CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 marzo 2021, n. 5616
Tributi – Accertamento – Fatture presentate in banca per ottenere anticipazioni su crediti non corrispondenti a quelle registrate – Presunzione di ricavi non contabilizzati – Prova contraria – Natura di fatture pro-forma – Elementi distintivi – Necessità
Rilevato che
– sulla scorta di p.v.c. del 24/10/2007, l’Agenzia delle Entrate accertava, nei confronti della T. F.B. S.rl. e con riguardo all’anno di imposta 2005, ricavi non contabilizzati per Euro 300.482, rilevando che, al fine di ottenere liquidità da banche mediante l’anticipazione su crediti, la società aveva presentato fatture attive (munite di numerazione, imponibile, imposta, indicazione del cliente) che, poi, non trovavano riscontro nella documentazione contabile: infatti, tali documenti o non erano supportati da ordini di clienti che giustificassero la loro emissione oppure erano successivi (sicché era escluso che gli stessi potessero essere stati impiegati per conseguire anticipazioni) e/o di importo differente (superiore) rispetto alla fattura registrata;
– la T. F.B. impugnava l’avviso affermando che i documenti costituivano “fatture pro-forma” predisposte al solo scopo di conseguire dalle banche i finanziamenti necessari alla liquidità aziendale e che, una volta esaurita tale funzione, gli stessi non erano registrati sui libri contabili, né accompagnavano la merce in dogana, né venivano inviati ai clienti per l’incasso;
– la C.T.P. di Milano accoglieva parzialmente il ricorso della società, affermando – con riguardo alle “proforma” emesse dopo le fatture fiscalmente valide (la cui emissione, dunque, non trovava giustificazione nell’esigenza di ricorrere al credito bancario) – che «entrambe le parti in giudizio non hanno fornito elementi alla Commissione per l’individuazione di tale fattispecie» (e, pertanto, annullava la relativa ripresa a tassazione), mentre – in riferimento alle “proforma” asseritamente emesse allo scopo di ottenere anticipazioni bancarie e non registrate – la loro emissione non produceva danno erariale «in quanto non influenti ai fini della “liquidazione” dell’imposta»;
– la C.T.R. della Lombardia – con la sentenza n. 58/27/13 del 27/5/2013 – respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate rilevando che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, «la mancanza di regolare riscontro tra le fatture prò forma e quelle registrate in contabilità» e il «differente ammontare tra le fatture complessivamente emesse e quelle realmente contabilizzate» non determinavano alcun onere probatorio in capo alla contribuente, ma che, anzi, a fronte dell’emissione di documenti denominati in modo similare ma non aventi le caratteristiche formali della fattura, sarebbe spettato all’Amministrazione dimostrare la sussistenza dei presupposti, anche temporali, per l’insorgenza dell’obbligazione tributaria, come statuito da Cass. n. 12913 del 2008;
– avverso la suddetta decisione l’Agenzia propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi;
– l’intimata non ha svolto difese nel giudizio di legittimità.
Considerato che
1. Col primo motivo la ricorrente Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione (ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., 39 D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 D.P.R. n. 633 del 1972, per avere la C.T.R. omesso di considerare che la presentazione alle banche di fatture, prive di identico riscontro nella contabilità aziendale, costituiva prova presuntiva circa la corrispondenza degli importi indicati a ricavi e corrispettivi realizzati e non contabilizzati.
2. Col secondo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata (ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) per violazione dell’art. 36 D.Lgs. n. 546 del 1992, avendo la C.T.R. omesso di illustrare le ragioni e gli elementi di fatto in base ai quali ha ritenuto che i documenti presentati alle banche fossero fatture “pro-forma”, prive dei caratteri formali della fattura.
3. Col terzo motivo si deduce la nullità della sentenza (ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 27 D.Lgs. n. 546 del 1992, per avere la C.T.R. deciso la controversia prescindendo dal thema decidendum posto dalle parti, le cui deduzioni circa l’emissione di fatture – e non di fatture pro-forma – erano concordi, mentre divergevano con riguardo alla finalità di detti documenti, secondo la società volti a conseguire liquidità, secondo l’Agenzia indicativi di ricavi/corrispettivi non contabilizzati in mancanza di corrispondenti ordini dei clienti o in caso di precedente registrazione o, ancora, in presenza di difformi annotazioni (sottofatturazione) nella contabilità aziendale.
4. I motivi, tra loro connessi e unitariamente considerati, sono fondati.
Il giudice di merito ha richiamato, a fondamento della propria decisione, il precedente di Cass., Sez. 5, Sentenza n. 12913 del 21/05/2008, Rv. 603984-01, secondo cui «In tema di IVA, la mera emissione di un documento non avente le caratteristiche formali della fattura, ancorché denominato in modo simile (nella specie, una “fattura pro-forma”), non è sufficiente a far sorgere l’obbligazione tributaria, se non si dimostra che sussistevano i presupposti per l’emissione della fattura: i presupposti temporali per l’emissione della fattura sono infatti indicati espressamente dall’art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e sono collegati al momento in cui l’operazione assoggettabile ad imposta si considera effettuata».
Tuttavia, la sola menzione dell’arresto giurisprudenziale non è idonea a fornire alla decisione un adeguato supporto motivazionale: difatti, al fine di applicare alla fattispecie il precedente, la C.T.R. avrebbe dovuto, innanzitutto, illustrare le ragioni di fatto per ricondurre i documenti posti a base dell’accertamento alla categoria delle “fatture pro-forma” e, cioè, spiegare quali concreti elementi consentivano di qualificarli come privi delle caratteristiche formali delle fatture, ancorché denominati in modo similare.
Una specifica motivazione si manifestava ancor più necessaria in considerazione dell’univoca denominazione di «fatture» che le stesse parti avevano attribuito ai documenti presentati agli istituti bancari, pur divergendo le difese sulle conseguenze tributarie della loro emissione.
Inoltre, la motivazione è lacunosa anche con riguardo alla ripresa a tassazione operata dall’Agenzia delle Entrate, posto che quest’ultima non ha individuato tutte le fatture (asseritamente proforma) come espressive di ricavi o corrispettivi non contabilizzati, ma soltanto quelle che – in contrasto con le stesse difese della contribuente – non potevano costituire mezzo per ottenere finanziamenti, in quanto predisposte successivamente alla registrazione della “vera” fattura in contabilità, oppure quelle che non trovavano una corrispondente annotazione (effettuata in misura inferiore rispetto alla pro-forma) o un corrispondente ordine di un cliente.
5. In accoglimento del ricorso, dunque, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso di Agenzia delle Entrate;
Cassa la decisione impugnata con rinvio alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
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