CORTE DI CASASZIONE – Ordinanza 15 marzo 2021, n. 7193
Tributi – Contenzioso tributario – Ricorso in cassazione – Impugnazione della sentenza di appello per insufficienza e\o contraddittorietà della motivazione – Inammissibilità del ricorso
Fatti di Causa
La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento emesso dalla Agenzia delle Entrate con cui determinava una maggiore pretesa fiscale, basata sulla ricostruzione del reddito e del volume di affari della ditta P.A., ai sensi dell’art. 39, 1 co. lett. d) dpr 600\1973 e 54 dpr 633\1972.
A seguito di ricorso del contribuente, imprenditore individuale, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, ritenendo inattendibile il procedimento di ricostruzione del reddito e dei ricavi, accoglieva il ricorso.
Avverso la predetta sentenza, proponeva appello l’Agenzia delle Entrate che ribadiva la correttezza dell’accertamento eseguito.
La commissione regionale di Roma con sentenza n. 364\14\2013 accoglieva l’appello, ritenendo corretto il ricorso all’accertamento analitico-induttivo.
Propone ricorso in Cassazione il contribuente, che si affidava ad un uno complesso motivo con cui rilevava l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione sui fatti decisivi, e comunque omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 comma 1 n.5 cpc . Si costituiva l’Agenzia delle Entrate al solo fine di partecipare alla eventuale discussione orale in pubblica udienza.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo del ricorso il ricorrente attacca in sostanza la motivazione della sentenza impugnata sia sotto il profilo della sua insufficienza e contraddittorietà sia per avere trascurato di esaminare fatti decisivi per il giudizio, peraltro oggetto di discussione, in violazione dell’art. 360 n.5 cpc.
Il motivo di ricorso, quindi, censura la sentenza impugnata, allegando una erronea ricostruzione della fattispecie concreta.
Per una migliore intelligenza della decisione, appare opportuno premettere che non è condivisibile quanto premesso nel ricorso, secondo cui nei processi tributari in cassazione si dovrebbe applicare la disposizione di cui all’art. 360 n.5 cpc nella formulazione precedente alla modifica introdotta dall’art. 54 comma 1 del d.l. n. 83\2012. Invero con principio giurisprudenziale ormai consolidato, in tema di ricorso per cassazione, il d.lgs. n. 546 del 1992 non prevede una disciplina speciale per il giudizio di legittimità concernente l’impugnazione delle sentenze di appello pronunciate dal giudice tributario, ma si limita a rinviare, in proposito, alle norme del codice di rito che regolano il ricorso per cassazione avverso le sentenze di appello pronunciate dalla C.T.R.. L’art. 62 del citato decreto, infatti, dispone, al primo comma, che “avverso la sentenza della CTR può essere proposto ricorso per cassazione per motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell’art. 360, primo comma, del codice di procedura civile; ed al secondo comma che: “al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”. Quindi, per esplicito richiamo disposto proprio dal d.lgs. n. 546 del 1992, le regole per il ricorso per cassazione non divergono se la sentenza sia stata emessa dal giudice ordinario o dal giudice tributario, restando sempre nell’uno e nell’altro caso, quelle dettate dal codice di rito.
