CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 ottobre 2018, n. 24051

Agevolazioni “prima casa” – Atto di compravendita immobiliare – Abitazioni non di lusso – Superficie utile complessiva superiore a mq 240

Ritenuto che

T.F. e M.P. impugnavano innanzi alla CTP di Bergamo un avviso di liquidazione, relativo ad un atto di compravendita immobiliare, registrato in data 10 luglio 2006, con cui veniva revocata l’aliquota agevolata del 4% prevista per l’acquisto di abitazioni non di lusso di cui alla tabella A, parte seconda, n. 21, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, con relativa irrogazione di sanzioni.

La CTP, con sentenza n. 82/09/2009, respingeva il ricorso, rilevando l’infondatezza della censura relativa alla carenza di motivazione dell’atto impugnato e ribadendo la legittimità del provvedimento. I contribuenti spiegavano appello innanzi alla CTR della Lombardia che, con sentenza n. 148/63/2011, accoglieva il gravame, assumendo che dalle risultanze degli atti emergeva una divergenza nella misurazione dell’immobile che derivava dal calcolo che l’Ufficio faceva con riferimento alla superficie utile del piano interrato, laddove il concetto di superficie utile escludeva le porzioni di fabbricato prive di destinazione abitativa e, comunque, quelle formalmente prive di abitabilità. L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione, svolgendo un solo motivo. T.F. e M.P. si sono costituiti con controricorso, spiegando ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi, illustrati con memorie.

Considerato che

1. Con l’unico motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando violazione o falsa applicazione dell’art. 6 del decreto del Ministero dei Lavori Pubblici n. 1072 del 2.8.1969, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., atteso che i giudici di appello avrebbero errato laddove hanno ritenuto di escludere dal computo della superficie utile quella afferente al piano interrato, in quanto sprovvisto di abitabilità.

2. Il motivo è fondato in ragione delle considerazioni che seguono.

A norma del D.M. 2 agosto 1969 in “Gazzetta Ufficiale” 218 del 27.8.1969, art. 6, sono considerate abitazioni di lusso le unità immobiliari “aventi superficie utile complessiva superiore a mq 240 (esclusi balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)”, riconnettendo pertanto la caratteristica di immobile di lusso al dato quantitativo della superficie dell’immobile, con esclusione solo dei predetti ambienti. La giurisprudenza di questa Corte, ai fini per cui è causa, ha affermato che non si applicano le normative edilizie o igienico – sanitarie (Cass. n. 12942 del 2013, Cass. n. 23591 del 2012, Cass. n. 10807 del 2012, Cass. n. 22279 del 2011, Cass. n. 25674 del 2013), in quanto gli unici locali da escludersi sono quelli espressamente indicati nella su riportata normativa; al riguardo, questa Corte ha precisato con riferimento all’imposta di registro e, in particolare, in relazione ai benefici “prima casa” che: “Per stabilire se un’abitazione sia di lusso e, quindi, esclusa dai benefici per l’acquisto della prima casa ai sensi della tariffa I, art. 1, nota II bis, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, la sua superficie utile – complessivamente superiore a mq. 240 va calcolata alla stregua del d.m. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, n. 1072, e determinata in quella che – dall’estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta residua, una volta detratta la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina, non potendo, invece, applicarsi i criteri di cui al d.m. Lavori Pubblici 10 maggio 1977, n. 801, richiamato dall’art. 51 della legge 2 febbraio 1985, n. 47, le cui previsioni, relative ad agevolazioni o benefici fiscali, non sono suscettibili di un’interpretazione che ne ampli la sfera applicativa “ (Cass. n. 861 del 2014; Cass. n. 24469 del 2015).

Il requisito dell’utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituisce parametro idoneo ad esprimere il carattere “lussuoso” di una abitazione ( v. tra le altre, Cass. n. 25674 del 2013, nella quale si è ritenuta legittima la revoca del beneficio ove, mediante un semplice intervento edilizio, potesse computarsi nella superficie utile anche un vano deposito di un immobile, in concreto non abitabile perché non conforme ai parametri areo -illuminanti previsti dal regolamento edilizio), assumendo rilievo – in coerenza con l’apprezzamento dello stesso mercato immobiliare, la marcata potenzialità abitativa dello stesso (cfr. Cass. n. 10807 del 2012; Cass. n. 22279 del 2011 e di recente, Cass. n. 9529 del 2015, la quale ha statuito che, al fine di stabilire il carattere di lusso dell’immobile, anche l’ambiente strettamente adibito a cantina, ovvero a soffitta, costituisce comunque elemento da comprendere invece nel calcolo della superficie complessiva, da considerare come facente parte di “casa di lusso”, allorquando, in concreto, esse siano strutturate in modo tale da essere abitabili, si da perderne la tipica caratteristica).

