CORTE di CASSAZIONE Sezioni Unite sentenza n. 12183 del 12 giugno 2015
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO – AVVOCATO – RAPPORTO PROFESSIONALE – DEONTOLOGIA PROFESSIONALE – RAPPORTO DI MANDATO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con esposto in data 12/05/2006, depositato presso il Consiglio dell’Ordine di Bologna, Z.P. lamentava alcuni comportamenti tenuti dall’avv. M.R. successivamente trasfusi nei seguenti capi di incolpazione da parte del C.O.A. territoriale: (“omissis”) 1b) avere violato il dovere di segretezza e riservatezza (art. 9 cdf) poichè, dopo aver assunto la difesa della signora Mi.A., moglie dell’esponente dr. Z.P., ha diffuso informazioni pregiudizievoli su quest’ultimo delle quali era venuta a conoscenza nell’ambito di rapporti di amicizia e di frequentazioni familiari; 1c) avere violato i doveri di lealtà e correttezza (art. 6 cdf), in particolare con riguardo ai rapporti con i testimoni (art. 52 cdf), avendo preso contatti telefonici con alcuni dipendenti dell’esponente dr. Z.P., informandoli che li avrebbe citati come testimoni nell’ambito del giudizio di separazione personale di questi dalla signora M.A., assistita dall’incolpata, al fine di dimostrare eventuali irregolarità contabili nella gestione della Farmacia di cui lo stesso Z. era titolare e presso la quale gli stessi erano impiegati; 1d) avere violato il divieto di cui all’art. 51 cdf, avendo assunto incarico professionale contro l’esponente dr. Z.P. nonostante, nei due anni precedenti, avesse assunto incarichi e svolto attività professionale a favore e nell’interesse dello stesso esponente. In Bologna, fino al mese di maggio 2006.
Con diverso e separato esposto, in data 12/07/2007, depositato presso il Consiglio dell’Ordine di Bologna, P.M. e P. F. lamentavano alcuni comportamenti tenuti dall’avv. M. R. successivamente trasfusi nei seguenti capi di incolpazione da parte del CO.A. territoriale: 2a) avere violato i doveri di lealtà e correttezza (art. 6 cdf) e il divieto di impugnazione della transazione raggiunta con il collega (art. 32 cdf) perchè, dopo aver partecipato, in collaborazione con il collega di controparte, alla formulazione e redazione della scrittura transattiva in data 16.5.2003, fra i signori P.F., Ma.Au., Ma.Gi. e N.L., e avere anche raccolto la firma di sottoscrizione dei propri clienti, successivamente, nel corso di giudizio civile, in qualità di legale di una delle parti che aveva partecipato alla sottoscrizione della scrittura transattiva la disconosceva e la contestava; 2b) avere violato i doveri di probità dignità e decoro (art. 5 cdf), correttezza (art. 6 cdf), e il divieto di espressioni sconvenienti ed offensive (art. 20 cdf), per aver utilizzato nei confronti dell’esponente signor P. M. espressioni offensive, oggetto di condanna ex art. 595 c.p., con sentenza n. 14/2007 del GdP di Urbino, confermata in sede di appello dal Tribunale di Urbino con sentenza n. 363/07, in quanto ritenute ingiuriose e diffamatorie, del seguente tenore testuale; 2c) avere violato l’art. 20 cdf in quanto, in un fax trasmesso all’avv. B.P. di Pesaro in data 16.3.2005, ha usato nei confronti dell’esponente, frasi sconvenienti ed offensive del seguente tenore (omissis).
All’esito del procedimento disciplinare il C.O.A. di Bologna, con decisione del 23.11.2009 depositata in data 18.4.2011 e notificata al difensore dell’incolpata, in data 8.6.2011, giudicava l’incolpata colpevole dei capi di incolpazione di cui ai punti 1 c) e 1 d), ritenendo assorbito il capo 1 b), nonchè dei capi 2 a) e 2 b) ritenendo assorbito il capo 2c) ed applicava la sanzione disciplinare di mesi quattro di sospensione dall’esercizio della professione forense.