La Corte ha costantemente affermato che: “alla proposizione del ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali devono ritenersi esclusivamente applicabili le disposizioni dettate dal codice di procedura civile, atteso il richiamo di queste da parte dell’art. 62, comma secondo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e l’inesistenza, in tale decreto legislativo, di qualsivoglia disposizione peculiare in ordine alle modalità di proposizione di detto ricorso (Cass. n. 17955 del 2004). In sostanza non emerge nessun problema di compatibilità delle norme dettare all’uopo dal vigente codice di procedura civile con quelle contenute nel d.lgs. n. 546 del 1992, da cui discende , quale corollario, che alla proposizione del ricorso per cassazione debbono ritenersi applicabili esclusivamente le disposizioni dettate dal codice di procedura civile per presentare qualsiasi ricorso giurisdizionale innanzi a questa Corte (Cass. n. 17955 del 2004, in motivazione; nello stesso senso Cass. n. 19577 del 2006 in motivazione). Da ultimo le S.U. della Corte, con sentenza n. 8053 del 2014 hanno precisato che: “Nella ricerca di un ragionevole equilibrio tra norme speciali e norme ordinarie, il vaglio di compatibilità, prescritto dall’art. 62 del d.lgs. n. 546 del 1992, ha sempre avuto un esito positivo” e da ultimo con sentenza n. 13126 del 2018 “nel processo tributario, il giudizio di legittimità è integralmente regolato dalle disposizioni dettate dal c.p.c., atteso il generale richiamo delle stesse da parte dell’art. 62, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 e la mancanza, in detto decreto, di specifiche previsioni sul relativo procedimento, anche in ordine alle modalità di proposizione del ricorso”.
Pertanto il motivo in questione deve ritenersi inammissibile nella parte in cui si duole della insufficienza e\o contraddittorietà della motivazione , vizio non più deducibile sotto il profilo dell’art. 360 n. 5 cpc .
Quanto alla parte del motivo con cui si deduce l’omessa valutazione di fatti decisivi , in astratto rientrante nel vizio post modifica dell’art. 360 n. 5 cpc , è anch’esso inammissibile. La CTR ha adeguatamente motivato il proprio convincimento circa la sussistenza di elementi idonei a confermare l’atto di accertamento, elementi che sono stati dettagliati dal giudice del merito nel corretto esercizio del potere di selezionare le fonti di prova che – a fronte delle altre pure addotte dalla parte e non trascurate – lo hanno indotto a prescegliere una piuttosto, che altra soluzione della controversia. Ancora prima della modifica legislativa dell’art. 360 n 5 non era consentito la revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice di merito a una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un – giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.
I giudici di appello hanno evidenziato che l’ufficio ha ricostruito la voce dei ricavi, applicando la percentuale di ricarico sulla base del listino prezzi del contribuente ed operando anche una riduzione equitativa del 15%, fissandola nella misura del 119,05, ben al di sopra di quella ricavabile dai dati del contribuente pari al 66,08%. Inoltre, il giudice di appello evidenziava che – le eccezioni del contribuente apparivano irrilevanti e smentite dagli stessi calcoli effettuati dal contribuente nel giudizio di primo grado. In virtù della modifica dell’art. 360, n. 5 cpc il caso di omesso esame circa un fatto decisivo, che è stato oggetto di discussione tra le parti, tale vizio sussiste solo quando il giudice di merito abbia omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nozione da intendersi come riferita a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico–naturalistico e non ricomprendente questioni che il giudice ha ritenuto prive di rilevanza , come nel caso in esame . Invero anche dalle specificazioni effettuate dal ricorrente emerge chiaro che il giudice di appello ha considerato le deduzioni difensive , e quindi il ricorrente si duole degli effetti che né ha tratto , dovendosi perciò escludere il ricorrere dell’omesso esame, trattandosi invece di argomentazioni che riportano al merito , esame non più consentito. Inoltre avendo il giudice dato la prevalenza alla ricostruzione analitica induttiva, le eccezioni proposte, in ogni caso non erano decisive.
Occorre rilevare l’irritualità della costituzione in giudizio dell’Agenzia, il cui difensore non ha provveduto al deposito del controricorso nel termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ., ma si è limitato a dichiarare di volersi costituire ai fini della partecipazione alla discussione in pubblica udienza.
Tale partecipazione è tuttavia esclusa dall’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotto dall’art. 1-bis, comma primo, lett. f), del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197, che nel disciplinare il procedimento in camera di consiglio dinanzi alle Sezioni semplici di questa Corte, stabilisce espressamente che quest’ultima «giudica senza l’intervento del Pubblico Ministero e delle parti».
La mancata costituzione nei termini esime il collegio dal decidere sulle spese per effetto della soccombenza del ricorrente.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi dell’art. 13 comma quater del Dpr 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso articolo 13.
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