Questa Corte ha anche chiarito che: “Il calcolo della superficie utile dell’immobile, al fine di stabilire se esso debba essere considerato di lusso ai sensi dell’art. 6 del d.m. 2 agosto 1969, va compiuto a prescindere dalla circostanza che parte degli ambienti non sia conforme alle prescrizioni urbanistiche sotto il profilo dell’abitabilità, in quanto quel che unicamente rileva ai fini del computo della superficie utile è l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana” (Cass. n. 23591 del 2012). A fronte dell’irrilevanza del mero dato catastale, grava sul contribuente l’onere di provare, tramite idonea documentazione tecnica, che i vani in questione non sono utilizzabili a scopo abitativo (Cass. 21553 del 2011).

3. Nella specie, la CTR non ha fatto buon governo dei principi espressi, in quanto ha erroneamente escluso dalla superficie utile complessiva il piano seminterrato, che, se considerato, avrebbe determinato una estensione della stessa certamente superiore a mq 240,00, sostenendo che: “il concetto di superficie utile pare escludere le porzioni di fabbricato prive di destinazione abitativa e comunque quelle formalmente prive di abitabilità”, laddove, al contrario, come sopra ampiamente illustrato, il concetto di abitabilità è estraneo al concetto di superficie utile, nel senso di fruibile dal beneficiario dell’agevolazione (Cass. n. 10191 del 2016, Cass. n. 1173 e 1178 del 2016).

4. Per completezza va detto che i presupposti della revoca dell’agevolazione permangono integri anche alla luce dello ius superveniens di cui all’art. 33 del d.lgs. n. 175 del 2014 che, nel modificare il n. 21 della Tab. A, Parte II, all. al d.P.R. n. 633 del 1972, ha espressamente richiamato il “criterio catastale”, con il risultato che l’agevolazione IVA è esclusa, indipendentemente dalla sussistenza di tutti i requisiti, per gli immobili rientranti in categorie catastali A1, A8 ovvero A9 (rispettivamente: abitazioni di tipo signorile; abitazione in ville; castelli e palazzi con pregi artistici o storici). L’art. 33 d.lgs. n. 175 del 2014, infatti, non trova applicazione, quanto alla debenza del tributo, per gli atti negoziali anteriori alla sua entrata in vigore, cioè il 1 gennaio 2014 (Cass. n. 13235 del 2014).

5. Da siffatti rilievi consegue l’accoglimento dell’unico motivo di ricorso principale e la sentenza impugnata va cassata in parte qua.

6. Con il primo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione dell’art. 1 Tariffa d.P.R. n. 131 del 1986 come richiamato dalla tabella A parte II, n. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, alla luce dell’art. 26 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. tenuto conto che nella fattispecie in esame l’Agenzia delle entrate ha provveduto ad applicare le sanzioni ad una fattispecie in relazione alla quale il legislatore non ne ha prevista una, atteso che la nota II bis apposta all’art. 1 della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, come richiamata in materia di IVA dalla Tabella A, parte II, n. 21, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, non prevede l’obbligo per il contribuente di dichiarare in atto che l’immobile acquisito abbia caratteristiche non di lusso.

7. Con il secondo motivo di ricorso, si denuncia violazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., atteso che ogni ipotesi di sanzione tributaria per esser irrogabile presuppone una condotta del censurato caratterizzata da dolo o, perlomeno, da colpa. Nel caso in esame i ricorrenti incidentali, nel fare richiesta dell’agevolazione revocata, avevano fatto affidamento non solo su atti di professionisti, ma su atti del Comune ove l’immobile era ubicato che confermavano la sussistenza di requisiti di superfici agevolabili.

8. I motivi di ricorso sono inammissibili rilevandosi del tutto carenti nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione, tenuto conto che si prospetta una violazione di legge senza fare alcun riferimento alla motivazione della sentenza impugnata. I motivi di ricorso, invece, devono necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità, esigendo una precisa enunciazione con un critica direttamente riferibile alla sentenza impugnata. Presupposti non riscontrabili nelle illustrate censure.

9. In definitiva, da siffatti rilievi consegue il rigetto del ricorso incidentale e l’accoglimento di quello principale; la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso introduttivo proposto dai contribuenti.

Le spese di lite di ogni fase e grado vanno interamente compensate tra le parti, in ragione del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dai contribuenti. Compensa interamente tra le parti le spese di lite di ogni fase e grado.