CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 luglio 2021, n. 18702
Tributi – IRPEF – Soggetti passivi – Soggetto iscritto all’AIRE emigrato nel Principato di Monaco – Compensi di amministratore di società – Imponibilità in Italia – Residenza effettiva
Rilevato che
1. La Commissione Tributaria Regionale della Liguria rigettava il ricorso presentato da E.Z. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Genova (n.1429/10/2014) che aveva respinto il ricorso presentato dal contribuente contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle Entrate, per l’anno 2008, per redditi da compenso di amministratore corrisposti dalla C. sclr, non dichiarati in Italia, per essere emigrato nel Principato di Monaco fin dall’anno 1987 come da iscrizione all’Aire. Il giudice di appello evidenziava che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero (AIRE) non era elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto avesse nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali. In particolare, rilevava che i legami affettivi nel 2008 erano in Italia, dove risiedevano sia la moglie che la figlia del contribuente, essendo intervenuta la separazione tra i coniugi dopo 5 anni rispetto all’annualità di imposta. Inoltre, in Italia, vi erano anche i legami professionali del contribuente che era stato amministratore e rappresentante unico della C. e, per tale incarico, aveva percepito la retribuzione oggetto di tassazione. Inoltre, la stipulazione di un contratto di locazione nel Principato di Monaco, l’apertura di un conto corrente, l’immatricolazione di autovetture e la ricezione di onorificenza, non erano sufficienti a vincere la presunzione di cui all’art. 2, comma 2 bis del d.P.R. n. 917 del 1986.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente, depositando anche memoria scritta.
3. Resta intimata l’Agenzia delle entrate.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (“statuto dei diritti del contribuente”); dell’art. 10, comma 1, della stessa legge 212/2000; dell’art. 24, legge n. 4/1929; degli articoli 24 e 97, comma 1, Cost. (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.)”. In particolare, si evidenzia che l’avviso di accertamento non faceva alcun riferimento all’applicazione dell’art. 2, comma 2 bis, del d.P.R. n. 917 1986 e che l’art. 10 della legge n. 212 del 2000 sancisce il principio di “leale collaborazione”, tra l’amministrazione finanziaria ed il contribuente in un momento anteriore all’instaurazione del processo. Pertanto, il contraddittorio procedimentale, anche se non espressamente previsto, era comunque necessario, proprio perché la ripresa della tassazione si fondava su una presunzione legale relativa, che obbligava il contribuente a fornire la prova contraria.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Invero, per questa Corte, in tema di imposte dirette, ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, si considerano residenti in Italia, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dall’anagrafe della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, sicché l’Amministrazione finanziaria è legittimata all’emissione dell’atto impositivo senza necessità di attivare un contraddittorio preventivo, in sé non previsto, mentre incombe sul contribuente dimostrare di avere reciso ogni rapporto significativo con il territorio dello Stato, trovando applicazione il principio dell’unicità del domicilio ex art. 43 cod. civ. (Cass., sez. 5, 21 gennaio 2015, n. 961).
Va anche aggiunto che per questa Corte, a sezioni unite, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., sez.un., 21 gennaio 2015, n. 961).
2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta “in via subordinata rispetto al motivo in precedenza dedotto sub 1: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 bis, del d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all’art. 7 della Direttiva comunitaria 83/182/CEE, relativa alle franchigie fiscali applicabili all’interno della comunità in materia di importazione temporanea di taluni mezzi di trasporto, ed alla interpretazione vincolante datane dalla Corte di giustizia CEE, sezione 6, con la decisione 12 luglio 2001 in causa C-262/99 (Louloudakis c/Stato Ellenico), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. Invero, il contribuente è residente nel Principato di Monaco dal 1987, sicché la fattispecie è regolata dal comma 2 bis dell’art. 2 del d.P.R. n. 917 del 1986, che considera residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dall’anagrafe della popolazione residente ed immigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, quale era, appunto, il Principato di Monaco. Tuttavia, deve essere verificata l’effettiva residenza del contribuente, tenendo conto dei principi elaborati dalla Corte di giustizia dell’unione europea, con la decisione 12 luglio 2001, che ha interpretato gli articoli 3, 4 e 7 della Direttiva del consiglio 83/182/CEE, in materia di franchigia sull’importazione temporanea di autoveicoli e, più in particolare, del significato dell’espressione “normale residenza in uno Stato membro”. Trattasi di direttiva dettagliata, quindi direttamente applicabile nello Stato italiano. Il giudice d’appello avrebbe completamente omesso di valutare il domicilio della persona fisica come pure il luogo ove il soggetto lavora, al fine di individuare la sede principale dei suoi affari ed interessi. Tale valutazione, che individua il domicilio del ricorrente indipendentemente, e prescindendo totalmente, dalla presenza fisica e dal luogo ove viene svolta l’attività lavorativa del contribuente, sarebbe in contrasto con i criteri dettati dalla legislazione comunitaria. In particolare, deve tenersi conto delle esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi, per cui il centro principale degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi. Il giudice d’appello non ha tenuto conto della mancata presenza del contribuente per l’intero anno 2008 nel territorio italiano, essendo questi impegnato stabilmente per la propria attività professionale svolta per la C. scarl nel Principato di Monaco ed in Afganistan. Inoltre, dalla dichiarazione della Ambasciata italiana del Principato di Monaco risulta l’effettiva presenza del contribuente nel Principato rivestendo la carica di amministratore delegato della E. scarl.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Anzitutto, si evidenzia che la sentenza della Commissione regionale è stata depositata l’11 luglio 2017, e l’appello è stato depositato il 20 ottobre 2014, sicché trova applicazione l’art. 348-ter c.p.c., in vigore, ai sensi del decreto-legge n. 83 del 2012, per gli appelli depositati a decorrere dall’11 settembre 2012. Pertanto, in presenza di una doppia decisione conforme di merito non è possibile articolare nel ricorso per cassazione il vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
2.3. Il giudice di prime cure ha, infatti, rigettato il ricorso del contribuente, evidenziando che questi aveva mantenuto nel territorio nazionale i propri interessi, in quanto la circostanza che avesse affittato un appartamento nel Principato di Monaco, non era sufficiente a far ritenere di avere all’estero la residenza fiscale; la documentazione prodotta non era sufficiente a vincere la presunzione della residenza fiscale in Italia, in quanto il fatto che la moglie ed i figli di risiedessero in Italia dimostrava che proprio l’Italia era il centro dei propri interessi affettivi. Inoltre, il contribuente aveva anche interessi economici di lavoro in Italia, avendo acquistato l’immobile e rivestendo la carica di amministratore in una società.
2.3. Il giudice di appello ha confermato la decisione di primo grado, proprio valorizzando gli stessi elementi istruttori già presi in considerazione della Commissione provinciale, sottolineando, non solo i legami familiari, individuati nella residenza in Italia sia della moglie che della figlia del contribuente, prima della separazione che era intervenuta 5 anni dopo rispetto al 2008, ma anche i legami professionali del Z. che era amministratore e rappresentante unico della C., mentre poco significativo era il contratto di locazione, come pure l’apertura di un conto corrente e l’immatricolazione di autovetture nel Principato di Monaco.
2.4. Il ricorrente, pur deducendo la violazione di legge, e segnatamente dell’art. 2, comma 2 bis, del d.P.R. n. 917 1986, in relazione art. 7 della direttiva comunitaria 83/182/CEE, ha però, in sostanza, chiesto una nuova valutazione dei fatti da parte di questa Corte, non consentita in sede di legittimità. In particolare il ricorrente ha chiesto di tenere conto e, quindi, di valutare nel merito, la “comprovata mancata presenza per l’intero anno 2008 del ricorrente E.Z. dal territorio italiano (essendo questi stabilmente impegnato per l’espletamento della propria attività professionale nel Principato di Monaco ed in Afganistan)”. Inoltre, ha chiesto di valutare la dichiarazione dell’Ambasciata italiana del Principato di Monaco, dalla quale risulterebbe che il ricorrente è stato amministratore delegato della società E. scarl, in tal modo reiterando la richiesta di valutazione degli elementi di fatto della fattispecie, già congruamente valutati dal giudice di appello.
3. Inoltre, ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 917 del 1986, in vigore dal 1 gennaio 2008, “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”. Il comma 2-bis, poi, a seguito della legge 244 del 2007, prevede che “si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”. Pertanto, l’unica differenza con il regime anteriore al 2008 consiste nella sostituzione del riferimento agli “Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”, con la formula “Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze”. Si è inteso sostituire il precedente sistema, incentrato sull’individuazione con decreto ministeriale dei “paradisi fiscali”, inseriti in black list, con un nuovo sistema basato sull’individuazione degli Stati aventi un regime fiscale conforme ad appositi standard di legalità e trasparenza adottati in sede europea (paesi White list).
