CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 5925 depositata il 24 marzo 2016
FALLIMENTO – DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO – SENTENZA DICHIARATIVA – OPPOSIZIONE – APPELLO – RICORSO PER CASSAZIONE – SENTENZA DI FALLIMENTO DEPOSITATA IN DATA ANTECEDENTE ALL’ENTRATA IN VIGORE DEL D.LGS. N. 169 DEL 2007 – TERMINE PER L’IMPUGNAZIONE DELLA SENTENZA D’APPELLO DEPOSITATA IN DATA SUCCESSIVA – ART. 18 L.FALL. NOVELLATO – APPLICABILITÀ – FONDAMENTO
IL PROCESSO
M.G., in proprio, quale unico socio delle due s.n.c. C. costruzioni di M.G. & c. e C. s.n.c. di M.G. & c., nonche’ titolare di omonima impresa individuale, impugna la sentenza App. L’Aquila 11.6.2010 n. 465/10 con cui veniva rigettato il suo appello avverso la sentenza Trib. Pescara 6.12.2004 a sua volta reiettiva, previa riunione, delle tre opposizioni dispiegate contro le sentenze Trib. Pescara nn. 19, 20 e 21 del 2001, emesse il 21.3.2001, dichiarative del proprio fallimento e di quello delle predette societa’, pronunciate su istanza dei creditori S.J.B s.n.c., D.P.D., S. & B. J. s.n.c. e C.A., D.V.C. di D. V.
Ritenne la corte d’appello di respingere i molteplici gravami quanto alle contestazioni relative a: l’incompatibilita’ di un giudice del collegio giudicante, per difetto di una causa di incompatibilita’ e comunque di tempestiva ricusazione; la competenza per territorio del Tribunale di Pescara, corretta a scapito di quella di Catanzaro, nonostante in un comune del secondo circondario fossero state trasferite le sedi delle societa’ e del M., stante l’equivoco trasferimento ai sensi della L. Fall., art. 9 dopo le istanze di fallimento e la sua ineffettivita’; la natura di piccolo imprenditore di ciascun fallito, smentita dalla rispettiva attivita’, dal volume d’affari, dalla prevalenza dell’organizzazione dei mezzi impiegati, dalla misura notevole del debito; l’insolvenza, asseverata da una complessiva incapacita’ di pagare, oltre che da sintomi di sofferenza solutoria, quali protesti, pignoramenti e azioni di recupero dei crediti; il fallimento d’ufficio, non evocabile ai sensi della L. Fall., art. 6 regione temporis vigente, tenuto conto che a prime desistenze seguirono altre istanze di fallimento, poi accolte e dunque senza vincolo per il precedente provvedimento di mera presa d’atto delle rinunce ai primi ricorsi; la cessazione dell’attivita’ nell’anno, posto che la cancellazione dal registro delle imprese fu effettuata per causa di trasferimento e non per cessata attivita’, peraltro provatamente continuata; la connessione tra le opposizioni, permessa dalla coincidenza di M. con la residua base sociale delle due s.n.c., ma senza alcuna unificazione in un solo soggetto da parte del tribunale in sede dichiarativa dei fallimenti, rimasti distinti e sorretti da autonomi presupposti.
Il ricorso e’ affidato a diciotto motivi. Ad esso resistono con controricorso la curatela dei fallimenti di M. e delle due s.n.c., nonche’ i creditori gia’ istanti C. e D. P.. Il ricorrente ha depositato memoria, al pari del Fallimento. Il ricorrente ha depositato osservazioni ex art. 379 c.p.c. dopo le conclusioni assunte dal Procuratore generale.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Con i plurimi motivi, qui riassunti in via consecutiva e per questioni aggregate, stante la loro redazione mediante numerazioni progressive secondo indici diversi, nonche’ la costante sovraordinazione dei vizi di motivazione con le violazioni di legge e processuali il ricorrente ha dedotto: la mancata considerazione della distinzione soggettiva fra le due societa’ e il M.; l’errata determinazione delle spese processuali in favore delle tre curatele; l’incompatibilita’ di un giudice a comporre il collegio giudicante, per aver deliberato le sentenze di fallimento di primo grado; l’errata omessa disamina di documenti acquisiti dopo il giudizio di primo grado e pero’ indispensabili; l’omessa disamina delle relazioni del curatore L. Fall., ex art. 33 in punto di natura artigiana e sede dei falliti e delle denunce IVA; l’erroneita’ della autorizzazione del giudice delegato e l’omessa autorizzazione del comitato dei creditori alla costituzione in giudizio delle tre curatele; la mancata disamina degli atti del processo penale da cui era risultato che gli istanti erano privi della qualita’ di creditori per chiedere il fallimento; l’erroneita’ della liquidazione immobiliare perseguita dal curatore fallimentare, quanto a beni che in realta’ avrebbero permesso di soddisfare tutti i creditori; il mancato esame di rilevanti crediti verso terzi; gli errori nelle autorizzazioni a stare in giudizio delle curatele e nelle liquidazioni dei rispettivi legali; gli illeciti compiuti dal legale della curatela nel corso del giudizio civile; la violazione del diritto di difesa nel giudizio di opposizione e la sua fase finale; la violazione della competenza territoriale; la pretermessa natura artigiana delle