Avverso tale decisione l’avv. M. proponeva impugnativa innanzi al Consiglio Nazionale Forense che accoglieva parzialmente il ricorso con la sentenza n. 133 del 2014, rigettando le censure relative alla violazione degli artt. 51, 52 e 32 cdf e accogliendo quelle relative ai capi di imputazione nn. 2b) e 2c), e applicando, conseguentemente, la minor sanzione della censura.
Avverso la detta sentenza ricorre ora per cassazione l’avv.to M. R. sulla base di tre motivi.
Il Consiglio dell’Ordine non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si contesta l’errata applicazione dell’art. 52 cdf.
Sostiene la ricorrente che le signore D.S. e G. non avevano assunto la qualità di testi al momento in cui aveva avuto contatto con esse e che, comunque, con le telefonate contestate non era stata effettuata alcuna suggestione o forzatura al fine di conseguire delle deposizioni compiacenti, come risulta dalle deposizioni rese in giudizio dalle persone dianzi indicate, contrariamente a quanto erroneamente valutato dai giudici di merito.
Il motivo appare inammissibile prima ancora che infondato.
Questa Corte ha già ritenuto che mentre è consentito al difensore, ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 33, come integrato dal codice deontologico approvato dal consiglio nazionale forense il 14 aprile 1997, di rivolgere alla controparte l’intimazione a tenere particolari adempimenti sotto comminatoria di azioni, denunce o altre sanzioni purchè non sproporzionate o vessatorie, analoghi comportamenti non possono essere tenuti con i testimoni. L’art. 52 del codice deontologico, infatti, vieta all’avvocato di intrattenersi con i testimoni sulle circostanze oggetto del procedimento con forzature o suggestioni dirette a conseguire deposizioni compiacenti, a tutela della corretta amministrazione della giustizia, che potrebbe essere messa in pericolo da avvertimenti e pressioni (Cass. 1135/00).
Nel caso di specie il CNF ha accertato che prima dell’inizio della causa di separazione della propria cliente la ricorrente aveva telefonato ad alcune possibili testimoni informandole che sarebbero state citate in tribunale per testimoniare e che, in caso di mancata comparizione, sarebbero state accompagnate dai carabinieri e che,inoltre, le stesse (come dalle medesime testimoni riferito) avrebbero dovuto riferire circa presunte violazioni fiscali nella gestione della farmacia.
La ricorrente contesta siffatto accertamento sostenendo che le parti contattate non avevano poi deposto in giudizio e che,comunque, i giudici di merito avrebbero interpretato in modo incompleto ed omissivo le dichiarazioni rese dalle testi G. e D.S. che vengono riportate nel ricorso.
E’ giurisprudenza nota di questa Corte (riportata anche nel ricorso) quella secondo cui le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono soggette all’obbligo di motivazione sancito per ogni provvedimento giurisdizionale dall’art. 111, comma 6, Cost., e, pertanto, il vizio di violazione di legge per il quale le suddette decisioni sono censurabili dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione comprende anche il difetto di motivazione, riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che si traduca in omissioni, lacune o contraddizioni incidenti su punti decisivi dedotti dalle parti o rilevabili d’ufficio, senza che la deduzione del suddetto vizio possa essere intesa ad ottenere un riesame delle prove e degli accertamenti di fatto, o un sindacato sulla scelta discrezionale del Consiglio in ordine al tipo o all’entità della sanzione, (ex plurimis Cass. 23287/2010 e Cass. 26182/2006). Nel caso di specie il giudice di merito ha ricostruito sinteticamente sulla base delle dichiarazioni delle testi l’oggetto delle telefonate intervenute tra queste e la ricorrente ed ha ritenuto che le stesse non fossero conformi ai principi deontologici.
Quello che in realtà la ricorrente propone a questa corte è una rivalutazione delle intere risultanze probatorie al fine di accertare che la valutazione del CNF è stata “non soltanto concisa, scarsa e insufficiente, ma carente in quanto omette di considerare il contenuto integrale delle deposizioni nonchè quanto altresì dichiarato dalla signora Mi.Al.”.
