CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 agosto 2018, n. 20411
Tributi – Accertamento – Redditometro – Prova contraria – Somme messe a disposizione da parte di un soggetto terzo. – Contenzioso tributario – Procedimento – Sentenza – Motivazione apparente – Nullità
Rilevato che
1. In controversia relativa ad impugnazione di quattro avvisi di accertamento c.d. “redditometrico”, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva accertato un maggior reddito ai fini IRPEF per gli anni d’imposta 2006 e 2007 nei confronti dei coniugi F. e P., la CTR dichiarava inammissibile per tardività il ricorso originariamente proposto dal P. con riferimento al solo anno di imposta 2007 e accoglieva nel resto l’appello proposto dai predetti contribuenti avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo che «Nel caso in esame questa Commissione ritiene raggiunta ed ampiamente documentata la prova della mancanza di redditi propri e dell’utilizzo di somme messe a disposizione da parte di un soggetto terzo e dunque correttamente integrata la prova del contrario ai sensi dell’art. 38, comma 4, d.P.R. n. 600/73».
2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’Agenzia delle Entrate con due motivi, cui gli intimati replicano con controricorso.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale le controricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis, secondo comma, ultima parte, c.p.c.
4. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente, in violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma secondo, cod. proc. civ. e 36 d.lgs. n. 546 del 1992.
2. Il motivo è fondato e va accolto.
3. Costituisce ius receptum (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; invero, l’obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che «l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità» e che «le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti».
3.1. Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendo» (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).
3.2. Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).
4. Nel caso di specie le considerazioni svolte dai giudici di appello nella motivazione della sentenza impugnata non disvelano in alcun modo il percorso logico-giuridico seguito per risolvere le questioni poste nel giudizio, com’è reso palese, tra l’altro, dalla completa pretermissione dell’indicazione della natura e della valenza probatoria della documentazione acquisita agi atti da cui emergeva «[…]l’utilizzo di somme messe a disposizione da parte di un soggetto terzo e dunque correttamente integrata la prova del contrario ai sensi dell’art. 38, comma d.P.R. n. 600/73». E la asserita (dai controricorrenti) pacificità dei fatti e delle circostanze addotte in giudizio non è idonea ad impedire che quella modalità di resa motivazionale violi il minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma sesto, Cost., trattandosi di valutazione che comunque la Commissione di appello era chiamata ad effettuare e, conseguentemente, ad esternare nella motivazione della sentenza.
5. La fondatezza della censura in esame, non scalfita dalle argomentazioni sviluppate dai controricorrenti nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis, secondo comma, ultima parte, c.p.c., rende superfluo l’esame del secondo motivo di ricorso, con cui la difesa erariale ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 d.P.R. n. 600 del 1973, d.m. 10/09/1992, d.m. n. 19/11/1992 nonché 2697 e 2729 cod. civ., che resta assorbito.
6. Conclusivamente, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR che provvederà a nuova valutazione delle questioni di merito non esaminate, fornendo adeguata e congrua motivazione, e provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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