imprese dichiarate fallite; l’inesistenza dello stato d’insolvenza; l’illegittima dichiarazione solo d’ufficio del fallimento reso, per via del mero rinvio per relationem alla sentenza di primo grado, con omesso apprezzamento di documenti decisivi che avrebbero dimostrato la cessazione delle imprese stesse, cancellate dal registro. Il ricorso e’ inammissibile. Rileva il Collegio che l’intervallo temporale tra la notifica della sentenza App. L’Aquila 7.6.2010, riconosciuta come per avvenuta – nelle forme della notifica di cancelleria – il successivo 16.6.2010 e l’inoltro del ricorso per cassazione, notificato con adempimento iniziato solo il 13.8.2010, confligge con il principio per cui nei procedimenti per la dichiarazione di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore della riforma di cui al D.Lgs. n. 169 del 2007, le disposizioni della normativa riformata trovano applicazione immediata, ai sensi dell’art. 22 cit. D.Lgs., sia in senso stretto per la fase prefallimentare che si conclude con la sentenza di fallimento, sia per quest’ultima e per tutte le successive fasi di impugnazione, ivi compreso il ricorso per cassazione, com’e’ anche nella specie, nonche’ i rispettivi regimi impugnatori; ne consegue che, ai fini della proposizione del ricorso per cassazione in data successiva al 31 dicembre 2007, trova applicazione il termine di trenta giorni previsto dalla L. Fall., art. 18, comma 14 (Cass. 6705/2010, 16814/2010). Cosi’, e’ stato specificato – sulla scia di Cass. 7471/08 – che, aprendosi con la sentenza dichiarativa di fallimento una nuova fase del processo concorsuale, il provvedimento deve rispettare nella forma e nel contenuto il novellato disposto della L. Fall., art. 16, e parimenti la sua impugnazione, introducendo un giudizio nuovo rispetto alla fase prefallimentare ormai definita, va proposta nella forma e secondo la disciplina riformata, costituendo la sentenza di fallimento il discrimen tra due regimi normativi (Cass. 20551/2009). Pari decisione e’ stata resa anche nella valutazione del termine, ritenuto di 30 giorni, per il ricorso per cassazione avverso sentenza della corte d’appello depositata – come nella fattispecie ora all’esame della Corte – nel 2010 e conseguente (in quel caso) alla riassunzione dopo cassazione con rinvio, in tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento gia’ emessa prima del 2006 e poi oggetto di decisione su opposizione L. Fall., ex art. 18 previgente (Cass. 17272/2014 e 17273/2014).
In tali ultimi arresti, e’ stato precisato che la nuova normativa introdotta dal D.Lgs. n. 169 del 2007 trova immediata applicazione nei confronti di tutti i processi – rectius, avendo riguardo alle sentenze – aventi ad oggetto la dichiarazione di fallimento, sia che gli stessi si trovino nella fase prefallimentare e sia che versino in sede o fase di impugnazione. Quanto all’applicabilita’ della normativa in questione va percio’ affermato che nessun rilievo riveste la circostanza che anche la sentenza dichiarativa di fallimento sia stata pronunciata prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006 e nemmeno, nel caso di ricorso per cassazione, che la sentenza impugnata sia stata emanata ovvero, si aggiunge, trattata parzialmente nei giudizi impugnatori che l’hanno seguita o preceduta, secondo il regime previsto dalla normativa antecedente alla riforma del 2006-2007. Il D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 22 da’ infatti piena applicazione al principio tempus regit actum vigente in materia processuale, per cui la normativa sopravvenuta, anche quando attinente al regime delle impugnazioni, trova piena applicazione nei processi in corso.
Va infine ricordato che, per l’impugnazione delle sentenze, essa deve essere governata secondo la norma processuale vigente al momento del suo deposito: la Corte gia’ infatti ha avuto modo di affermare che “la fattispecie generatrice del potere d’impugnare e’ costituita dalla sentenza la cui forza giuridica, alla quale l’effetto dell’impugnabilita’ deve essere ricondotto, e’ segnata dal momento in cui essa assume giuridica esistenza e resta fissata in tale momento” (Cass. 12218/2013, Cass. s.u. 27172/2006).
Nella vicenda la notifica della sentenza impugnata e’ pacificamente avvenuta dopo il 1 gennaio 2008 e dunque ad essa si applica il nuovo termine di 30 giorni, circostanza da cui discende la tardivita’ del ricorso per cassazione, senza ulteriore necessita’ di esame dei motivi.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente alle spese del procedimento di legittimita’, liquidate secondo il criterio della soccombenza e come meglio da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nei confronti dei controricorrenti, liquidando le stesse, per ciascuno di questi, in Euro 7.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario del 15% sui compensi e gli accessori di legge.
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