3.1. Per questa Corte, in tema di imposte sui redditi, l’art. 2, 2º comma, del d.P.R. n. 917, del 1986, si richiedono, per la configurabilità della residenza fiscale dello Stato, tre presupposti, indicati in via alternativa, il primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, e gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile. Ne consegue che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residente all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali, non risultando determinante, a tal fine, il carattere soggettivo ed elettivo della “scelta” dell’interessato, rilevante solo quanto alla libertà dell’effettuazione della stessa, ma non ai fini della verifica del risultato di quella scelta, ma dovendosi contemperare la volontà individuale con le esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi (Cass., sez. 5, 4 maggio 2021, n. 11620; Cass., sez. 5, 1 marzo 2019, n. 6117); sicché il centro principale degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi (Cass., sez. 5, 31 marzo 2015, n. 6501; Cass., sez. 5, 18 novembre 2011, n. 24246; Cass., 15 maggio 2010, n. 14434; Cass., 19 maggio 2010, n. 12259).
Inoltre, l’altro requisito previsto dalla norma è costituito dal fatto che l’accertamento della fissazione in Italia del domicilio eletto debba coprire “la maggior parte del periodo di imposta” essendo evidente l’intento del legislatore di non legare l’accertamento ad eventi occasionali, ma di ancorarlo alla verifica di una sufficiente permanenza temporale del criterio di collegamento (Cass., sez. 5, 4 maggio 2021, n. 11620; Cass., sez. 5, 8 ottobre 2020, n. 21694).
Deve, comunque, essere superata dal contribuente la presunzione legale relativa di cui all’art. 2, comma 2 bis (Cass., sez. 5, 20 luglio 2018, n. 19410; Cass., sez. 5, 31 marzo 2015, n. 6501).
4. Deve, peraltro, tenersi conto, ai fini della individuazione della “normale residenza” della Direttiva 28 marzo 1983, n. 182 (Direttiva del consiglio relativa alle franchigie fiscali applicabili all’interno della comunità in materia di importazione temporanea di taluni mezzi di trasporto). In particolare, l’art. 7, primo comma (norme generali per la determinazione della residenza), prevede che “ai fini dell’applicazione della presente direttiva, si intende per residenza normale il luogo in cui una persona dimora abitualmente, ossia durante almeno 185 giorni all’anno, a motivo di legami personali e professionali oppure, nel caso di una persona senza legami professionali, a motivo di legami personali che rivelano l’esistenza di una stretta correlazione tra la persona in questione e il luogo in cui abita“. Al secondo capoverso del primo comma, si precisa che “tuttavia, nel caso di una persona i cui legami professionali siano risultati in un luogo diverso da quello dei suoi legami personali e che pertanto sia indotta a soggiornare alternativamente in luoghi diversi situati in due o più Stati membri, si presume che la residenza normale sia quella del luogo dei legami personali, purché tale persona vi torni regolarmente”, con l’aggiunta, al secondo comma, che “i privati forniscono le prove del luogo della loro residenza normale con tutti i mezzi, in particolare con la carta identità, o mediante qualsiasi altro documento valido”.
4.1. La Corte di giustizia ha affermato sul punto che l’art. 7, n. 1, della Direttiva del Consiglio 28 marzo 1983, n. 83/182/Cee, relativa alle franchigie fiscali applicabili all’interno della Comunità in materia d’importazione temporanea di taluni mezzi di trasporto, va interpretato nel senso che nel caso in cui una persona abbia legami sia personali sia professionali in due Stati membri, il luogo della sua “normale residenza”, stabilito nell’ambito di una valutazione globale in funzione di tutti gli elementi di fatto rilevanti, è quello in cui viene individuato il centro permanente degli interessi di tale persona e che, nell’ipotesi in cui tale valutazione globale non permetta siffatta individuazione, occorre dichiarare la preminenza dei legami personali (Corte giustizia UE, 12 luglio 2001, n. 262, nel procedimento C-262/99, Paraskevas Louloudakis; anche Corte giustizia UE, 7 giugno 2007, in causa C-156/04, Commissione c. Grecia). Invero, al paragrafo 55 della sentenza della Corte di giustizia 262/2001 si legge che “a tal proposito tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione al fine di determinare la residenza in quanto centro permanente degli interessi della persona di cui trattasi, vale a dire, in particolare, la presenza fisica di quest’ultima, quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo dove i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo di esercizio delle attività professionali, il luogo in cui vi siano interessi patrimoniali, quello dei legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali, nei limiti in cui detti elementi traducano la volontà di tale persona di conferire una determinata stabilità ad luogo di collegamento, motivo di una continuità che risulti da un abitudine di vita e dallo svolgimento di rapporti sociali e professionali normali”. Pertanto, nel caso in cui i legami personali e quelli professionali possano non coincidere, deve, preliminarmente farsi luogo ad una valutazione globale di tutti gli interessi del contribuente.
