CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 dicembre 2021, n. 38131
Accertamento – Tributi – Contenzioso tributario – PVC – Contributo unificato
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dalla contribuente C. s.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (n.191/3/2009), che aveva rigettato il ricorso presentato dalla società contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 2004, ai fini Iva, Irap ed IRES.
In particolare il giudice d’appello evidenziava che la notifica dell’avviso di accertamento era stata effettuata regolarmente, prima nella sede amministrativa della società e, poi, nella sede legale, con duplice relata di notifica; aggiungeva che la percentuale di ricarico applicata non era arbitraria, avendo l’Ufficio tenuto conto dei prezzi applicati agli altri clienti, come emergeva dal processo verbale di constatazione; precisava che la rideterminazione dei maggiori ricavi accertati in euro 388.325,00 in luogo di euro 263.960,00, era avvenuta ai soli fini dell’adesione e che le note di credito prodotte, emesse dalla R.C., per giustificare i minori prezzi applicati ai clienti, erano generiche e non documentate, indicando solo la quantità e il prezzo dei prodotti, senza alcun riferimento specifico ad acquisti da rettificare, ai motivi del reso, nonché ai contratti di fornitura cui si riferivano. Gli inviti al contraddittorio contenevano il richiamo ai rilievi contestati nel processo verbale di constatazione.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.
3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che
2. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la “violazione degli articoli 39, comma primo, e 40, del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 5 del d.lgs. n. 446 del 1997 e art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972”. Per la ricorrente la sentenza impugnata è illegittima nella parte in cui conferma la ripresa fiscale dell’Agenzia delle entrate, che aveva applicato una percentuale di ricarico del 4,5% a due clienti. In realtà, le vendite senza ricarico erano state effettuate per ragioni economiche precise, documentate nei gradi di giudizio. Dalle fatture emesse risultava l’indicazione “franco partenza”, in luogo di “franco destino”, sicché era pacifico che le vendite effettuate al cliente S. erano senza incidenza dei costi di trasporto, contrariamente a quanto avveniva per le altre vendite. Inoltre, le note di credito emesse dalla R.C., principale fornitore, dimostravano gli “accrediti” che venivano effettuati in favore della C. al raggiungimento di determinate quantità di prodotti acquistati per ciascun mese, quindi “sconti” che comportavano una sensibile riduzione del prezzo di acquisto. Le due circostanze dimostravano l’interesse della società contribuente a vendere alla S. a prezzi contenuti, ma che, proprio per il volume di vendite che questa cliente sviluppava, permetteva alla C. di ottenere in acquisto prodotti a prezzi scontati nonché l’economicità dell’operazione. Quanto alle vendite effettuate in favore dell’altro cliente N.D. s.r.l., la contribuente ha dimostrato che tale società era la depositaria delle merci della C., sicché, in ragione di tale rapporto, di lunga durata, la contribuente non ricaricava il costo delle merci vendute alla N.D..
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. Nullità della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”. Il giudice d’appello non avrebbe analizzato le ragioni espresse e documentate della società contribuente nei propri atti, per contrastare la tesi della antieconomicità di alcune operazioni.
2.1. I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
2.2. Invero, la ricorrente chiede una nuova rivalutazione dei fatti, già congruamente effettuata in sede di giudizio di merito. In particolare, la percentuale di ricarico applicata è stata determinata in relazione ai prezzi applicati dalla società contribuente agli altri clienti. Le note di credito emesse dalla R.C. erano del tutto generiche, non facendo riferimento neppure agli acquisti da rettificare, ai motivi del reso nonché ai contratti di fornitura cui si riferivano.
È pacifico che la società contribuente abbia venduto beni alla S. ed alla N.D. a prezzi inferiori a quelli di costo. Ciò costituisce indubbiamente una condotta antieconomica della contribuente. Infatti, per questa Corte, nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di un comportamento posto in essere dal contribuente, poiché assolutamente contrario ai canoni dell’economia, incombe sul medesimo l’onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni, essendo – in difetto – pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’Amministrazione, ai sensi degli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass., sez. 5, 22 luglio 2021, n. 21128).
La società contribuente ha tentato di giustificare tale anomala condotta, facendo riferimento al numero esiguo di clienti cui era stato concesso un prezzo di favore, oltre che ad altre circostanze di fatto che non risultano decisive.
In realtà, è vero che i ricavi non contabilizzati, per effetto delle vendite sotto-costo, hanno riguardato soltanto due operatori economici (su un totale di 31 clienti), ma l’importo di tali ricavi è di euro 388.125,00, quindi molto rilevante, tenendo conto del fatturato complessivo della società contribuente.
Del resto, i prezzi fuori mercato in favore di due clienti non vengono supportati da documenti decisivi, tale non essendo la dicitura “franco partenza” sulle fatture relative alle merci vendute alla S., né la circostanza che la N.D. fosse depositaria delle merci della C.; in entrambi i casi i prezzi di vendita sono avvenuti sottocosto, senza alcuna valida giustificazione da parte della società contribuente.
Tra l’altro, nel motivo di impugnazione, relativo alla omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, non sono neppure indicati i fatti decisivi il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice d’appello, limitandosi la società ricorrente ad una generica critica dell’argomentazione della Commissione regionale (” sostanzialmente e semplicemente, le ragioni espresse e documentate dalla ricorrente nei propri atti, in contrasto con la teorizzata antieconomicità di alcune operazioni, che ha contestato l’applicazione di una percentuale di ricarico alla stessa, non sono state analizzate nella sentenza della commissione tributaria regionale”), salvo riportarsi alle “ragioni espresse al punto precedente, da intendersi qui riportate”.
Peraltro, agli altri clienti erano applicate percentuale di ricarico oscillanti tra il 4,76% ed il 27%, come risulta dal controricorso.
L’Agenzia delle entrate, invece, si è limitata ad applicare la percentuale di ricarico più bassa, ossia quella del 4,5%. Nel corpo della motivazione, inoltre, il giudice d’appello ha tenuto conto delle giustificazioni fornite dalla contribuente, non ritenendole esaustive (” la natura antieconomica di tale comportamento non potesse trovare giustificazione nelle invocata sussistenza di un rapporto commerciale di lunga durata con N.D. e con la dichiarata circostanza che la merce venisse venduta a S.F. partenza, senza incidenza di costi di trasporto, trattandosi di mere asserzioni di parte, sfornite di riscontri probatori idonei a sostenere la fondatezza”).
3. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della società ricorrente, e si liquidano come da dispositivo.
4. Si rileva che per questa Corte, in materia di impugnazioni, l’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nei casi previsti dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, si applica ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, dovendosi aver riguardo al momento in cui la notifica del ricorso per cassazione si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Cass., sez. 6-3, 10 luglio 2015, n. 14515). Nella specie, il ricorso per cassazione è stato notificato nell’anno 2012.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
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