In altri termini la ricorrente chiede a questa corte una inammissibile rivalutazione delle risultanze probatorie.
Deve aggiungersi che al caso di specie, essendo il ricorso proposto avverso una sentenza depositata il 6.10.14, alla fattispecie risulta applicabile ratione temporis l’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, convertito con L. n. 134 del 2012, che prevede la possibilità di proporre ricorso per cassazione solo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Le censure proposte relative alla insufficienza della motivazione ed all’omessa valutazione integrale delle deposizioni non sono pertanto ammissibili in quanto esulano dall’unica censura prevista ex art. 360, n. 5, che nella specie non è in alcun modo prospettata.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 51 cdf in base al quale le era stato contestato di avere assunto il mandato professionale contro un suo assistito senza che fosse trascorso un congruo lasso di tempo (due anni). Sostiene che la diversità del nuovo incarico assunto (difesa dello Z. in un processo di lavoro) rispetto al precedente (difesa della Mi., moglie dello Z., nella causa di separazione) ne consentiva l’assunzione.
Il CNF ha motivato sul punto rilevando che l’art. 51 cdf prevede un termine biennale dalla cessazione del rapporto professionale per l’assunzione dell’incarico contro l’ex cliente senza distinguere lo stato del processo, per cui la pendenza solo formale del processo, dedotta dalla ricorrente, non faceva venir comunque meno il rapporto di mandato ed il conseguente obbligo derivante dell’art. 51 dianzi citato.
La ricorrente ripropone avverso la detta motivazione gli argomenti a suo tempo proposti concernenti anche il fatto che l’incarico assunto era estraneo a quello in precedenza svolto e che non vi era stata utilizzazione delle informazioni assunte nel precedente mandato come emerso dalla istruttoria innanzi al C.O.A..
Il motivo si rivela inammissibile poichè chiede in realtà a questa Corte una rivalutazione nel merito della questione con lo svolgimento di accertamenti in fatto riguardanti le risultanze istruttorie non consentiti in questa sede di legittimità. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 32 cdf in quanto erroneamente i giudici di merito avrebbero ritenuto che la transazione intercorsa fosse avvenuta con l’intervento dei legali delle parti, che oltretutto non avevano sottoscritto l’atto, e comunque essa ricorrente non aveva proposto impugnazione avverso il predetto contratto ma aveva difeso la propria cliente convenuta in giudizio di simulazione al fine di sostenere la inidoneità della predetta transazione a comprovare la simulazione; circostanza ritenuta fondata dalla corte d’appello nel giudizio in questione.
Sul punto la CNF ha ritenuto irrilevante la qualità di convenuta della cliente della ricorrente nonchè la decisione ad essa favorevole della Corte d’appello, osservando che l’art. 32 cdf, nel prevedere il divieto di impugnare la transazione intervenuta, contiene la sola esimente dei fatti non conosciuti o sopravvenuti.
Le censure della ricorrente appaiono prive di fondamento laddove basate sulla mancata sottoscrizione dell’atto transattivo poichè risulta comunque pacifico che l’atto stesso fu concordato da essa ricorrente con la legale di controparte. Altresì infondate appaiono le doglianze riguardo alla circostanza che in realtà essa ricorrente non aveva impugnato la transazione per conto della sua cliente ma aveva difeso quest’ultima nel giudizio di simulazione.
Risulta infatti da quanto affermato dalla stessa ricorrente nel ricorso che la stessa aveva nel giudizio in questione negato che l’accordo intercorso potesse avere natura di transazione in quanto avente natura unilaterale.
Tale difesa costituisce comunque violazione dell’art. 32 cdf in quanto alla impugnazione della transazione che si è provveduto a redigere deve necessariamente equipararsi il disconoscimento della stessa o la contestazione della sua natura in un successivo giudizio anche se la parte assistita rivestiva la qualità di convenuta, come correttamente ritenuto dal CNF che ha per l’appunto affermato che non era possibile disaggregare il contenuto transattivo dell’accordo dal contesto dello stesso.
Il ricorso va in conclusione respinto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Sussistono le condizioni per l’applicazione del doppio del contributo ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater.
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