Si è affermato che la sentenza della Corte di giustizia del 12 luglio 2001, citata, fornisce comunque vincolanti indicazioni per l’interpretazione del diritto fiscale, nazionale o convenzionale, anche in materia di imposte sul reddito (Cass.,sez. 5, 7 novembre 2001, n. 13803). Si è evidenziato che, per una consolidata giurisprudenza comunitaria, l’esercizio della potestà impositiva diretta, pur essendo attribuito in via di principio agli ordinamenti degli Stati membri e alle Convenzioni internazionali, deve conformarsi ai principi del diritto comunitario e alle libertà fondamentali riconosciute dal Trattato (Cass, sez. 5, 7 novembre 2001 n. 13803). Pertanto, nella sentenza 14 febbraio 1995, C-279/93, la Corte di giustizia ha affermato che, benché la materia delle imposte dirette non rientri in quanto tale, nella competenza della comunità, l’esercizio da parte degli Stati membri di questa competenza loro attribuita non può prescindere dal diritto comunitario Corte giustizia UE , 28 gennaio 1985, C-270/83; 13 luglio 1993, C-330/91; 12 aprile 1994, C-1/93; 15 maggio 1997, C-250/95).
5. Questa Corte, ha recentemente affermato che, ai fini dell’individuazione della residenza fiscale del contribuente deve farsi riferimento al centro degli affari e degli interessi vitali dello stesso, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi, non rivestendo ruolo prioritario, invece, le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento (Cass., sez. 5, 20 dicembre 2018, n. 32992; Cass., sez. 5, 31 marzo 2015, n. 6501). In particolare, con questa decisione si è confermata la sentenza del giudice d’appello che, con una valutazione globale, aveva tenuto conto sia dei legami personali, sia di quelli professionali, privilegiando l’individuazione del centro di interessi in Romania, dando atto che legami familiari sussistevano tanto ivi, quanto in Italia. Si è anche specificato che l’orientamento sulla prevalenza dei legami familiari era attualmente recessivo, con la precisazione che le relazioni affettive familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitariamente ad altri probanti criteri, che univocamente attestino il luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento. In tale fattispecie, il contribuente risiedeva e svolgeva la propria attività professionale in Romania insieme con il figlio. In altra pronuncia è stata valorizzata la gestione di affari in Italia in contesti societari, come socio ed amministratore (Cass., sez. 5, 29 dicembre 2011, n. 29576; Cass., sez. 5, 18 novembre 2011, n. 24246).
6. Va, inoltre, evidenziato che nella normativa unionale è divenuto sempre più rilevante il criterio del COMI (center of main interest), riconoscibile dai terzi, ai fini della individuazione della sede legale delle società o della residenza della persona fisica, ai fini dell’applicazione della normativa relativa alle procedure concorsuali.
Si prevede, infatti, all’art. 3 del Regolamento UE 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, che “il centro degli interessi principali è il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi “.
L’art. 2 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (codice della crisi di impresa dell’insolvenza), che entrerà in vigore il 1 settembre 2021, prevede al primo comma lettera m) che il centro degli interessi principali del debitore (COMI) è “il luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi” (in tal senso anche Corte di giustizia UE, 20 ottobre 2011, Interedil, C-396/09, punti 51, 53, 59).
7. Pertanto, il giudice d’appello non è incorso in alcuna violazione di legge, avendo proceduto, in ossequio al diritto unionale ed alla giurisprudenza europea, ad una valutazione globale degli interessi sia personali che professionali del contribuente. In particolare, con congrua ed analitica motivazione, la Commissione regionale ha evidenziato che nell’anno 2008 i legami affettivi dello Z. erano in Italia, ove erano residenti sia la moglie che la figlia, essendo intervenuta la separazione personale soltanto cinque anni dopo. Inoltre, con valutazione di merito non censurabile in questa sede, si è sottolineato che il contribuente aveva anche legami professionali in Italia, essendo amministratore e rappresentante unico della C. scarl, percependo per tale incarico la retribuzione oggetto di tassazione. Il giudice d’appello ha anche ritenuto che gli elementi suddetti fossero più rilevanti di quelli addotti dal contribuente per superare la presunzione legale relativa di residenza in Italia, consistenti in un contratto di locazione stipulato nel Principato di Monaco, nell’apertura di un conto corrente, nella immatricolazione di autovetture e nella ricezione di una onorificenza.
8. Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva da parte dell’Agenzia delle entrate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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