito di partecipazione nella “E. sas” (della quale la C. risultava essere stata socia con quota di partecipazione del 50% e che era stata sciolta senza liquidazione in data 21.5.2002) in virtù del previo accertamento di maggiori redditi imputabili alla società – che non aveva presentato alcuna dichiarazione per l’anno in questione, così come nessuna dichiarazione era stata presentata dalla C. – società a carico della quale era stata effettuata un’indagine sostanzialmente centrata sui riscontri desunti da conti correnti intestati a terzi (tra i quali, peculiarmente, tale C.D., a cui l’altra socia D.F.S. aveva attribuito la qualità di “amministratore di fatto” della menzionata società) e le cui movimentazioni si supponevano riferite all’attività della società medesima.
La predetta CTR – dato atto che la Commissione di primo grado aveva accolto il ricorso, limitatamente al reddito da partecipazione, sul presupposto che nella medesima udienza era stato anche accolto il ricorso della società contro l’avviso di accertamento a quest’ultima relativo, avviso che era stato peraltro impugnato anche dalla C. – ha motivato la decisione di rigetto dell’appello incidentale sia per la condivisione delle ragioni su cui era fondata la decisione di primo grado, sia in considerazione del fatto che la CTR aveva, nella medesima udienza, annullato l’avviso di accertamento emesso per il medesimo anno nei confronti della società e da cui era scaturito il reddito da partecipazione. Quanto all’appello principale, invece, il rigetto era argomentato per il fatto che – trattandosi di redditi realizzati con la cessione a titolo oneroso di quote di partecipazione “per un importo corrispondente e costituente, in effetti, ai sensi dell’art. 67 comma 1 lett. c) “redditi diversi” da assoggettare a tassazione” su cui non risultava assolta alcuna imposta,- “l’affermazione della ricorrente non risulta che sia stata idoneamente documentata”.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo.
La contribuente si è difesa con controricorso e ricorso incidentale affidato ad unico motivo.
Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.
Infatti, con il motivo unico di impugnazione principale (centrato sulla violazione dell’art. 2909 cod. civ.) la parte ricorrente -dopo avere ripetutamente trascritto la motivazione della sentenza impugnata- si è doluta del fatto che la CTR abbia rigettato l’appello “sulla base del semplice presupposto di avere già la stessa commissione annullato l’avviso di accertamento nei confronti della società di persone”, ciò che avrebbe potuto “solo fare seguito ad un annullamento dell’atto presupposto (quale era l’avviso di accertamento nei confronti della società) e non certo a seguito di una pronuncia ….ancora suscettibile di impugnazione”.
Il motivo appare manifestamente infondato e da disattendersi, dovendosi preliminarmente dare atto del fatto che la parallela trattazione delle cause nei gradi di merito -innanzi al medesimo collegio, sempre composto allo stesso modo- ha adeguatamente supplito alla riunione delle cause al fine della costituzione del necessario contraddittorio tra le parti (sulla legittimità di tale metodo surrogatorio si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3830 del 18/02/2010). Benvero, nella specie qui concretamente in esame l’atto di accertamento relativo alla società non ha affatto la natura di “atto presupposto” rispetto all’accertamento relativo al socio, atteso che i provvedimenti che scaturiscono dall’accertamento del reddito prodotto dalle società di persone -se anche separatamente adottati a riguardo dell’ente societario e delle persone fisiche dei soci- non hanno alcuna correlazione logica di pregiudizialità l’un con l’altro, ma al contrario derivano da un unico presupposto unitario (in termini Cass. Sez. U, Sentenza n. 14815 del 04/06/2008 secondo la quale “si è in presenza di un rapporto giuridico plurisoggettivo sul versante passivo, ma sostanzialmente unico”), sicché la pronuncia -per evenienza- separatamente adottata, per regolare un aspetto di detto “rapporto plurisoggettivo”, non potrebbe assumere valenza di giudicato a riguardo di altri aspetti, non essendoci pregiudizialità logica nei rapporti intercorrenti tra i distinti provvedimenti.
Ed infatti il giudice del merito -nel rilevare di avere già provveduto a riguardo del parallelo procedimento concernente l’impugnazione del provvedimento relativo alla società – non ha affatto dato per presupposto l’esistenza di un vincolo di pregiudizialità e neppure di un giudicato astringente, limitandosi a considerare (inter alia) di avere già provveduto a riguardo di ciò che si è detto. La locuzione con cui comincia la frase della sentenza impugnata contro cui la parte ricorrente esclusivamente si appunta (“tanto premesso,….”) non può che essere intesa nel senso che il giudicante ha dato principale rilievo agli altri, precedenti, argomenti (e cioè la condivisione degli argomenti in ragione dei quali era stata adottata la pronuncia della Commissione Provinciale), nel mentre il rilievo circa la già adottata pronuncia a riguardo del provvedimento relativo alla società deve intendersi -per il senso letterale e logico delle parole utilizzate a tale proposito- un ulteriore elemento di convincimento.
Venendo poi al ricorso incidentale (con il quale la parte controricorrente impugna il capo della decisione di appello che concerne i “redditi diversi” e lamenta violazione dell’art.81 del DPR n.917/1986 nonché omessa motivazione sul contenuto di documenti), con esso la parte ricorrente evidenzia la violazione del menzionato art.81 (sulla premessa che detti redditi si riferiscono alla cessione con plurime operazioni della partecipazione posseduta nella società “L.B.”, cessioni avvenute al valore nominale) per il fatto che le cessioni non avevano prodotto redditi del genere di quelli considerati dal menzionato art.81, il quale considera appunto le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso, plusvalenze che nella vicenda in questione non si erano realizzate. A tal riguardo erano stati depositati in giudizio gli atti di cessione da cui si sarebbe dovuto desumere che il valore di cessione corrisponde esattamente al valore nominale delle quote possedute, documenti dei quali la CTR aveva omesso ogni esame.
Il motivo di impugnazione (per entrambi i profili promiscuamente formulati, per quanto se ne possa fare autonoma considerazione) non può essere accolto.
Quanto al profilo concernente l’omesso esame, per il fatto che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), nel mentre la parte ricorrente si duole appunto di semplice omissione delle risultanze documentali prodotte in giudizio, potendosi desumere dalla stessa motivazione della pronuncia che il giudicante non ha obliterato l’aspetto della censura di appello nella quale la parte contribuente aveva evidenziato che la cessione era avvenuta “al valore nominale”.
Quanto al profilo concernente la violazione di legge, esso non tiene conto della concreta ratio decidendi alla quale il giudicante ha improntato la propria determinazione e cioè il rilievo che il ricorrente non aveva presentato alcuna dichiarazione, così non risultando assolta alcuna imposta.
In difetto di censura su questo dato logico preliminare, la valutazione del fatto prospettata nel presente giudizio in ordine alla valutazione delle cessioni “al valore nominale” appare preclusa anche in termini di valorizzazione dell’astratta violazione di legge, non essendovi luogo a considerare il merito del criterio di imposizione in difetto del presupposto dell’avvenuta dichiarazione del reddito.
Pertanto, si ritiene che il ricorso principale ed il ricorso incidentale possano essere decisi in camera di consiglio per manifesta infondatezza,
Roma, 30 aprile 2015
ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie; che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione a riguardo della proposta relativa al ricorso incidentale (che è perciò da rigettarsi) ma non anche di quelli a riguardo del ricorso principale. Con quest’ultimo infatti l’Agenzia correttamente censura la pronuncia di merito per violazione dell’art. 2909 cod civ e per avere l’anzidetta pronuncia rigettato l’appello incidentale dell’ufficio (afferente il capo relativo al reddito di partecipazione nella società di persone) in ragione dell’erroneo presupposto che facesse stato la pregressa pronuncia di annullamento adottata dalla medesima CTR a riguardo dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della “E. sas”. Pur avendo la CTR dato conto della sua condivisione “delle argomentazioni dei giudici di primo grado”, le determinazioni della stessa CTR sono in realtà focalizzate sul rilievo del già avvenuto annullamento dell’avviso di accertamento “dal quale è scaturito l’accertato reddito di partecipazione”, sicché il giudicante si è ritenuto astretto a provvedere in coerenza con tale annullamento, siccome è confermato dall’utilizzo del termine “deve” che è suggestivo -appunto- della natura necessitata della pronuncia. Senonchè, non è chi non veda che una tale ratio decidendi è appunto erronea proprio per il fatto che -non essendo passata in giudicato la pronuncia valorizzata- essa non poteva in nessun caso fare stato nei riguardi della C., prima ancora ed indipendentemente dal fatto che la pronuncia medesima non avesse alcuna relazione di pregiudizialità rispetto a quella da adottarsi a riguardo della presente vicenda processuale. E pertanto, il ricorso principale va accolto, con conseguente rimessione della lite al giudice del merito, ai soli fini del riesame delle questioni che sono state fatte oggetto di gravame incidentale da parte dell’Agenzia in sede di appello;
che le spese di lite di questo giudizio posso essere regolate dal giudice del rinvio a riguardo dell’intera controversia, dovendosi qui provvedere alla sola rilevazione dei presupposti di applicazione per il versamento dell’ulteriore importo di contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale. Cassa la decisione impugnata in relazione a quanto accolto e rinvia alla CTR Lazio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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